Society | Giochi di potere

A cosa servono trascinatori delle masse.

Ci sono interessi difficili da rifilare a chi ragiona con la testa. Bisogna ricollocarli in altri contesti, avvolgerli in emozioni. Li imporrà un demagogo populista.
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In principio fu il verbo: Uno sa per talento innato come parlare al popolo e lo affina in una lunga gavetta da comparsa in manifestazioni e sfilate, immerso in bagni di folla ed impegnato a rincorrere gli umori delle masse. Così impara a cogliere emozioni e costruire un cortocircuito d’azioni con la volontè de tous. Capisce che bisogna sviluppare personalità e curriculum ed osservare pazientemente come l’accoglienza della performance presso l’elettorato modella il riconoscimento del ruolo e le prospettive di carriera. È sulla buona strada quando si accorge che sempre più spesso si fa trovare al posto giusto nel momento propizio.

Man mano acquista leadership grazie alla capacità di concentrare su di se emozioni ed aspettative. Così diventa portavoce di interessi ed influencer. Si impegna a creare consenso grazie a scelte precise sui temi che rinforzano la sua posizione all’interno del partito o del movimento e diventa il paladino di alcune istanze da portare avanti nella politica e nelle amministrazioni. Contemporaneamente sceglie i temi forti su cui costruire la sua figura politica. Bisognoso di input per sviluppare la sua visione del paese e del mondo amplifica i contatti senza essere sempre in grado di distinguere tra raziocinanti, consiglieri invadenti, opportunisti e teste di rapa.

Cittadino col cuore in mano

È prima di tutto cittadino è come tale dimostra di vivere giornalmente tutte le speranze e tutte le frustrazioni di un cittadino medio, sia esso artigiano tartassato dall’ufficio entrate, saldatore in una catena di montaggio, messo comunale o pensionato in fila alle poste. Profilo politico e personalità privata diventano inscindibili staccandosi da ruoli istituzionali e relative supposizioni di political correctness. L‘affetto che le donne gli dimostrano nei comizi lo ricaricano di entusiasmo e gli valgono da conferma della loro vocazione per il ruolo tradizionale nella famiglia. Sviluppa un suo linguaggio inconfondibile in sintonia con il suo target elettorale ed evidenzia di conoscere e saper articolare con parole semplici ed immagini eloquenti i bisogni non ascoltati e non assecondati della gente. Fa da eco a chi lo ha votato per rivestire i panni di chi fa, risolve, promuove, tutela, e si dimostra deciso di andare fino in fondo senza sapere bene da dove cominciare e dove verrà portato dalla sua foga.

Plasmatore dello sviluppo

Quando riesce a sviluppare la forza di trascinatore delle masse nelle stanze dei bottoni ci si rende conto delle sue doti di populista e gli si affidano anche questioni più importanti da promuovere. Così diventa celebratore del proprio ego, ma anche strumento per creare consenso attorno ad impostazioni strategiche e per sfondare resistenze altrimenti difficilmente districabili. Come influencer il demagogo populista si fa carico di aprire una breccia nell’opinione pubblica per raccogliere consenso su progetti dei grandi poli di interesse economico e di modellazione dello sviluppo della società. In tale veste sostiene disegni di riforma da tempo covati dagli stessi.

Garante della sicurezza

Per incamerare profitti, espandere ed innovare l’industria delle armi ha bisogno o di minacce alla sicurezza del paese o di guerre. Il compito dei populisti, allora, è quello di fomentare paure e pregiudizi e di additare nemici. Dall’alto del loro pulpito nella storia recente persino presidenti e governatori non si sono disdegnati a dichiarare guerra sulla base di congetture e di fatti inventati senza pudore. Possibilmente si tratta di guerre da combattere in paesi lontani, quindi senza pericolo immediato per la popolazione che, tuttavia, si dimostra abbastanza ricettiva per richiami al patriottismo. Altro vantaggio non trascurabile di questa costellazione: L’opinione pubblica nel proprio paese trascura gli effetti deleteri della mancanza di strategia e di conoscenza degli equilibri delle regioni geopolitiche interessate.

Nel contesto nazionale al demagogo basta rimarcare che lui difende i cittadini DOC per creare un solco profondo che divide tutta la popolazione. Bastano poche parole per incoraggiare atteggiamenti conformistici e diffondere l’astio verso reali o presunti nemici, propagare il pensiero unico, minimizzare le derive nazionaliste e criminalizzare migranti ed organizzazioni non governative. Il messaggio che passa è che bisogna armarsi per non soccombere in un conflitto promosso da forze antagoniste del popolo nella sua concezione più tribale.

Consumatore felice

C’è un altro costrutto sociale, per il quale è fondamentale far ingranare perennemente le rotelle del suo meccanismo: il mantra della crescita e del bisogno insaziabile di consumo. Il populista non mette mai in forse l’industria del consumo e taluni suoi meccanismi autoreplicanti ovvero condizioni di produzione ed effetti di consumo non sostenibili. Anzi, si prodiga a sua volta come consumatore ed esempio di ruota funzionante del grande sistema di distribuzione e di cittadino fiero di ostentarne il bisogno. Fino all’ultima spiaggia di rinvio di interventi sul setting del sistema mercato e sulle filiere di produzione difende le vecchie regole e fino all‘esistenza di uno solo studio che avvalli lo status quo si opporrà ad una rettifica graduale delle abitudini di consumatori e consumatrici.

Decostruttore convinto

Dopo l’esperienza deprimente della guerra i costruttori delIa costituzione avevano bene in mente le derive che scaturiscono dall’assenza di spirito di collaborazione e di strutture in grado di incanalare le pulsioni di interessi particolaristici verso il bene comune. I demagoghi dei nostri tempi sono cresciuti in un clima di accettazione pervasiva dello svilimento e dello sfacelo delle istituzioni e perciò poco consapevoli del valore sociale ed educativo delle stesse.  Con grande facilità vanno quindi ad accasarsi nella tradizione storica di diffidenza verso le istituzioni e condividono pienamente la pretesa di potersi aggiustare le cose a proprio comodo a prescindere dalle normative e dalle prerogative istituzionali.

Come coloro che, più che da cittadini, si definiscono percettori di servizi in funzione di una delega totale della responsabilità sociale, sono abituati a reagire d’istinto a defezioni strutturali della società ed alla mancanza di acculturamento civico. Prendono di mira la carenza di risposte ai loro bisogni e non si interrogano sulle rispettive cause strutturali o gestionali, ad ulteriore conferma di un’avanzata assuefazione al clientelismo ed alla rimozione della coscienza comunitaristica. Decostruire le istituzioni e tutto ciò che rappresentano nella loro accezione virtuale e fregarsi delle regole è quindi qualcosa che fa piacere al demagogo populista ed è, anzi, motivo di vanto.

Manovratore manovrato

Forte del vento in poppa del neoliberalismo che negli ultimi vent’anni ha arginato il ruolo dei sindacati come garante dell’equità sociale, il populista spinge sull’acceleratore per approfondire il solco tra poveri e ricchi. È una figura di punta per far disconoscere il principio della partecipazione di tutti al finanziamento delle istituzioni e dei servizi dello stato e frantumare quello della distribuzione solidale della ricchezza prodotta dal paese. Fa della campagna per la flat tax un suo cavallo di battaglia, mettendoci tutta la convinzione emotiva che riesce a tirare fuori, forse senza accorgersi che viene utilizzato come grimaldello per scardinare l’equità sociale come principio di funzionamento di una comunità.