Volti sconvolti e avvolti
Gli spazi della Kunsthalle West di Lana sono ampi e luminosi, situati in una specie di Parkhouse hanno inoltre un fascino particolare. Peccato che l’edificio sia ubicato nella zona industriale del paese vicino a Merano, raggiungibile dalla Mebo e anche un po’ nascosto tra tanti altri dotati di grandi cartelli e scritte. Peccato che non siamo a New York o a Berlino, perché in una grande metropoli uno spazio simile attira le masse di giovani e sarebbe affollato anche tutti i pomeriggi e le sere dei giorni infrasettimanali, così invece la sera dell’inaugurazione l’afflusso di persone è grande, poi va molto scemando negli altri giorni di apertura (dal giovedì alla domenica dalle ore 17.30 alle 20). Vale la pena, invece, andarci agli eventi organizzati dal gruppo che vi ruota attorno e in particolare perché l’attuale esposizione a cura di Antonella Tricoli, No Face, è tutta al femminile e tocca un tema alquanto attuale: l’autoritratto, termine oggi più diffuso come selfie.
“Nell’era di Facebook e Instagram parlare in maniera interessante e innovativa di fotografia, e di ritratti - autoritratti fotografici nello specifico, è una sfida”, scrive la curatrice nel comunicato stampa, ribadendo che “alcune artiste hanno affrontato l’argomento in modo forte, affascinante, intrigante, sviluppando il tema complesso dell’identità attraverso la sua negazione”. Identità e negazione della stessa – concetti molto diffusi oggi giorno proprio per il fatto che sui social abbondano i selfie mentre ognuno va alla ricerca della propria identità in un mondo che da un lato si vuole sempre più globalizzato e dall’altro vi si erigono sempre più muri, sempre più alti e più resistenti. Resistenza. Questa parola mi fa subito pensare al suo doppio significato nel senso di r/esistenza, in quanto la negazione della propria immagine non assomiglia piuttosto a un rafforzarla nel senso di come la resistenza cela in se la nostra stessa esistenza? Negare la propria immagine è un voler nascondersi dietro la non apparenza che però appare proprio nell’assenza, mentre l’eccesso di immagini è pari al loro annullamento. Cosa ricordiamo di dieci o cento selfie messi in serie? Forse nemmeno uno. Cosa ricordiamo di un volto negato? La sua negazione, ossia quel volto accennato, scon/volto o av/volto… come quello nelle immagini di Anuschka Prossliner, curiose velate di stati emotivi altrimenti svelati.
Ricordiamo i colori forti delle composizioni di Veronica Liuzzi, come quel giallo luminoso dominante nella donna con fiori che ci ispira l’energia vitale, la gioia del vivere. Ci rimane lo sguardo “macchiato” di alcuni degli intensi ritratti di Veronica Izzo, così come incuriosisce e fa riflettere il posizionare un bimbo davanti a sé, per oscurare il proprio volto di donna che rimane accennato dal contorno di capelli mentre il focus è puntato sul bambino, nella immagine creata da Karin Schmuck - un inno o una critica alla maternità?
Per comprendere un po’ meglio e al contempo entrare nelle modalità di riflessioni portate avanti da chi cura una mostra ne abbiamo parlato con Antonella Tricoli che firma la mostra visitabile fino al prossimo 15 settembre.
Salto.bz: Come ti è venuta questa idea per No Face?
Antonella Tricoli: Da anni seguo le nuove tendenze in ambito fotografico, la fotografia è infatti una mia passione. Ho scritto e tenuto corsi sulla storia della fotografia, nonché sulla fotografia come produzione artistica contemporanea. Considerando l’importanza che il ritratto e l’autoritratto fotografico hanno assunto oggi nell’ambito della comunicazione, sui social network, al cospetto di una realtà forzatamente basata sull’apparire, sono partita da una ricerca sulla cosiddetta “anti-identità”. Mi ha interessato in particolare la manipolazione della propria immagine, la trasformazione del volto, addirittura l’oscuramento o l’identificazione con un “Altro da sé”. Una pratica diffusissima, non solo in ambito artistico, che porta alla definizione di una nuova estetica, nella quale il concetto stesso di imperfezione perde i suoi connotati negativi per assumere valori qualitativi più elevati. Ritratto e autoritratto come forme metaforiche della società, con una forte valenza concettuale e narrativa.
Le opere esposte sono per lo più fotografie, ma ci sono anche installazioni…
Le fotografie sono su carta fotografica o su rame, alcune manipolate manualmente con collage, interventi pittorici, tagli, abrasioni, che si fissano indissolubilmente nel DNA dello scatto originale. Le installazioni sul tema invece sono create con oggetti diversi (per i quali erano stati utilizzati i materiali più diversi quali riso, sale, croci, sedie ecc.) e si dimostrano essere evocative di vari contesti culturali ai quali infine appartengono.
Ci puoi dire due parole per ogni artista?
Veronica Liuzzi, classe 89, originaria della Puglia, parte da una riflessione sul corpo umano in relazione al mondo circostante, agli oggetti che circondano la nostra quotidianità, alle influenze socio-culturali e al territorio in cui viviamo. Nelle opere intitolate Anti-Ritratti (Anti-selfie) la Liuzzi si fotografa col volto coperto di fiori oppure da guanti in lattice o ancora da una palla gigante. Karin Schmuck, classe 1981, con studi all’accademia di Bologna, nella serie Con_fondersi realizza ritratti di donne nascoste tra i propri abiti, una sorta di seconda pelle, d´identificazione con le nostre cose materiali. (S)velarsis) consiste in una serie di fotografie di donne che, togliendosi la maglietta, con la stessa si coprono il volto. Viene messa a nudo una parte intima, di solito coperta, mentre il viso, incarnazione più esplicita dell’identità, è occultato. Donatella Izzo, classe 1979, che vive e lavora a Milano, compie nel progetto No_portrait un’analisi del concetto di anti-canone estetico e della percezione dell’individualità dell’artista, alle prese con la frammentazione oggettiva del proprio essere. Un’indagine introspettiva sul ritratto e sull’autoritratto concettuale e narrativo, esplicitazione del rapporto tra esteriorità e interiorità, tra apparenza ed effettiva crisi di contenuti nella società contemporanea. E infine Anuschka Prossliener, classe 1972, proveniente da Fié allo Sciliar, oggi vive e lavora a Merano, nella sua serie di scatti intitolati White lies compie un’auto riflessione, una sorta di disvelamento del sé. Raffinati e introspettivi presentano il volto dell’artista, velato, una sorta di “cortina” che nel celare sottolinea e teatralmente pone una distanza, allontana cioè ma, allo stesso tempo, affascina, amplifica l’interesse. Come a teatro, la finzione fa scattare l’immedesimazione, r assieme all’autoinganno diventa realtà.
Come scegli le artiste o gli artisti per una mostra?
Scelgo primariamente il tema che mi interessa trattare, poi cerco gli artisti che ritengo più interessanti a sviluppare l’argomento.
Il tuo discorso critico su quali principi poggia, di tipo più filosofico, socio- o politico-culturale?
Normalmente i concetti a cui faccio riferimento sono di tipo filosofico, partendo dalle più attuali tendenze critiche e socio/filosofiche contemporanee.
Come e dove ti sei formata?
Ho studiato storia dell’arte a Parma, poi all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. Quindi ho frequentato corsi di perfezionamento in Italia e in Francia.
Fai parte da un po’ del gruppo che sta dietro alla Kunsthalle West di Lana, come li hai conosciuti e come lavorate insieme, visto che siete tutti a titolo gratuito avendo loro appena 11mila euro all’anno di contributi (6mila dalla provincia, 3.500 dal comune di Lana e il resto privati)?
Mi sono aggregata al gruppo della Kunsthalle da circa un anno; li conosco perché ho sempre seguito le loro attività e ho collaborato con persone che a loro volta erano associate. Partecipo a incontri durante i quali vengono stabilite ed organizzate le mostre e le attività. Ciascun membro ha un ruolo e dei compiti che rientrano in una più ampia programmazione annuale.
Come vedi la situazione dell’arte contemporanea a Merano, e se vogliamo estendere un po’, in Alto Adige in generale? Sia per quanto riguarda il panorama delle mostre sia per quello che sono gli artisti e le artiste che creano…
Ritengo che Merano sia una città piuttosto attiva e interessata all’arte in generale. Certamente l’arte contemporanea richiede sforzi, attenzione e un bagaglio di conoscenze/esperienze maggiori. In Alto Adige non mancano artisti, idee, spazi, si potrebbe però incentivare la formazione, creando corsi, anche a livello universitario, workshop e altre occasioni di approfondimento e incontro-scambio.