Eduardo, il brasiliano contro
Oggi cominciano i Mondiali e i brasiliani avranno il cuore in subbuglio. Già di per sé il popolo carioca non fatica ad agghindarsi a festa, figuriamoci quando è lui il padrone di casa di un party mondiale. Oltre le proteste e la politica sociale che corre fluida sulle strade, dunque, il Paese conoscerà un’ondata di attenzione e di entusiasmo che toccherà ciascun brasiliano. Questa, però, è la storia di un brasiliano che vivrà questa giornata in modo atipico e il suo nome è Eduardo Alves da Silva.
Nato nel cuore del Paese, Rio de Janeiro, questo calciatore 31enne vivrà la giornata inaugurale con un cuore pulsante sotto una maglia a scacchi rossi: quella della Croazia. La nazionale che, manco a farlo apposta, cercherà di rompere le uova nel festante paniere sudamericano nella prima partita della rassegna iridata in programma questa sera alle 22. Eduardo, ovviamente, è un brasiliano atipico perché già a 15 anni si trasferì a Zagabria inseguendo il sogno di tirare dei calci a un pallone. Ruolo attaccante, questo molto meno atipico come brasiliano. Per nove anni la Croazia è diventata la sua casa tra Dinamo Zagabria ed Inter Zapresic con un cospicuo bottino di gol (83) che lo portarono al grande salto in Premier League all’Arsenal. Si tratta degli anni della crescita sportiva, ma anche umana tanto che l’under 21 croata diventa immediatamente la sua nazionale con travaso logico nella selezione maggiore. Pur non essendo più titolare il paese balcanico non è esattamente una fucina di punte spietate e questo permette a Eduardo di rimanere stabile nelle convocazioni anche a 31 anni, Brasile 2014 compreso.
L’avventura inglese finirà poi nel 2010 senza particolari sussulti con il trasferimento allo Shakhtar Donetsk, terra ucraina che ancora oggi lo ospita. Città non propriamente calda né particolarmente incline alle feste, ma la saudade è probabilmente l’ultimo dei pensieri di questo puntero. Chissà, però, quanto davvero il suo cuore si sarà allontanato dalla sua terra, quanto sia in grado di accettare il sentirsi dall’altra parte della barricata in una delle giornate più importanti del tuo Paese natale e quanta forza ci vuole per andare in caccia di quel pallone che potrebbero farlo piangere subito. La speranza è che durante l’inno brasiliano la telecamera vada a curiosare nei suoi occhi per vedere se davvero si possa distanziare i rami della vita dalle radici della nascita.
Alan Conti