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Politics | Commento

Lo strappo congelato

La resa dei conti tra Renzi e la minoranza dem è stata solo posticipata. Se ne riparlerà appena chiuse le urne del referendum costituzionale.

Una guerra annunciata, ma rinviata per motivi tattici. Nel direttivo del partito democratico di lunedì sera la rottura fra la maggioranza di Matteo Renzi e la minoranza di Pier Luigi Bersani c'è stata, ma non formalizzata. Perché per gli avversari che militano (ancora) nello stesso partito - anche se in disaccordo praticamente su tutto - era importante che a rompere fossero gli altri. La minoranza per ovvii motivi politici ci teneva ad evitare l'Aventino ed ad essere cacciata - un favore che Renzi non le ha concesso. Siccome nessuno intendeva rimanere con il cerino nella mano, il segretario ha scelto una soluzione classica per uscire dal vicolo cieco: una commissione per l'ennesima riforma dell'Italicum. Ne dovrebbero far parte il vicesegretario Guerini, i capigruppi di camera e senato, il presidente Orfini e un rappresentante della minoranza. Ovviamente c'è disaccordo anche su questo.

Per Renzi la commissione può iniziare il suo lavoro solo dopo il referendum, per la minoranza si dovrebbe partire immediatamente. Il segretario nel suo discorso ha fatto concessioni sulla legge elettorale: "Siamo disponibili a farci carico di un'ulteriore mediazione". Ma ha posto dei paletti chiari: "La nostra responsabilità nel tenere unito il partito non può arrivare a tenere fermo il paese. Quando si deve  fare un compromesso si deve rinunciare a qualcosa". Tre ore di dialogo tra sordi, dove ognuno era attento a non perdere la faccia: "Mica vogliamo dargli il vantaggio di non sederci al tavolo. Ma ormai è chiaro che i magini sono ristretti. La situazione mi pare compromessa. Serve una proposta di governo", chiede Roberto Speranza, autore dell'intervento più militante nelle tre ore di dibattito.  Gianni Cuperlo ha minaccciato le sue dimissioni: "Una proposta non può essere rinviata al dopo referendum. Se non arriva entro il 4 dicembre, voteró no e rimetto il mio mandato." Ha invece taciuto Pier Luigi Bersani, che solo un giorno prima del direttivo in stile discutibile aveva preannunciato il no in un'intervista al Corriere, mettendo Renzi davanti a fatti compiuti. Che da parte sua ha stigmatizzato la " cultura della divisione permanente": "Da quando sono segretario non c'è stato un solo momento senza polemica interna". Ricorda i 122 emendamenti accolti sulla riforma costituzionale e critica il fatto che Bersani ed  i suoi "hanno approvato questa riforma per tre volte in parlamento" per annuciare ora il proprio no al referendum.

E' più che ovvio che il Partito Democratico nella sua forma attuale dopo il 4 dicembre non ci sarà più. Se vincerà Renzi, sarà più forte che mai e la sinistra lascerà per fondare un altro partitino dell'otto o nove per cento o per accettare l'invito della Sinistra Italiana di confluire in una formazione comune. Se Renzi perderà probabilmente lascerà la politica ed il suo partito lacerato andrá incontro ad un futuro incerto.

Ma la vera anomalia politica sta nel fatto, che l'ennesima legge elettorale mai applicata  sta dominando la politica da molti mesi  e  potrebbe decidere addirittura il destino del governo. Anomalia stigmatizzata nel direttivo del PD dal ministro degli esteri Paolo Gentiloni: "E' un enorme sproposizione discutere della legge elettorale e il suo nesso con la riforma costituzionale in un mondo sconvolto dalla crisi globale." Ma nella politica italiana le sproposizioni da anni non si contano più.

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alfred frei Wed, 10/12/2016 - 10:09

Ezio Mauro su “Repubblica” di ieri scirve che “il Pd è un soggetto politico dimezzato con le due metà brandite l’una contro l’altra in una guerra di posizioni, senza un’idea di Paese da difendere e da costruire, un’avventura collettiva in cui possa riconoscersi una comunità politica, ritrovando le ragioni per collegare la propria vita con la vita degli altri, riscoprendo ognuno il senso di responsabilità per un destino comune. In gioco c’è lo stesso concetto di sinistra, un progetto cioè di riconoscimento, tutela ed emancipazione che unisca le opportunità e le necessità per un Paese più forte e più giusto. Questa deriva del Partito democratico, prosciugato di ogni sostanza identitaria si presenta come una conchiglia ormai vuota e abbandonata sulla spiaggia italiana del 2016, battuta da tutte le maree”.
E conclude amaramente : “in sostanza il rischio è uno scostamento di classi e soggetti sociali dal sistema all’anti-sistema, con un conseguente slittamento della rappresentanza del pensiero critico, da una politica di sinistra all’antipolitica”
Non è molto lontano della verità, o NO ?

Wed, 10/12/2016 - 10:09 Permalink