Cinema | Recensione

Bogart scansati

Honey Don’t!, il nuovo capitolo della trilogia queer neo-noir di Ethan Coen e Tricia Cooke, è un film imperfetto ma godibilissimo. Merito soprattutto di una Margaret Qualley dal carisma micidiale.
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Foto: Screenshot
  • ***1/2

    La premiata ditta Ethan Coen e Tricia Cooke arriva al cinema con il secondo capitolo della sua “lesbian B-movie trilogy”. Dopo Drive-Away Dolls fa il suo debutto sul grande schermo Honey Don’t!, un’altra dark comedy con protagonista una centratissima Margaret Qualley, questa volta affiancata da Aubrey Plaza

    Cos’è

    Il b-movie a tinte pulp di Coen e Cooke ruota attorno a Honey O’Donahue (Margaret Qualley), un’investigatrice privata di Bakersfield, in California, dura e disillusa come nella più classica tradizione del filone hard-boiled (ma senza mai risultare caricaturale), sottogenere del poliziesco di cui Humphrey Bogart è stato il volto iconico.

    Indagando sulla morte di una cliente Honey scopre che quest’ultima aveva dei legami sospetti con la setta truffaldina “Four-Way Temple” e con il suo losco pastore, il reverendo Drew Devlin (Chris Evans) che, tra un rapporto sessuale e l’altro con le sue vulnerabili seguaci, si scopre essere coinvolto in un traffico di droga e con un gruppo non meglio identificato di criminali francesi.

    Honey, che deve vedersela anche con problemi famigliari – una nipote, Corinne (Talia Ryder), alle prese con un fidanzato violento –, inizia una relazione con l’agente di polizia MG (Aubrey Plaza) mentre si ritrova a respingere costantemente le avance di Marty, un altro agente (Charlie Day). 

  • (c) Focus Features

  • Com’è

    Honey Don’t! è un film disconnesso, che a tratti si perde per strada (o perde per strada il mistero alla base del racconto) e finisce un tantino in vacca? Sì. Potrebbe essere catalogato come un sottoprodotto “annacquato” dei fratelli Coen? Sì. Nonostante tutto questo il film funziona? Di nuovo: sì. L’aspetto satirico/grottesco e stravagante insieme al topos della provincia americana in cui si muovono personaggi perlopiù tonti o poco raccomandabili è il tipo di storia che avrebbe potuto scrivere l’accoppiata Ethan e Joel Coen, anche se non affiora la profondità tipica della loro migliore filmografia.

    Malgrado le sue imperfezioni, buchi di trama in primis, Honey Don’t! si tiene in piedi con i dialoghi e le interpretazioni di Margaret Qualley, impeccabilmente allineata con il tono del film, e di Aubrey Plaza che, al solito, lascia il segno ogni volta che compare sulla scena. Quello che il film difetta in coerenza narrativa compensa con la sua energia irriverente e accelerata. Coen e Cooke, disinteressati alla medaglietta del film d’autore da appuntarsi sul petto a tutti i costi, creano un noir moderno sexy e fuori dagli schemi, malinconico, elegante e sfacciato allo stesso tempo. Insomma con personalità. Honey Don’t! è un pasticcio giocoso con poche pretese, uno di quei film da godersi con un fustino di pop corn tra le mani senza pensarci troppo su, perché quel che sembra voler fare è solo offrirci un’ora e mezzo di genuino intrattenimento. E chi siamo noi per rifiutare.