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Imbecillità, attrazione fatale

Ogni epoca (e ogni luogo) ha i suoi imbecilli. Il filosofo Maurizio Ferraris ci spiega come individuarli.
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Foto: Salto.bz

Una domanda forse imbecille: l'imbecillità è la stessa ad ogni longitudine e latitudine, oppure quella che si incontra nel luogo in cui risediamo (pensiamo al nostro bel Sudtirolo, terra di grandi imbecilli) è talmente incomparabile da sfuggire alla categoria universale nella quale la si vorrebbe alle volte volentieri sussumere (riuscendo insomma persino a spacciare per intelligenti degli inesorabili cretini)? Il quesito avrebbe bisogno di una premessa per sperare di ottenere una risposta plausibile. Prima di tutto, insomma, dovremmo avere almeno sufficientemente chiaro di chi – o di cosa – stiamo parlando quando parliamo di imbecillità o cretineria.

A tal proposito, appena sbarcato in libreria, ci soccorre un volumetto smilzo e sapido dedicato a questa caratteristica costante (la variante temporale è senz'altro più stabile di quella geografica, non ha perciò bisogno di una particolare verifica) dell'essere umano. L'ha scritto un filosofo, Maurizio Ferraris, il quale è abbastanza autoconsapevole da non escludersi a priori dalla lista (e – a scanso di equivoci – non lo facciamo neppure noi): “Prevedo il tu quoque trascendentale, e mi ci rassegno. Bisogna avere almeno un grumo di imbecillità dentro di sé per sentirne l'attrazione fatale”. Il grumo, soppesato e analizzato in modo eccellente, risulta assai utile a dirimere una questione particolarmente sentita da chi si trova spesso coinvolto in discussioni, la maggior parte delle quali online, in cui abbondano opinioni inequivocabilmente imbecilli (e qui fra l'altro abbiamo già posto inavvertitamente le condizioni per rispondere alla domanda di partenza, visto che la localizzazione in internet delle discussioni abolisce ogni determinazione particolare di luogo, confermando che se non si può essere imbecilli alla stessa maniera in due posti diversi, almeno ci si può dare reciprocamente dell'imbecille in un modo molto accentuato e letteralmente più ubiquo rispetto al passato: il libro, peraltro, parla anche dei famosi webeti).

Subito la domanda si radicalizza: se qualcuno sta affermando un'opinione imbecille (o a voi pare così), qual è il modo migliore per farglielo notare? E' noto l'aforisma di Oscar Wilde: “Mai discutere con un imbecille, ti trascina al suo livello e ti batte con l'esperienza”. Profilassi comunicativa apprezzabile, ma insufficiente a tener lontano il fantasma (revenant) dell'imbecillità. Infatti esso compare soprattutto allorché chi discute ottiene sempre ragione, in pratica avendo cura di muoversi esclusivamente nel cerchio di quelli che la pensano come lui (o come lei, ma di una questione “gender” dell'imbecillità parleremo eventualmente un'altra volta). Con gli imbecilli bisognerebbe pur parlarci, invece, e possibilmente andrebbe fatto evitando di trasformarci a nostra volta in imbecilli. A voi (che siccome state leggendo questo pezzo sicuramente siete intelligentissimi) pare possibile?

Ferraris chiude il suo libro con un tocco di esistenzialismo propedeutico (e non prima di aver qualificato Martin Heidegger, filosofo esistenzialista, alla stregua di un “imbecille delle Prealpi”): per sottrarsi alla sua attrazione fatale, occorre prendere soprattutto coscienza della propria imbecillità, come si ha o si dovrebbe avere coscienza della morte che ci attende al varco (e sempre pensando alla domanda di partenza: è proprio l'imbecillità esperibile nella nostra condizione particolare che ci inchioda, non possiamo cioè svignarcela negandone sussistenza universale).

Avete bisogno del succo? Eccolo qui: così come non possiamo vivere in eterno, non possiamo neppure mai considerarci furbi abbastanza. Solo poggiando su tale empirica base avremo in cambio il dubbio modesto che almeno limita il ridicolo in cui, invece, cade chi esibisce troppe e immodeste convinzioni. Che poi è anche l'unico modo di identificare un imbecille senza temere troppo di fallire il bersaglio.

Maurizio Ferraris, L'imbecillità è una cosa seria, Il Mulino, pp. 129, € 12.00