Nuove montagne, vecchi modelli
Emergenza Covid. Surriscaldamento climatico. Crisi economica. I tre macigni rotolano a valle sconquassando le strutture sciistiche che incontrano. Di medie o piccole dimensioni che siano. Dagli Appennini alle Alpi, verrebbe da dire, prendendo a prestito, pur storpiandolo, il titolo di un racconto nel libro Cuore che alludeva piuttosto alle Ande.
Di montagne Edmondo De Amicis ne capiva, da piemontese d'adozione qual era. Sapeva anche sciare? Poco importa; se ormai si ha un vago ricordo del suo romanzo, si spera solo di non averne presto uno altrettanto vago di alcune piste.
Inverno liquido (DeriveApprodi, Roma 2022) ci parla di questo. Di un modello economico attestato da tempo che il cambiamento climatico mette in ginocchio; lo critica ma senza rabbia o inutili enfasi; con dati alla mano. Gli autori Maurizio Dematteis e Michele Nardelli lo hanno recentemente presentato alla Biblioteca Provinciale di Bolzano. “Sono il simbolo di un sistema di crescita infinita che oggi è ormai al tramonto”, dicono nel loro libro degli impianti di risalita in disuso, sparsi qua e là in tutta Italia. Specialmente quelli attorno ai mille metri.
Immagine desolante a cui la nostra regione non sfugge. Nell'intero arco alpino si è alle prese con inverni vieppiù liquidi per i ghiacciai che arretrano e la poca neve che subito si scioglie, ma, giunta la bella stagione, anche con la siccità; ce lo confermano i livelli di Isarco e Talvera. Non è necessario essere idrologi. Basta un'occhiata.
Da Ponte Langer, ad esempio, il collegamento pedociclabile a emissioni zero intitolato all'ambientalista che di crisi climatiche parlava già decenni fa. Sovente inascoltato. All'evento “Colloqui di Dobbiaco 94” (8-10 settembre 1994), Alexander Langer sosteneva che “Quasi non si sta più a sentire quando si recita, più o meno completa, la litania delle catastrofi ambientali”. Figurarsi poi nel 2023. Quasi sordi.
Invitato speciale alla presentazione di Inverno liquido Michele Bozzoli, ricercatore presso EURAC e Università di Trento; snocciola dati a livello locale che mettono i brividi. Nonostante il caldo in sala. “È aumentata negli ultimi quarant'anni la pioggia in alta quota, mentre a fondovalle piove meno”, avverte lo studioso, aggiungendo che tuttavia “la temperatura media è ancora sufficientemente bassa da avere neve”. Meno neve e più acqua in alto; e meno acqua e più siccità in basso. In altre parole, sempre peggio.
Indicando segni rossi e frecce blu sul grande schermo, Bozzoli espone i dati inconfutabili di anni di ricerche. Convergono a delineare un quadro poco rassicurante. “Gli inverni potrebbero registrare a Bolzano città, da qui al 2050, un aumento tra 1,1 e 1,3 °C e fino al 2100 tra 1,8 e 4,7 °C”. Le cifre, qui come altrove, parlano chiaro; eppure non servono a suggerire nuovi comportamenti.
I modelli economici che hanno portato a sfruttare la montagna sono duri a morire; diverse imprese non sanno come reinventarsi. “Le strutture familiari degli alberghi non reggono”, tiene a precisare Nardelli. “Duecentocinquanta alberghi hanno chiuso [negli ultimi anni in regione]. Sono saltate le filiere della qualità, perché si punta sulla quantità soltanto. Diversi hotel si approvvigionano al discount invece che presso i produttori locali”.
Della neve di una volta rimarrà solo un ricordo. Poco ma sicuro. De Amicis ne vedeva senz'altro di più, centocinquant'anni fa, allorché scriveva di Marco, un ragazzino genovese nell'andina Tucumán.