Culture | Tre punti archimedei

Hanno scardinato la scuola

I tre punti archimedei utilizzati in questo mezzo secolo per scardinare la selettevità della scuola
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Egr. Direttore del T Quotidiano, Tre sono in sostanza i punti archimedei utilizzati in questo mezzo secolo per scardinare la selettività della scuola classista ante ‘68, considerata inefficace e iniqua. Il primo è racchiuso nella massima – divenuta mitica – formulata da chi meglio di ogni altro se ne avvalse, don Milani: “Non c’è nulla di più ingiusto che fare parti eguali fra diseguali”. Di per sé non è una norma sbagliata (per mettere a confronto le capacità dei singoli bisogna prima “farli uguali”, colmare cioè le disparità culturali di provenienza così da fornire a tutti le stesse opportunità di riuscita), tutto dipende però dal tempo che si presume occorra per la colmatura: otto anni (elementari e medie) era per don Milani il termine massimo, ma i suoi seguaci non trovarono sconveniente proseguire l’opera fino ai gradi più alti degli studi e lo scardinamento fu totale. Il secondo, di scuola americana (M. Young e M. Sandel), è anch’esso racchiudibile in una massima: “L’ascesa e la tirannia, del merito”. Per affermarsi nella società – questo il succo – ci vuole sì molto e meritevole sforzo personale, ma contano assai più i talenti e la fortuna sui quali l’individuo non esercita alcun controllo: bisogna dunque evitare di fare del merito un credo ideologico, ché vincitori e sconfitti non siano tentati, attribuendo il proprio successo/insuccesso interamente a se stessi, di tracotanza i primi, di frustrazione i secondi. Richiamarsi a tali disagi per giustificare l’abolizione della selettività della scuola non è solo poco avveduto ma anche fortemente iniquo: è la selezione che fa funzionare l’ascensore sociale, eliminandola si priva chi non ha altre risorse che i propri mezzi intellettivi della unica possibilità di riuscita (art.34 della Costituzione). Il terzo, in gran credito presso i cultori di docimologia, non necessita di alcun sostegno etico, né egalitario né solidaristico. La sua ragione è di una semplicità disarmante: selezionare non si può per il semplice motivo che non possediamo ancora strumenti efficaci per farlo e quelli a nostra disposizione sono di assai dubbia validità. Come massima non ce n’è una più appropriata di quella ideata in un suo recente scritto (21/7) dalla professoressa Maria Prodi quale rappresentazione viva di questa impossibilità: “Date a 10 insegnanti di lettere lo stesso elaborato di italiano e otterrete 10 valutazioni diverse”. Gli estimatori (non mancano nemmeno tra gli opinionisti del “T”) si riconoscono per i continui rimandi alla docimologia e per l’uso di un linguaggio specialistico di non facile interpretazione. Riporto come esempio una frase iniziale (pietra angolare di tutta la successiva trattazione) di uno scritto (“La valutazione degli studenti e la malinconia generativa”, “il T” 2/9) del pedagogista Fabiano Loranzi: “L’oggettività delle misurazioni e soprattutto la definitività dei risultati sono dubbie perché le prestazioni misurano non in assoluto ma relativamente i livelli di acquisizione delle conoscenze”. C’è da chiedersi cosa possa mai significare “misurare in assoluto”. L’apprendimento è graduale, la sua valutazione, anche quella finale, non può che essere relativa, riferita cioè sempre a specifici ambiti disciplinari ed è proprio questa delimitazione dello scibile che ne permette l’oggettività.