La fine della ragione
“Se io avessi previsto tutto questo, dati causa e pretesto, le attuali conclusioni...”
L'Avvelenata di Guccini è la canzone arrabbiata per eccellenza, che trasuda rivalsa e voglia di andare contro il mondo; e di “costruir su macerie”. Anche se “mantenersi vivi” non è cosa da poco, in fondo.Ma cosa c'entra una vecchia canzone del cantautorato italiano con La Fine della Ragione di Roberto Recchioni? Andiamo con ordine.
La Fine della Ragione è un fumetto – o graphic novel, per i più snob – scritto e disegnato dalla rockstar del fumetto italiano, fumettista e romanziere, già curatore di Dylan Dog, creatore delle serie John Doe, Battaglia, Orfani, la serie di romanzi Mondadori YA e recentemente, un film è stato girato a partire da un suo soggetto: Monolith. Il suo ultimo lavoro, pubblicato dalla neonata Feltrinelli Comics e lanciato dopo il fumetto di Daniel Pennac per la stessa collana, è uno strano incrocio tra una vecchia ballata anni '60 e un pezzo punk dei Ramones. Con Guccini e i Ramones condivide l'urgenza di dover raccontare ciò che si pensa e si sente: la necessità di dover dire la propria scontrandosi con il mondo per suscitare una reazione. Il racconto procede attraverso la razionalità dell'analisi e l'istintività del segno e della narrazione.
La Fine della Ragione ci racconta un mondo post-apocalittico, in cui “loro” hanno vinto: non esistono più i mezzi d'informazione perché erano controllati dai governanti, gli aerei non volano più in cielo perché diffondevano scie chimiche, i medicinali e i vaccini non esistono più perché causavano malattie e autismo.Potrebbe sembrare una qualsiasi prima pagina di un qualsiasi quotidiano italiano ma il fumetto di Recchioni, oltre al contesto, ci racconta una storia ancora più viscerale, la storia di una madre che non si arrende, con una figlia molto malata e che farebbe di tutto per salvarla: persino andare a cercare i dottori alla fine del mondo per procurarsi le medicine necessarie. La Madre, stilema della letteratura e simbolo atavico nell'essere umano, permea ogni racconto di Recchioni, che non rinuncia mai, in ogni sua opera, a introdurre o rendere protagoniste forti figure femminili, determinanti per lo sviluppo della narrazione stessa.
Oltre alla forte e manifesta critica al mondo dei terrapiattisti e degli "uno vale uno", Recchioni non rinuncia però a criticare il mondo di quella che di solito chiamiamo Cultura o, più in generale Sapere. I dottori del sapere si sono infatti rifugiati sotto a un monte, in un bunker segreto e non parlano la lingua comune. Loro comunicano per formule oscure, ricondotte alla magia nera dei Big Pharma, che il popolo non riesce a comprendere e quindi rifiuta. Non è solo colpa della Gente, quindi, ma anche del piccolo mondo che detiene un certo tipo di sapere, colpevole di non aver cercato di incontrare le questioni problematiche dello sviluppo della società e di non avere intercettato i metodi giusti per condividere e far sviluppare il sapere stesso.
Bersaglio di Recchioni è anche la Scuola, come istituzione che non ha saputo cambiare i suoi metodi di insegnamenti, che si è lasciata mettere in discussione e che ha contribuito in prima istanza ad auto-svilirsi. In mezzo alla scuola e agli studenti c'è invece quella particolare generazione di genitori che crea inopportuni gruppi Whatsapp per coordinarsi e scambiarsi vari "Buongiorno" e "Buon caffè". Insomma, Recchioni condanna anche il mondo del sapere per essersi abbarbicato sulle proprie speculazioni, senza averle sapute divulgare correttamente, con la diabolica complicità di una cattiva informazione, ma anche quello delle istituzioni e - come vedremo - della politica.
Come l'Avvelenata e il Don Chisciotte di Guccini, il fumetto si contraddistingue per una narrazione e un segno onestamente arrabbiato, che va dritto al punto e non si perde in trame audaci e intrecci da romanzo corale dell'ottocento, non lesinando un po' di furbizia e di strizzate d'occhio ai lettori che amano divorare racconti dell'ultima generazione di postmoderni; è un racconto punk, che elimina il palco da rockstar e si mette sullo stesso piano del lettore e già dall'introduzione, che fa da chiave di lettura del racconto, scoprirete anche come. Recchioni si mette sia sullo stesso piano del lettore del nostro mondo, che quello del futuro, in cui nessuno sa leggere, e proprio per questo è necessario che il suo alter ego post-apocalittico utilizzi le immagini per lasciare al mondo il suo memoriale.
Un memoriale che somiglia alle pagine di un diario lasciato incompleto, di cui le pagine rimanenti sono state usate per raccontare una storia, l'ultima storia, che forse qualcuno sarà destinato a trovare. Un'Italia del futuro ma fatta sempre e inesorabilmente di eterne province del profondo sud, della Tuscia o della pianura padana, popolata solo dalla vecchia ferraglia delle Panda 4x4. I riferimenti di Recchioni sono palesi e mai nascosti: Frank Miller, Go Nagai, Andrea Pazienza, gli autori che più si sono contraddistinti per i loro racconti viscerali e potenti, per il loro segno netto e sporco allo stesso tempo, gli autori che hanno saputo rappresentare i demoni che ci sono sulla terra.
Forse La Fine della Ragione è il fumetto più politico che Recchioni abbia mai scritto, meno viscerale del famoso e provocatorio Mater Morbi ma d'altra parte molto meno adolescenziale, anzi, completamente maturo e consapevole del mezzo che utilizza e, questo il maggior pregio, senza alcuna retorica impressa sulla carta che possa consolare il lettore sprovveduto. Non è però un fumetto senza speranza - qualcuno direbbe che è frutto del pessimismo dell'intelligenza e dell'ottimismo della volontà. Ma allora come fare per sovvertire e scardinare le logiche della religione-superstizione, dell'irrazionalità e delle opinioni da bar? Certo, dovremmo lavorarci su, a patto che saremo in grado noi stessi di saper riaccendere le stelle che abbiamo cominciato a spegnere, una dopo l'altra, fino alla morte termica della Ragione.