Ma chi erano quelli del “Bozen”?
Nel marzo 1944 Roma è sotto il controllo tedesco da diversi mesi e nonostante la mancata organizzazione della difesa della città, come il resto del paese lasciata in balia di sé stessa dopo la fuga del Re e Badoglio, la città dimostrò da subito come non intendesse collaborare con l’occupante. La battaglia di Porta San Paolo del 10 settembre sarà solo l’inizio della resistenza cittadina, che nei mesi precedenti al 23 marzo vedrà oltre sessanta azioni contro l’occupante e il suo alleato fascista.
L’azione dei Gruppi di Azione Patriottica si inserisce quindi in un contesto più ampio, in cui gli stessi comandi tedeschi cercavano di tenere basso il livello dello scontro, per mantenere calma la popolazione e poter usare la città come retrovia del vicino fronte. Fino a quel momento la risposta dell’occupante a bombe gappiste, sabotaggi e sparatorie si era limitata a fucilazioni di persone già condannate a morte, rastrellamenti o ordinanze repressive. Ma l’azione di via Rasella rappresenta un salto di qualità, il più eclatante attacco alle forze naziste in una capitale europea: un ordigno dei GAP e l’esplosione di diverse granate dell’unità militare bersaglio dell’azione, uccidono 33 soldati e ne feriscono gravemente almeno altri 45 (presenti sulla Verlustliste dell’unità, quindi perdite). Nonostante gli sforzi dei gappisti, che anche a rischio di far fallire l’operazione evacuano molti civili presenti, le esplosioni uccidono anche due civili, mentre altri cinque verranno uccisi dalle forze di occupazione nei momenti concitati successivi all’azione.
Le autorità naziste decidono di eseguire una rappresaglia esemplare, un’enorme vendetta per atterrire la popolazione locale e far così mancare il suo sostegno a chi resisteva con le armi. Nel giro di ventiquattrore viene così ordinata ed eseguita, anche con l’aiuto delle autorità fasciste e della questura di Roma, l’uccisione di 335 persone. Per anni è stata discussa la possibilità che i gappisti potessero evitare la rappresaglia consegnandosi, oppure evitare proprio di agire perché sapevano quali sarebbero state le conseguenze: in entrambi i casi si tratta di falsi storici, perché non esisteva al tempo alcuna “Repressalquote” di 10 a 1 né un automatismo nella realizzazione delle rappresaglie, mentre i famosi comunicati via radio o tramite cartelloni sono ancora oggi testi invisibili, mai scovati da nessuno in alcun archivio o fondo privato, addirittura esclusi dall’Oberbefehlshaber Südwest Albert Kesselring (anche se la sua testimonianza meno affidabile tra quelle rese ai processi alle Fosse Ardeatine, avendo lo stesso mentito sul suo coinvolgimento per evitare la pena di morte – v. Raiber 2002, von Lingen 2004).
Inizialmente denominato Polizeiregiment “Südtirol” e formato da circa 2.000 uomini delle coorti tra il 1900 e il 1912, il primo reggimento venne poi denominato “Bozen”
Il luogo della strage, le Fosse Ardeatine, sono diventate nel dopoguerra uno dei principali luoghi della memoria italiani. In Sudtirolo sarà invece Via Rasella ad essere al centro dell’attenzione, per via della provenienza del reparto attaccato: il Polizeiregiment “Bozen”, giunto in città a febbraio dopo quattro mesi di addestramento.
Chi erano allora, quelli del Bozen?
Con l’armistizio dell’8 settembre, le truppe della Wehrmacht attraversano il Brennero per unirsi a quelle già presenti sul territorio, che sarà così diviso in tre settori: in avanzamento da sud, i territori sotto il controllo del governo Badoglio e degli alleati; più a nord, la Repubblica Sociale Italiana; sui territori del confine nord-orientali, le due Zone di Operazioni sotto il diretto controllo del Terzo Reich. Il Sudtirolo faceva parte dell’Operationszone Alpenvorland, posta sotto il comando del Gauleiter del Tirolo Franz Hofer, che immediatamente si attiverà per l’utilizzo della popolazione locale per le esigenze belliche. Il Sudtirolo era infatti considerato una importante “riserva”, una sacca di risorse umane per la guerra da reclutare tra la popolazione di lingua tedesca.
Le linee guida elaborate da Hofer saranno però elaborate solo a partire dal novembre 1943, mentre il reclutamento per il “Polizeiregiment Bozen” era iniziato già il 1° ottobre. Per questo motivo esisteranno molte differenze tra questo reggimento ed i successivi – Schlanders, Alpenvorland e Brixen: per esempio, l’ordinanza che introduce la Sippenhaft e la pena di morte per i disertori, obbligando all’arruolamento tutti gli optanti e Dableiber delle classi nate tra il 1894 e 1926, è del 6 gennaio 1944, quando il “Bozen” ha già concluso l’addestramento.
Inizialmente denominato Polizeiregiment “Südtirol” e formato da circa 2.000 uomini delle coorti tra il 1900 e il 1912, il primo reggimento venne poi denominato “Bozen” e integrato con successivi innesti, come dimostra la composizione della compagnia attaccata in Via Rasella – dove il più anziano era Jakob Erlacher (43 anni), mentre il più giovane era il ventitreenne Arthur Atz. Spesso si trattava di reduci dell’esercito italiano, in particolare delle campagne d’Africa, e in larga parte erano optanti per la Germania, perché considerati politicamente più affidabili, spesso reclutati su base volontaria – anche se i reduci testimonieranno come in molti casi si fosse trattato di “volontarietà coatta” o di reclutamenti attraverso l’inganno. Si trattava di persone troppo vecchie o troppo giovani per essere aggregate alla Wehrmacht o alle Waffen-SS, ma era un’unità a scopo militare, con addestramento ed equipaggiamento non solo per compiti di sorveglianza e difesa di luoghi strategici, ma adatti alla guerra antipartigiana nelle zone dove opereranno. Le date di nascita rivelano anche come quasi tutti fossero nati sotto l’Impero asburgico, appartenessero quindi non solo al gruppo etnico tedesco ma lo fossero di nazionalità, cui bisogna aggiungere che molti di questi avevano o avrebbero presto perso la cittadinanza italiana “ricevuta” dopo l’annessione del 1919, per via della loro Opzione per il Reich.
Il reggimento presta giuramento il 28 gennaio e sarà diviso in quattro battaglioni, ognuno formato da quattro compagnie. Le tre compagnie del terzo battaglione del Polizeiregiment “Bozen” verranno impiegate in modi diversi: a rotazione sarebbero state impiegate due compagnie, mentre la terza doveva servire come riserva. Da febbraio a marzo, la nona e la decima verranno impiegate per la sorveglianza di luoghi strategici, mentre l’undicesima avrà un compito di facciata: ufficialmente destinata ad un supplemento di addestramento, in realtà avrà un ruolo repressivo indiretto tramite la propria stessa presenza in città. Un reparto in assetto da guerra, che marcia nell’uniforme grigioverde della Wehrmacht, cantando per farsi notare più possibile. Per questo, semplificando e banalizzando a partire da un particolare vero, il Presidente del Senato La Russa ha parlato di musicisti: non erano solo visibili, con le loro divise ed armi, ma venivano sentiti cantare durante le proprie marce, un modo per rendere più evidente possibile la propria presenza, la presenza dell’occupante.
“Venivano su cantando, nella loro lingua che non era più quella di Goethe, le canzoni di Hitler. Centosessanta uomini della polizia nazista, con le insegne dell’esercito nazista... Venivano su cantando, macabri e ridicoli...” Rosario Bentivegna in “Achtung Banditen” (2004)
Polizeiregimente – Né poliziotti né SS, ma soldati
I corpi di polizia germanici avevano subito una profonda mutazione con la presa del potere nazionalsocialista, con una progressiva militarizzazione in «Vorbereitung auf neue und größere Aufgaben in der Zukunft». Anche i Polizeiregimente saranno così formati a partire dalla struttura della Ordnungspolizei, sottoposti al „Höchsten SS- und Polizeiführer“ in Italia Karl Wolff, simili a soldati della Wehrmacht negli armamenti, nei gradi militari e nelle uniformi grigioverdi.
Per lungo tempo, soprattutto a partire dall’ambiente diplomatico dove De Gasperi aveva tutto l’interesse a presentare i sudtirolesi come ferventi nazisti, si è parlato di feroce reparto di SS
Il doppio ruolo di Wolff ricalcava quello di Himmler, Reichsführer SS und Chef der deutschen Polizei: il fatto che quest’ultimo fosse contemporaneamente capo delle SS e capo della polizia, unito a motivazioni di prestigio (e propaganda interna) e un riordinamento generale delle forze tedesche, sono stati probabilmente il motivo per cui con decisione del 24 febbraio 1943 tutti i Polizeiregimente – non solo quelli sudtirolesi – verranno ridenominati SS-Polizeiregimente: per il “Bozen”, già formato da mesi e in quel momento attivo in diversi scenari di guerra, il provvedimento verrà reso effettivo con un’ordinanza del 16 aprile. Si tratta però di un atto solamente formale, poco più dell’aggiunta di una sigla, perché il comando era già lo stesso, non verranno modificate le divise e se il Soldbuch diventerà a sua volta SS-, i soldati dei reggimenti non otterranno il numero di appartenenza alle SS.
Per lungo tempo, soprattutto a partire dall’ambiente diplomatico dove De Gasperi aveva tutto l’interesse a presentare i sudtirolesi come ferventi nazisti, si è parlato di feroce reparto di SS. La realtà è che la specifica compagnia attaccata in Via Rasella non era stata protagonista di crimini di guerra, ma se non le si possono attribuire particolari responsabilità, non si può neppure dare per scontata la loro innocenza. Se l’undicesima compagnia del “Bozen” viene sostanzialmente spazzata via dai GAP, le restanti unità del terzo battaglione continueranno ad essere impiegate a Roma e poi nel nord Italia in funzione antipartigiana; ancora, i due altri battaglioni saranno da subito attivi nella repressione della Resistenza italiana e slovena in OZAV e OZAK, partecipando anche all’incendio di villaggi, rastrellamenti e stragi come i più famosi episodi della Valle del Biois nell’agosto 1944 o l’eccidio di Bassano del Grappa del 26 settembre 1944. Il “Bozen” era un’unità armata e addestrata per compiti in cui altre unità si macchieranno di crimini, per cui risulta difficile che proprio quel reparto potesse sottrarsi dal meccanismo di morte del nazionalsocialismo.
La confusione sulle vittime
Il reparto attaccato in Via Rasella era quindi un’unità da combattimento, un legittimo obiettivo di guerra attaccato nelle modalità tipiche della resistenza urbana, che non poteva affrontare frontalmente l’occupante nazista ed il suo alleato fascista ma non aveva rinunciato ad agire. Il “Bozen” avrebbe potuto essere attaccato prima o successivamente, con modalità simili o senza alcuno spargimento di sangue: forse avrebbe avuto più o meno vittime, oppure sarebbero stati i suoi soldati ad uccidere. Se queste rimangono supposizioni è proprio grazie all’azione dei GAP romani, perché la partecipazione di quei 156 uomini alla Seconda guerra mondiale o alle politiche del regime sarebbe stata solo questione di tempo.
Per molto tempo si è anche parlato del “Bozen” come autore della strage, parte del plotone d’esecuzione secondo una ricostruzione circolante in ambiente diplomatico. Una versione poi letteralmente ribaltata da Umberto Gandini, che sulle pagine de “Il Giorno” intervista per primo i superstiti del “Bozen”. Uno di questi, Jacob Tock, racconta che i sottufficiali volevano che fossero loro a eseguire la fucilazione, ma che non era stato possibile perché "noi sudtirolesi non siamo fatti per queste cose, non potevamo uccidere così kaltbluetig, a sangue freddo". Una versione poi riassunta da Gandini come disobbedienza esplicita del “Bozen”, di cui si parlerà ancora negli anni successivi: ma fino al 1968, la mancata partecipazione del “Bozen” era stata legata alla più probabile decisione dei loro superiori, dopo che il comandante della compagnia Dobek li aveva presentati come inadatti e troppo cattolici. Un reparto almeno dimezzato, tra morti e feriti, non poteva realizzare una rappresaglia veloce ed efficiente. Una spiegazione molto più credibile di un aperto rifiuto da parte di soldati semplici, che sarebbero stati per questo puniti – se non con la morte, almeno con l’invio in reparti punitivi in quanto elementi inaffidabili.
Definire questi soldati delle “vittime”, allo stesso livello di quelle delle Fosse Ardeatine, non rende giustizia alle seconde e confonde rispetto ai primi. Questo è stato per molti anni il leitmotiv della pubblicistica sudtirolese in lingua tedesca, che più volte ha parlato di “368 Opfer”, ma anche della stessa propaganda dei due regimi – come da commento dello stesso Osservatore Romano, “trentadue vittime da una parte; trecentoventi persone sacrificate per i colpevoli sfuggiti all’arresto, dall’altra”.
No, alle Ardeatine non vennero uccisi solo perché italiani: vennero uccisi in una cieca vendetta, interessata ad una contabilità capace di incutere terrore.
Un passo indietro, all’origine di tutta la polemica di questi giorni, cominciata proprio nell’anniversario delle Fosse Ardeatine per il comunicato della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. La cofondatrice di Fratelli d’Italia e dal lungo curriculum di militanza studentesca nei partiti post-fascisti ha parlato di “335 italiani innocenti massacrati solo perché italiani”.
Innanzitutto, innocenti non lo erano né agli occhi di Herbert Kappler, l’organizzatore della strage che di fronte al tribunale spiegherà ampiamente la sua definizione di Todeskandidaten, ma neppure dei fascisti alleati, che prestano il loro aiuto per la realizzazione dell’eccidio. Non erano innocenti perché resistevano, non erano innocenti perché ebrei, non erano innocenti perché non si trattava di rispettare uno status giuridico, ma della realizzazione di una necessità: avere abbastanza persone da uccidere affinché la rappresaglia avesse effetto.
Non erano neppure tutti italiani: alcuni non avevano la cittadinanza, o non erano di nazionalità italiana. Ma soprattutto, gran parte di loro era considerata anti-italiana proprio da chi li uccise: non erano italiani perché appartenenti alla “razza ebraica” discriminata e poi ufficialmente perseguitata con le leggi razziali del 1938; non erano italiani perché chi era contro la repubblichina di Salò veniva accusato di essere contro l’Italia.
No, non vennero uccisi solo perché italiani: vennero uccisi in una cieca vendetta, interessata ad una contabilità capace di incutere terrore.
Complimenti a Lorenzo Vianini
Complimenti a Lorenzo Vianini per la ricerca seria, approfondita e documentata che ci aiuta a conoscere meglio fatti tragici che incidono ancora oggi sui diversi sentimenti e percezioni presenti nella nostra società.
Dass unsere aus Südtirol
Dass unsere aus Südtirol stammenden Soldaten, die in der via Rasella zu Tode gekommen sind, auch Opfer waren, glaube ich schon: Dass sie danach Auslöser einer Kette von weiterer Gewalt wurden, ist tragisch.
Bezogen auf heute siehe Russland-Ukraine. Eindeutog ist Russland der Aggressor und die Ukraine das Opfer. Und trotzdem sind im russischen Heer selbst tausende Soldaten auch nur Opfer!
In reply to Dass unsere aus Südtirol by Peter Duregger
Apropos Opfer. Erich Maria
Apropos Opfer. Erich Maria Remarque zeigte sich überrascht über die "politische Wirkung" seines 1928 entstandenen "Im Westen nichts Neues". Sein Thema sei ein rein Menschliches gewesen: Die Jugendlichen mit 18 Jahren, die dem Leben gegenübergestellt werden sollten, standen plötzlich dem Tode gegenüber. Ihn beschäftigte die Frage, was mit ihnen passierte. Sein Buch sei somit ein Nachkriegswerk – mit der Frage, wie "wir nachher leben können". In "Der Weg zurück" stehen die geschundenen Seelen vor den Lehrern, die sie in den Krieg schickten. "Eine Generation starb, bevor sie zu leben begann." Ungeachtet Remarques Absichten, die als Hollywoodfilm zum Oscarpreisträger inszeniert werden: Niemand lernt aus der Geschichte – sondern im Gegenteil: "Die Gefühle bestimmen das Denken und lassen nur wenig gesichertes Wissen zu"; so Viktor Klemperer, der den deutschen Nationalsozialismus überlebte.
In reply to Dass unsere aus Südtirol by Peter Duregger
"occorre ricordare sempre che
"occorre ricordare sempre che se gli uomini sono eguali davanti alla morte, non lo sono davanti alla storia"
Beim Schreiben dachte ich an dieses Zitat von Ridolfi, das ich dann vergessen habe, einzufügen. Natürlich verdienen auch die Südtiroler des Pol.Rgts. "Bozen" trotz ihrer Rolle in Rom eine Art Mitleid unsererseits, denn sie hatten ihr Leben verloren - vielleicht für eine Ideologie und Krieg, an die nicht alle von ihnen geglaubt hatten. Leider gibt es jedoch einen Unterschied zwischen diesen "Opfern" und denen der Fosse Ardeatine, und zwar den von der Geschichte umrissen: Wenn man, wie es die "Dolomiten" jahrzehntelang tat und tut, von 368 Opfern - 33 in der Via Rasella, 335 in der Fosse Ardeatine - spricht, stellt man sie *alle* auf die gleiche Ebene, aber das könnte es nicht sein, weil eine der Aggressor/Occupante und der andere der Angegriffene/vittima war, Soldaten in Waffen und Uniform oder Gefangene, die zum Galgen geführt wurden.
Diese Darstellung der
Diese Darstellung der Ereignisse in der Via Rasella und auch ihrer Interpretationen und Instrumentalisierungen in der Presse und Politik wird der Sache gerecht und jeder, der mit dieser Kriegsepisode irgendwie in Berührung gekommen ist, kann Lorenzo Vianini für diesen hervorragenden Artikel nur dankbar sein. Auch der Hinweis auf die zuverlässigsten wissenschaftlichen Arbeiten zu diesem Thema ist mehr als angebracht.
Herr Marcon verliert keine
Herr Marcon verliert keine Gelegenheit, die deutschsprachigen Südtiroler als Nazis hinzustellen. Ist Ihnen auch bekannt, dass Italien jetzt gerade von Neofaschisten regiert wird, von denen viele nicht am 25. April teilnehmen werden? Ist Ihnen bekannt, dass Italien mit dem 10. Februar sogar einen neuen Feiertag ins Leben gerufen hat, bei dem faschistische Opfer geehrt werden? Ich könnte fortfahren, aber ich belasse es vorerst dabei.
In reply to Herr Marcon verliert keine by Dennis Loos
Ich finde diesen meiner
Ich finde diesen meiner Ansicht (Meinung) nach extremen Nationalismus und diesen sichtbaren “Verfolgungswahn” gegen die deutsche Sprache und unseren Dialekt auch abstoßend, und bin beim Überlegen, Salto zu verlassen, da man hier permanent und periodisch, also nicht nur unbedacht, ständig aufgrund der Geschichte und der eigenen Sprachzugehörigkeit in ein Nazi-Umfeld gerückt wird, und Salto dazu schweigt und dafür ein Podium bietet.
Das ist für das Zusammenleben der Sprachgruppen einfach nur schädlich.
Meinungsfreiheit in allen Ehren - aber das?
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Es ist einfach nur schade, dass diese Extreme immer Raum erhalten, so meine ich;
Ich hoffe, diese Meinung wird respektier.
In reply to Ich finde diesen meiner by Peter Gasser
Ich empfinde Marcons
Ich empfinde Marcons Äußerungen meistens auch fragwürdig, da sie fast immer von nationalistisch-revanchistischem Geist beseelt sind, aber im Zusammenhang mit der Gedenktafel am Friedhof hat er recht. Schon die Wortwahl darauf ist ein Affront.
Etwas einseitige Darstellung
Etwas einseitige Darstellung ihrerseits. Waren an dieser Massenermordung nicht auch italienische Faschisten beteiligt? Vielleicht sogar "altoatesini"?
Für das Massaker von
Für das Massaker von Fivizzano sind nach dem Krieg 60 Mitglieder einer faschistischen (italienischen) Miliz und neun am Massaker beteiligte SS-Angehörige zu langen Haftstrafen, vielfach auch lebenslänglich, verurteilt worden. Die italienischen Faschisten sind anschließend alle amnestiert worden und konnten den Rest ihres Lebens als freie Menschen verleben. Bei der jüngsten Gedenkfeier musste sich also nur der deutsche Bundespräsident für die Verbrechen seiner Landsleute entschuldigen, während der italienische Staatspräsident erhobenen Hauptes als Unschuldsengel dastehen konnte. Seine Landsleute waren ja durch die Amnestie jeder Schuld enthoben worden. So einfach ist das.
Cerco di rispondere,
Cerco di rispondere, cogliendo l'occasione per ringraziare dei complimenti.
Normalmente se tutti sono vittime allora non possono esserci carnefici, ma in questo caso indicare 368 vittime è l'espediente per dare la colpa ai "colpevoli sfuggiti all'arresto": i gappisti, autori materiali dell'uccisione dei 33 soldati e morali dei 335 delle Fosse Ardeatine. Una narrazione anti-antifascista diffusa già a partire dall'Osservatore Romano del giorno successivo alla rappresaglia, ma molto diffusa sui media sudtirolesi. In questo confermata poi dalla targa e dalle cerimonie.
Ähnliche Situationen gab es jedoch in beiden Sprachgruppen, so dass ich denjenigen zustimmen muss, die mit dem Finger auf die faschistische Kollaboration oder das "fehlende" italienische Gedächtnis zeigen: Es geschah nicht nur mit den Südtirolern, die nicht *alle* Nazis waren und auch nicht *alle* bereit waren, diejenigen zu verteidigen, die sich (gewollt oder ungewollt) an der Politik des Dritten Reiches beteiligt hatten, aber für lange Zeit waren die Südtiroler an ihrer politisch-medialen Spitze von der sog. Wehrmachtsgeneration vertrat, die haben zu einer partiellen Erinnerung beigetrugen, wie ich in der Arbeit anhand der Fallstudie über Via Rasella erläutere; Es geschah mit den Italienern, die leider bald zu Amnestien und gescheiterten Prozessen gegen ihre eigenen Landsleute übergingen, während es vor Ort an ebenso schmerzhaften Zeremonien am Siegesdenkmal nicht mangelte; es geschah mit vielen anderen, Deutschen und Österreichern, aber auch zwischen die Alliierten - non si può dimenticare che lo stesso Kesselring del mito della "guerra pulita in Italia" è stato prima condannato, ma poi amnistiato dagli alleati.
Anche la capacità di fare i conti con i carnefici è stata sviluppata molto tardi nella stessa Germania che pure è generalmente considerata più capace di affrontare il proprio passato. Dopo Norimberga ci vorranno anni per arrivare agli altri processi, o per disfarsi del mito del "unbefleckten Schild der Wehrmacht", come riassume nel suo agile volume "La Germania sì che ha fatto i conti con il nazismo" Tommaso Speccher (Laterza 2022).
Il punto è che non possiamo *ogni volta* perderci nel fare mille confronti, per scrivere che a questi colpevoli se ne aggiungono altri, che ogni carnefice era un po' vittima ecc. Bei solchen Diskussionen, die einem Südtiroler Historiker nur allzu oft widerfahren, beziehe ich mich immer auf eine Anpassung der Faulenbach-Formel als gemeinsame Grundlage für die Aufarbeitung der traumatische Verfangenheit als eine dialogische Erinnerung (A. Assmann): Die NS-Verbrechen dürfen durch die Auseinandersetzung mit den Verbrechen des Faschismus nicht relativiert werden. Die faschistischen Verbrechen dürfen durch den Hinweis auf die NS-Verbrechen nicht bagatellisiert werden.
Faulenbach-Formel aus dem Schlußbericht der Enquete-Kommission "Überwindung der Folgen der SED-Diktatur im Prozeß der deutschen Einheit": Die NS-Verbrechen dürfen durch die Auseinandersetzung mit den Verbrechen des Stalinismus nicht relativiert werden. Die stalinistischen Verbrechen dürfen durch den Hinweis auf die NS-Verbrechen nicht bagatellisiert werden. https://dserver.bundestag.de/btd/13/110/1311000.pdf hier auf Seite 240
In reply to Cerco di rispondere, by Lorenzo Vianini
Danke Herr Vianini für den
Danke Herr Vianini für den Kommentar. Und Sie haben ja Recht, man kann die Schuld nicht verrechnen, nie. Aber bei bestimmten Kommentaren, die explizit nur die Nazischuld der Südtiroler anprangert, kann ich manchmal nicht anders, als eben auf die andere Seite hinzuweisen, ohne jedoch zu bagatellisieren oder zu relativieren, so hoffe ich zumindest.
Kennen Sie Christoph Hartung
Kennen Sie Christoph Hartung von Hartungen, Leopold Steurer, Norbert C. Kaser, Alexander Langer, Claus Gatterer, Hans Heiss um ein paar Beispiele zu nennen? Ist Ihnen bewusst, dass Italien am 10. Februar faschistischen Opfern einen Feiertag gewidmet hat?
Und Italien hat seine
Und Italien hat seine Faschistenzeit aufgearbeitet, die Schuldigen bestraft, und dem Neofaschismus abgeschworen,.........? Ach mussten Sie ja nicht, sie waren ja auf der Seite der Sieger.
Das ist schrecklich, Herr
Das ist schrecklich, Herr Marcon! Jetzt verstehe ich auch, warum Sie in jedem Südtiroler einen Nazi suchen wollen. Es ist historisch trotzdem falsch und ungerecht, aus einer persönlichen oder familiären Erfahrung auf die Gesamtheit der anderen zu schließen.
Das ist wirklich schrecklich
Das ist wirklich schrecklich für Ihre Familie. Und trotzdem ist Ihre Antwort, non ho la minima idea, unbefriedigend, denn entweder Sie verurteilen alle Schuldigen, egal ob Nazis oder fascios, dieser grausigen Verbrechen, oder, wie Sie sagen würden, é di parte, und es erübrigt sich jede weiterr Diskussion.
Posso essere d'accordo solo
Posso essere d'accordo solo in parte. Sicuramente da parte della società mancano ancora molti passi in avanti, ma questo sia da parte italiana che da parte tedesca: per prendere un suo esempio, l'antisemitismo è collegato anche da tanti italiani alla sola alleanza con il nazismo, per lo stesso meccanismo di esternalizzazione della colpa.
Non solo "del fascismo italiano e altoatesino qui si sa tutto", ma neppure si son fatti completamente i conti con lo stesso. Rimangono enormi campi di studio appena approcciati per quanto riguarda il fascismo storico, mentre per la sua memoria e il ruolo del post-fascismo siamo ancora nella fase iniziale della ricerca. Soprattutto il rapporto reciproco tra queste memorie è appena accennato negli studi di Erinnerungskultur pubblicati fino ad oggi, che tra l'altro sono principalmente relativi al gruppo linguistico tedesco - che per motivi numerici ha più studiosi, ma che ha anche visto una "rottura" con la propria tradizione storiografica molto più rilevante e di effetto, che in quarant'anni ha avuto degli effetti. È già parte del patrimonio comune di tutta, o gran parte, della popolazione di lingua tedesca? Non ne sono pienamente convinto, ma nel tempo si sono visti importanti passi in avanti e l'evoluzione l'ho tracciata proprio in un Gastbeitrag su Salto.bz dello scorso anno. I media Athesia sono molto indietro? alcuni politici SVP e non solo anche? Certamente, ma non sono tutto il sudtirolo, né rappresentano tutti i sudtirolesi. Da parte "nostra" sarebbe non solo ingeneroso non riconoscerlo, ma vorrebbe dire sbarrare proprio la strada a quei passi avanti, perché per reazione vi si chiude a riccio.
Ma se ci poniamo la stessa domanda per gli "italiani", quelli locali come quelli del resto del paese, non credo che la risposta sia molto più positiva: il fascismo è stato, che lo vogliamo o no, per lungo tempo il collante della comunità italiana del Sudtirolo ad un livello molto profondo, legato ai meccanismi di potere e al proprio status perduto, per cui ancora oggi si sentono molte banalizzazioni. Non è lontano il tempo dei latrati sulla "nostra storia" messa in pericolo quando si tratta dei simboli del regime, dell'odonomastica e della toponomastica - temi su cui comunque serve un approccio di compromesso, ma dove più spesso regna l'intransigenza *anche* da parte italiana.
È una grande montagna difficile da scalare, ma in cui ognuno porta il suo pesante fardello. E deve farci i conti senza limitarsi a guardare quello altrui.