Il metodo Gatterer
Ogni anno, proprio di questi tempi, il pensiero di molti corre a Claus Gatterer. Sì, l’autore di tante inchieste giornalistiche e del paradigmatico saggio Schöne Welt – böse Leut, che poi risultò sempre di più anche un viaggio, un coraggioso memoir intellettuale e persino una irrituale indagine storica. Solo un romanzo? Proprio no.
Per Gatterer, nato a Sesto Pusteria il 27 marzo 1924 e morto in una Vienna che aveva contribuito ad “europizzare” il 28 giugno 1984, si sono spese molte parole. Di solito molto rispettose, spesso elogiative. Talvolta però rituali, accademiche, un po’ vuote. Dunque, colpevoli.
D’altro canto, raccontare un paese, oltre tutto quello natale, per ripercorrere il fascismo e il nazismo in una Europa che per lungo tempo non sarebbe riuscita a metabolizzare la questione (e lo spettro) delle minoranze linguistiche, ebbene non poteva solo nascere dalla formazione storica di Claus Gatterer. E neanche dalla sua “mission” giornalistica fatta di quotidianità informativa e di approfondimento (alla “Presse” di Vienna, ma non solo). E neanche, ancora, dal suo bilinguismo apparentemente un po’ strabico ma invece rivoluzionario, nonostante una formazione liberale ancora oggi in parte inafferrabile perché non gli rende giustizia.
In quel suo motto – “Nel dubbio dalla parte dei deboli” – troviamo allora le tracce di un vero e proprio metodo: il metodo Gatterer.
Raccontare le Opzioni, le convivenze difficili e i sospetti tra popoli uniti e insieme divisi da lingue diverse ma vicine è stata la cifra stilistica di Gatterer in tutta la sua vita
Un metodo giornalistico, storiografico e di stimoli nuovi, fatto comme il faut più di domande e di dubbi che di risposte e di assiomi.
Un metodo che avremmo voluto ritrovare – oltre che nelle analisi di Carlo Romeo – anche in altri storici e in tanti altri giornalisti.
E invece no: raccontare le Opzioni, le convivenze difficili e i sospetti tra popoli uniti e insieme divisi da lingue diverse ma vicine, farlo in territori e in valli uniche in Europa, è stata la cifra stilistica di Gatterer in tutta la sua vita.
Vita fatta anche di sue ribellioni, di incomprensioni da parte di qualche lettore distratto o in mala fede. Ed ecco allora che il suo metodo diventa allora anche un paradigma e uno stile.
Ma storia e giornalismo non bastano: Gatterer dovrebbe essere un punto di riferimento anche per una partitura musicale. E, forse, chissà.
Se vogliamo ripercorrere la cronaca e la storia del Sudtirolo – nei libri e sui giornali, persino nella vita – perché allora non applicare il metodo Gatterer? Certo, è un metodo scomodo e non si improvvisa. Ma ogni anno che passa, soprattutto tra marzo e giugno, si pensa a lui e si arriva ben presto alla conclusione che il suo è, probabilmente, l’unico metodo da adottare e rispettare per conoscerci, al di là degli stereotipi vecchi e nuovi su un Sudtirolo comunque difficile.