Politics | L'incontro

La mafia non c’è solo dove non si cerca

A trent'anni dalla strage di Capaci riflettiamo ancora attorno al cratere di quell'esplosione che ha spezzato la vita di Falcone e cambiato irrimediabilmente le nostre.
Intorno a quel cratere
Foto: Screenshot

La mafia ha ucciso Falcone, trent’anni fa; la mafia continua ad essere pericolosa e insidiosa, soprattutto nelle fasi di emergenza economica, ma la mafia non è invincibile. Se, oltre agli strumenti giuridici repressivi costruiti proprio ai tempi di Falcone/Borsellino e dopo di loro (e in nome loro) entra in campo la prevenzione attraverso la scuola, la cultura, il dissenso sociale, ebbene la mafia si può colpire, frenare, ridimensionare, isolare.

Il procuratore nazionale antimafia uscente Federico Cafiero De Raho ha lanciato questo messaggio giovedì 10 marzo a Trento, nel “prologo” (organizzato in collaborazione con salto.bz) che la Fondazione Orchestra Haydn – le ha dato voce Monica Loss, che ha ricordato anche la tragedia dell’Ucraina – ha giustamente pensato come importante introduzione di impegno civile all’opera di teatro musicale “Falcone. Il tempo sospeso del volo”, in scena sabato e domenica 12 e 13 marzo al Teatro Sociale di Trento, il cui palcoscenico è stato trasformato nell’orribile, simbolico cratere di Capaci.

 

“Intorno al cratere” a Palazzo Geremia – sede del Comune di Trento – ha messo a confronto, sollecitati dalle domande dei giornalisti Simone Casalini (Corriere del Trentino) e Marica Terraneo (Rttr) il procuratore Raho, la vicepresidente di Libera avvocata Enza Rando, il regista-attore-giornalista Pif (in collegamento da Palermo), l’autore e il regista dell’opera Nicola Sani e Stefano Simone Pintor.

In apertura, ha voluto portare la voce dell’Anm (Associazione nazionale magistrati) del Trentino-Alto Adige/Südtirol, il presidente regionale Giuseppe Spadaro (presidente del tribunale dei minorenni di Trento). “Se tanti ragazzi nati negli anni Settanta hanno partecipato con passione ai concorsi per entrare in magistratura, è stato per la spinta ideale di Falcone e Borsellino, per quel 23 maggio 1992 che ha segnato le nostre vite. Trent’anni dopo, come magistratura, abbiamo toccato il fondo e dobbiamo fare uno scatto di emozione e di umanità: mostrare il nostro volto a testa alta, contro le logiche del carrierismo e del potere”.

Pintor, che aveva 7 anni nel 1992 eppure anche lui “dov’era quel giorno se lo ricorda”, come tutti noi, spiega che ha voluto quel cratere sul palcoscenico come “rappresentazione ma non spettacolarizzazione, e anche metafora del baratro del male mafioso che il pentito Buscetta aveva aperto davanti agli occhi di Falcone e di tutti noi”.

La criminalità organizzata si infila nelle pieghe delle difficoltà aziendali e, schermata da società che continuano ad avere gli stessi amministratori di prima, reinveste i profitti criminali e resta al riparo, togliendo la libertà alle persone e alle aziende strangolate dai debiti

Sani invece aveva trent’anni e la bomba di Capaci ha tagliato a metà la sua vita: anche il teatro musicale, ha assicurato, partecipa alla costruzione di un mondo migliore. “Falcone l’ho pensato come un eroe perdente, vicino alle persone semplici, come Rigoletto, Traviata, Azucena nelle opere di Verdi. Sono felice che per la prima volta, a Trento, il mio Falcone venga rappresentato in un bellissimo teatro all’italiana come il Sociale”.

De Raho ha avvertito subito che nessuna città, “neppure la vostra bellissima cittadina di Trento, un tempo considerata un’oasi”, è immune all’infiltrazione mafiosa perché “le mafie non ci sono solo dove non si cercano. In forme mimetizzate e camaleontiche, soprattutto la ’ndrangheta che ha il controllo mondiale del traffico di cocaina, la criminalità organizzata si infila nelle pieghe delle difficoltà aziendali e, schermata da società che continuano ad avere gli stessi amministratori di prima, reinveste i profitti criminali e resta al riparo, togliendo la libertà alle persone e alle aziende strangolate dai debiti”.


Il procuratore antimafia ha ricordato lo straordinario lavoro di interpretazione, analisi e risposta al fenomeno mafioso, cominciato ancor prima di Falcone, da Rocco Chinnici che fu ucciso nel 1983. Chinnici che chiamò Falcone nel suo pool antimafia, e che in Falcone trovò un decisivo esperto in materia fallimentare e patrimoniale, capace di decifrare ogni singolo assegno del giro vorticoso della mafia, in un’epoca precedente alla digitalizzazione di un’immensa mole di dati.

Di Falcone, De Raho non ha ricordato solo la straordinaria capacità di analisi dell’organizzazione mafiosa ma anche l’esatta percezione della sua natura transnazionale e l’entusiasmo nel comunicare agli studenti la propria passione, una coerenza a rischio della vita, sostenuta da un grande amore per la terra di Sicilia e i suoi abitanti.

In merito al recente processo trentino dell’operazione “Perfido” che ha sancito per la prima volta in una sentenza giudiziaria la presenza della ’ndrangheta nel settore del porfido, De Raho non ha usato giri di parole: “State attenti, nei momenti di emergenza e difficoltà e di sofferenza economica, è allora che bisogna vigilare perché i mafiosi sono sciacalli che sfruttano la fatica delle persone. Ma qui ci vuole anche una risposta sociale: difendendo gli altri, difendiamo noi stessi”.

Pif, che nel ’92 era uno studentello che sognava la liberazione post-maturità e si ritrovò dentro una Palermo cambiata per sempre da quel “cazzotto in faccia che è stato Capaci”, ha ricordato che – dopo gli attentati a Falcone e Borsellino – non si poteva più dire che la mafia c’era ma non era pericolosa per chi non andava a provocarla, come certi giornalisti. Per la prima volta, i giovani siciliani scoprivano che non ci si doveva rassegnare a convivere con la mafia. Che la mafia si poteva e doveva combattere. “Oggi, trent’anni dopo, a Palermo si può girare un film, o una serie tv come la mia per Raiuno, ma anche aprire un negozio senza pagare il pizzo. E questa è una rivoluzione, per cui dobbiamo essere riconoscenti a Falcone e al pool antimafia”.

 

Enza Rando: “Quel giorno di maggio 1992 mi sono sentita disperata, ho preso la macchina e sono andata a Palermo. Mi ero laureata con una tesi sulla legge La Torre-Rognoni, scritta con il sangue, quella che introduceva il reato di associazione mafiosa che ha consentito alla magistratura di affondare l’attacco alla criminalità organizzata. Oggi bisogna riscrivere la grammatica del coraggio, difendere i valori della Costituzione, proseguire nel lavoro culturale che fa mancare il terreno di coltura alla mafia”.

Le trenta donne con settanta bambini che sono nel programma di protezione per chi tronca i rapporti con gli uomini della mafia, hanno paura tutti i giorni ma tutti i giorni apprezzano il valore e il sapore nuovo della libertà

“E infine, anche, valorizzare il ruolo delle donne, delle mogli e delle madri. Salvare un bambino nato in una famiglia mafiosa, liberarlo da un destino già scritto… è forse la cosa più importante e rivoluzionaria da fare. Le trenta donne con settanta bambini che sono nel programma di protezione per chi tronca i rapporti con gli uomini della mafia, hanno paura tutti i giorni ma tutti i giorni apprezzano il valore e il sapore nuovo della libertà”.

“Intorno al cratere” ci ha fatto vedere quel baratro della mafia stragista ma, intorno a quel cratere appunto, ci ha mostrato anche il nuovo terreno che si apre per una democrazia capace di confinare e depotenziare quel mostro. A cominciare dall’educazione dei bambini. Mafiosi non si nasce. Mafiosi si può non diventare.

 

Intorno a quel cratere La registrazione dell'incontro organizzato dalla Fondazione Haydn