Society | La riflessione

Il diritto universale al respiro

I can't breathe - quello che ha rappresentato un drammatico momento durato oltre 8 minuti è diventato un simbolo a livello mondiale che assume significati diversi.
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I can't breathe
Foto: upi

Mentre un virus genera una crisi respiratoria globale, un uomo nero viene ucciso da un poliziotto che lo soffoca con un ginocchio sul collo.
Questo episodio ha sollevato una protesta in tutto il mondo, ed è una presa di posizione, politica e fisica, che si afferma nello spazio pubblico a cui la pandemia ci ha costretto per diverso tempo a rinunciare. Tutte quelle mascherine a coprire naso e bocca di ogni manifestante rendono ancora più sordo il grido di Floyd, morto soffocato, mentre il mondo si fermava per sconfiggere il virus che ha generato una crisi respiratoria globale. 

Il filosofo Achille Mbembe ha scritto di come il Covid-19 abbia fatto emergere un elemento inquantificabile e che travalica ogni presupposto confine tra le forme del vivente: la centralità del respiro. Un gesto originario, l’atto vitale per eccellenza, che immette in una relazione primaria il corpo con il suo essere nel mondo che la stessa attività umana, distorta e deviata dall’oppressione sociale e dallo sfruttamento delle risorse in tutte le sue forme, ha distrutto, inquinato, strozzato. Con le scorie della produzione inquinante e intensiva, con il disboscamento, con le epidemie che hanno devastato il Sud del mondo negli scorsi decenni, con le carenze dei sistemi sanitari.

Il compito che ci aspetta non è solo quello di combattere contro un virus in particolare ma contro tutto ciò che condanna la maggior parte dell’umanità all’arresto prematuro del respiro, contro tutto ciò che attacca le vie respiratorie, contro tutto ciò che nella lunga durata del capitalismo avrà confinato ampi segmenti della popolazione e razze intere a una respirazione difficile, affannata, a una vita pesante. In tal senso è necessario evocare un “diritto universale al respiro”.

Questo episodio ha sollevato una protesta in tutto il mondo, ed è una presa di posizione, politica e fisica, che si afferma nello spazio pubblico a cui la pandemia ci ha costretto per diverso tempo a rinunciare

Quello che ha rappresentato un drammatico momento durato oltre 8 minuti, è diventato un simbolo che sta girando tutto il mondo, e che assume significati diversi e sfaccettature che si possono riferire a molti aspetti e contraddizioni presenti nelle società dei diversi Paesi. L'arroganza di chi rappresenta il potere, e che di fronte ad un grido di aiuto esercita la propria autorità che porta all'uccisione o all'annientamento di chi subisce o solo si difende dall'aggressione del soggetto dominante. I can't breathe è diventato un grido contro la violenza e soprattutto contro il razzismo.

Ma “io non posso respirare” potrebbero urlarlo quegli immigrati che scappano dalle torture nei campi della Libia, potrebbero urlarlo mentre disperati affondano nel Mediterraneo, e gli sfruttati nelle baracche e nelle tendopoli; Io non respiro proviene anche da quanti vivono o lavorano nei diversi luoghi dove la produzione industriale è spesso grande fonte di inquinamento, ed anche dagli esseri che vivono nei mari e che subiscono la contaminazione mortale della plastica.
Tutta la campagna di sensibilizzazione per salvaguardare il clima e l'ambiente potrebbe assumere questo motto “I can't breathe”.

E in tutto il mondo la pandemia porterà molteplici realtà lavorative, imprese, piccole aziende in una situazione nella quale mancherà l'ossigeno per sopravvivere, se chi governa in Italia, in Europa o in qualsiasi parte del mondo, non interverrà per il rilancio dell'economia e la diminuzione delle diseguaglianze sociali.