"Vi racconto la strage degli ulivi"
Lo scrittore bolzanino Daniele Rielli, presenterà oggi (13 aprile) alle ore 18 al Waag Café in Piazza del Grano, in dialogo con Claudio Giunta, il suo ultimo libro fresco di stampa "Il fuoco invisibile. Storia umana di un disastro naturale", appena pubblicato da Rizzoli. Anche il suo primo romanzo Lascia stare la gallina del 2015 era ambientato nel Salento. Poi sono seguiti Storie dal mondo nuovo (Adelphi, 2016) e Odio (Mondadori, 2020). Con Fuoco invisibile Daniele Rielli, che è anche sceneggiatore, regista di un documentario, autore di reportage, conduttore di un podcast e autore teatrale, torna nella regione salentina dove ha radici familiari importanti, con un libro di giornalismo narrativo sul disastro naturale dell’infezione da Xylella, il fuoco invisibile che in Puglia in poco più di un decennio ha bruciato e annientato 21 milioni di ulivi secolari, segnando radicalmente il paesaggio. Un disastro che, sostiene Rielli, si sarebbe potuto evitare.
salto.bz: Rielli, come è nato Fuoco invisibile, l’idea di scrivere un libro e poi come ha lavorato per realizzarlo?
Daniele Rielli: Il fattore autobiografico ha contribuito sia a far sì che mi occupassi della tematica -per scoprire cosa stesse succedendo – sia a volerla poi raccontare ai lettori. La mia famiglia ha radici nel Salento ed è stata direttamente interessata dal dramma che ha sconvolto un paesaggio e un’economia tramandata da generazione in generazione, gli ulivi sono stati il lavoro di mio nonno paterno e per mio padre rappresentano il principale legame affettivo con la terra che ha lasciato molti decenni fa. L’arrivo del batterio avviene in un momento storico molto particolare: le campagne nel Salento erano ormai frazionate in piccolissimi appezzamenti e da anni la produzione dell’olio era nella maggior parte dei casi limitata all’autoconsumo famigliare, questo era dovuto anche al fatto che nel Salento molti ulivi risalivano all’epoca dell’olio lampante ( l’olio che prima dell’invenzione dell’elettricità veniva usato per l’illuminazione); potevano produrre anche ottimo olio extravergine ma con dei costi altissimi e fuori mercato. Questo aveva portato a un graduale abbandono delle campagne. D’altra parte però gli ulivi secolari definiscono il paesaggio dell’area mediterranea, sono alberi che appartengono all’immaginario di tutti noi, sono piante con una valenza culturale millenaria, quindi simbolicamente erano ancora fondamentali. Quando il batterio ha cominciato a ucciderli la reazione della popolazione è stata fortissima e questo, paradossalmente, non ha affatto aiutato il contenimento dell’epidemia, le ha, anzi, spalancato le porte e portato alla sua diffusione su un territorio oggi enorme. I protagonisti del libro sono molti, dai coltivatori, ai ricercatori fino ai negazionisti; il confronto con loro e con la storia di questa epidemia, mi ha portato a conoscere aspetti del mondo che circonda l’ulivo che prima ignoravo, aspetti molto spesso in contrasto con la narrazione fiabesca a cui inconsciamente ci aggrappiamo – soprattutto in città – quando parliamo di natura e di agricoltura. La realizzazione del libro è stata complessa, mettere insieme il materiale delle ricerche, tutte le testimonianze, rispettando le persone reali di cui scrivevo e cercando comunque di dare una forma piacevole alla lettura, non è stato facile.
Come ha strutturato la narrazione?
Ci sono molti piani di narrazione che si incrociano, è un libro ibrido in molti sensi; è un po’ romanzo, un po’ saggio e un po’ reportage narrativo ma se dei tre generi dovessi sceglierne uno direi però il primo, “il fuoco invisibile” è il romanzo della strage degli ulivi, un romanzo però dove tutti i personaggi sono reali e i fatti raccontati sono veri. C’è anche una parte autobiografica che riguarda me e la mia famiglia e il rapporto con mio padre.
Quali sono i personaggi (veri) principali del libro?
Le persone travolte dal propagarsi incontrastato della malattia che ho incontrato in questi anni. Ad esempio Giovanni Melcarne, esponente dall'antica famiglia di olivicoltori di Gagliano del capo, nella zona di Leuca, un uomo per molti versi geniale che negli anni ha lavorato giorno e notte per trovare un modo per continuare a far crescere gli ulivi nel Salento. Oppure i ricercatori del Cnr di Bari, come Maria Saponari, l’eccezionale scienziata che per prima ha isolato il batterio, o Donato Boscia, l’uomo che ha messo in moto la macchina che ha individuato il batterio – prima sconosciuto in Europa – perché aveva notato degli strani disseccamenti nell’uliveto del suocero, nelle campagne di Gallipoli. Entrambi questi ricercatori dopo aver scoperto il batterio sono stati accusati di averlo diffuso dalla magistratura di Lecce, per poi essere scagionati solo dopo molti anni e premiati dal mondo scientifico internazionale. Nel libro riporto anche le tante conversazioni che ho avuto con Ivano Gioffreda, uno dei leader del movimento negazionista. La narrazione negazionista ebbe sin dall’inizio molto successo sul territorio e poi anche sui media nazionali, con attori, comici e cantanti che si improvvisarono esperti di agricoltura e ribaltarono i dati di fatto, offrendo false speranze fondate sul pensiero magico. Una narrazione completamente falsa che ha avuto un ruolo fondamentale nell’arrivare alla situazione disastrosa attuale, perché opponendosi al taglio di poche migliaia di ulivi infetti si lasciò che la malattia si diffondesse e ne uccidesse 21 milioni.
Anni prima che scoppiasse l’epidemia della Xylella mio nonno sognò uno dei suoi ulivi bruciato da un fuoco invisibile, proprio come poi è accaduto e sta ancora accadendo
Qual è il collante del racconto, oltre naturalmente agli avvenimenti che ruotano intorno al fenomeno della Xylella?
Forse lo sguardo autobiografico, di narratore coinvolto in qualche modo da vicino in un evento che tocca le corde del legame con l’ambiente e con il nostro modo di rapportarci a quella che chiamiamo ‘natura’, senza considerare che è un costrutto idealizzato, la realtà ci vede sempre coinvolti nella creazione del paesaggio. La soluzione sarebbe provare a trovare un rapporto armonioso e sostenibile – utilizzando la scienza, non rifiutandola – ma per farlo è bene staccarsi dalle narrazioni a cui siamo inevitabilmente inclini. Penso che questo libro aiuti a comprendere, oltre ai fatti, anche certi meccanismi psicologici, di cui è facile essere vittime. È questa la radice universale di questo libro: cosa succede quando un’intera comunità incomincia a credere in delle narrazioni completamente false e pericolose? In un certo senso non esiste un incubo più contemporaneo e condiviso di questo. È un tema molto più grande di una malattia delle piante, per quanto devastante.
Eppure, nel suo libro tutto parte da un sogno.
È un sogno che fece mio nonno poco prima di morire, anni prima che scoppiasse l’epidemia della Xylella. Sognò uno dei suoi ulivi bruciato da un fuoco invisibile, proprio come poi è accaduto e sta ancora accadendo, a milioni di alberi: il batterio in fondo fa proprio questo: lascia le piante come bruciate, ma senza che sia avvenuta alcuna combustione. Forse era un sogno premonitore, alla fine dei conti sono un essere umano anche io e il mondo magico fa parte anche della mia natura. Il punto è riuscire a convivere con questa inclinazione umana senza farsi trascinare in scelte assurde che, questa vicenda lo dimostra, possono creare disastri su scale gigantesche.