“Una strada in salita”
Christine Pichler, segretaria generale NIdIL/NAB – CGIL/AGB, sostiene e tutela i lavoratori e le lavoratrici con forme di contratti “atipici”, che a diverso titolo sperimentano quotidianamente le forme di lavoro flessibile e lo fanno, il più delle volte, senza diritti certi, né riconosciuti.
zebra.: Negli ultimi anni, sempre più spesso nelle nostre città vediamo sfrecciare le bici e i motorini dei rider addetti alla consegna di cibo a domicilio. È possibile fare una stima delle persone impegnate in quest’attività lavorativa?
Christine Pichler: È molto difficile dare numeri certi. Si stima che in Italia siano circa 10.000 le persone che svolgono questa professione. Visto il boom di ordini, probabilmente sono aumentate durante i mesi di lockdown. A Bolzano si contano un centinaio di persone.
Come sono inquadrati i rider a livello contrattuale?
I rider sono tutti a contratto autonomo. Raggiunto il limite dei 5.000 euro di guadagno per le prestazioni occasionali, infatti, aprono la partita IVA. Solitamente scelgono quella a regime forfettario, ma si tratta comunque di un costo oneroso se pensiamo che, oltre ai contributi, l’apertura e la gestione della partita IVA costituisce una spesa tra i 5 e i 6 mila euro all’anno. Da febbraio le aziende devono garantire la copertura INAIL in caso di infortunio sul lavoro. Al momento però non sono coperti periodi di malattia e, di fatto, chi non può lavorare perché malato o perché si fa male fuori dal lavoro non guadagna niente e perde posizioni nel ranking.
I rider sono costantemente sotto pressione per non perdere posizioni nel ranking
Deliveroo utilizza un algoritmo, denominato “Frank”, per classificare i propri rider. Come funziona esattamente?
Deliveroo ha adottato un sistema di organizzazione del lavoro fondato sulla classificazione dei rider in base alla loro “reputazione”, calcolata in base a due criteri: affidabilità e partecipazione. L’astensione dal lavoro determina una penalizzazione. “Frank”, infatti, sanziona i rider con la perdita di punteggio nel sistema definito “ranking reputazionale”. Il valore del profilo è la chiave per accedere alla fascia oraria e alla zona della città dove ci sono più ordini e, dunque, maggiori occasioni di guadagno. Questo determina una diminuzione della scelta tra le sessioni disponibili per chi ha una valutazione inferiore. Inoltre, quando “Frank” si accorge che non ci sono abbastanza rider in turno, la paga a consegna aumenta automaticamente di 1 o 2 euro a seconda dei casi. In pratica, lo scopo è di convincere i lavoratori a pedalare anche in condizioni metereologiche avverse, correndo maggiori rischi di infortuni.
Come sindacato avete modo di entrare in contatto con i rider? Ci sono tra loro movimenti per i diritti, come accade per esempio a Roma con il movimento Riders Union?
In Alto Adige si muove poco o niente. Non abbiamo una controparte sul territorio con cui trattare. Facciamo dei tentativi con i rider, ma è difficile creare un gruppo perché spesso a fare questo lavoro sono persone che hanno estremo bisogno di guadagnare qualcosa per sopravvivere. I rider sono costantemente sotto pressione per non perdere posizioni nel ranking e il sistema di classificazione usato dall’azienda li pone, in un certo senso, sotto ricatto.
In Alto Adige si muove poco o niente
L’articolo 1 del decreto legge 101/2019 prevede, entro novembre di quest’anno, il riconoscimento di diritti, retribuzioni e contribuzioni dei lavoratori dipendenti per i rider. Crede che questo percorso si realizzerà?
È una strada decisamente in salita, perché se entro i termini le aziende non si adegueranno, per loro non ci saranno conseguenze. In quel caso sarà poi il Ministero del Lavoro a dover trovare una sintesi tra le posizioni di sindacati e aziende. Potrebbe quindi venire fuori qualcosa di diverso da un contratto di lavoro subordinato per i lavoratori del settore, al quale invece noi puntiamo con convinzione.