Culture | Parkhotel

11 agosto - Stelle controcorrente

Ho sentito - nello stesso modo in cui si sentono in sogno parole magiche, dal senso oscuro - un chiaro coro di “a” levarsi dalla viola e dai violini...
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Ieri la notte era bella, nonostante le nubi. Camminavo senza fretta sentendomi in villeggiatura, quasi fossi anch’io ospite dell’albergo.

Mi sono accomodata in seconda fila e, dopo poco, una principessa indonesiana si è adagiata di fronte a me con il suo seguito di profumi d’ambra, d’incenso e di benzoino. Ad ogni leggero movimento della sua grande testa, i capelli, neri e lunghissimi, spargevano nell’aria volute incantatrici. Forse sono stati i suoi capelli profumati a farmi credere che il quartetto avesse nascosto negli strumenti delle voci umane. Ho sentito - nello stesso modo in cui si sentono in sogno parole magiche, dal senso oscuro - un chiaro coro di “a” levarsi dalla viola e dai violini, mentre il violoncello rispondeva con “o” a tratti struggenti, a tratti divertite. E questa dolcezza mi sembrava tanto più strana, quanto più l’andavo paragonando all’aspetto del violoncellista, compatto giocatore di rugby dai tratti orientali. Cantavano per noi e per se stessi, avvicinandosi e allontanandosi ritmicamente in una danza senza corpo.

Ormai accetto senza sorprese che ai concerti la mia immaginazione prenda il sopravvento; per questo nessuno stupore mi ha preso quando, con Dvořák, mi sono ritrovata, nella stessa sera, in un assolato western, in un Cotton Club pieno di swing, in una barca a remi a guardare i salici sfiorare con rami tristi le verdi onde del fiume.

E forse la coda rosa fucsia dell’oboista altro non è che una stella cadente che ha scelto una strada diversa.

P.S.

Domani mi aspettano Bruch e  Šostakovič, lo jurodivij, colui che possiede il dono di vedere e udire ciò che ad altri resta celato.

Šostakovič, gatto n. 3.