Imparare dalla resistenza animale
Il 23 gennaio 2022 a Trento un gruppo di NO TAV stava esprimendo nei pressi di una trivella esplorativa la propria contrarietà al progetto della circonvallazione ferroviaria (e del tav) quando agenti in tenuta antisommossa hanno caricato. Il giorno seguente alcuni giornali locali hanno intitolato “Tentato sabotaggio della trivella”. Nessuna notizia circa le persone ferite dagli agenti. Lo stesso giorno a Roma gli studenti che manifestavano in ricordo di Lorenzo Parelli, il giovane morto sul lavoro durante il programma scuola-lavoro, sono stati picchiati dalle forze dell’ordine perché “colpevoli” di voler proseguire il corteo fino a raggiungere il Ministero dell’Istruzione. Quello stesso fine settimana, a Ottawa (Canada) è cominciata la protesta dei camionisti contro le restrizioni Covid che ha visto migliaia di persone scendere in piazza nonostante le temperature sotto zero. C’è chi parla del Freedom Convoy come di una rivolta che non si vedeva dal dopoguerra eppure non pare che i media siano troppo propensi a raccontarla (se non in modo sbrigativo e denigratorio).
Dal locale all’internazionale sembrerebbe che il desiderio di combattere per ciò che si ritiene giusto non sia ancora tramontato tuttavia parrebbe che i gesti di protesta siano sempre più condannati o quantomeno non incoraggiati. In questi tempi caratterizzati dalla criminalizzazione del dissenso e da una acriticità dilagante che ha come conseguenza l’accettazione di ogni sopruso è stato recentemente reso disponibile in italiano da Ortica Editrice il saggio del 2010 di Jason Hribal “Paura del pianeta animale. La storia nascosta della resistenza animale”. In questo libro lo storico statunitense raccoglie numerose storie di animali che all’interno delle mura di circhi e zoo si oppongono con intelligenza e talvolta ferocia al potere che gli umani – addestratori così come spettatori – esercitano su di loro partendo dal presupposto fondamentale per cui tutti gli animali sono sovversivi. Nella bella prefazione di Barbara Balsamo e Silvia Molè, si legge:
“La necessità di contenerne la fuga e attacchi, con gabbie, recinti, catene, misure di sorveglianza, corridoi della morte fa di ogni animale un sovversivo”
Ricordando episodi che vedono come protagonisti orche, delfini, elefanti e scimmie ribelli, Hribal racconta come, nelle loro azioni di resistenza, gli animali prendano di mira solo i loro aguzzini agendo secondo quella che viene definita una “coscienza animale”. Tale coscienza animale non è solo ciò che permette che nessun innocente rimanga coinvolto, ma è anche ciò che fa sì che le ingiustizie subite non vengano mai dimenticate. Prendiamo l’esempio delle orche: “Quando le orche resistono contro il loro sfruttamento, lo fanno dosando i livelli di intensità e di avvertimento. Uno sguardo adirato di norma precederà un colpo contundente. La cattura di un arto può essere seguita da ripetuti trascinamenti sott’acqua. Come ultimo atto, le orche tratterranno o bloccheranno il loro addestratore sul fondo della vasca fino a fare annegare la persona. Le orche sono creature molto intelligenti. Sono arrivate a comprendere la fragilità e le debolezze delle loro controparti umane”. Gli episodi che coinvolgono le orche hanno in comune con quello di Janet, l’elefantessa che con la sua proboscide afferrò un pungolo uncinato caduto a terra e lo sbatté ripetutamente contro un carrozzone del circo prima di darsi alla fuga, il fatto che l’odio nei confronti della propria condizione di schiavitù si mostra essere il motore della rivolta. Tanto in solitaria quanto in branco, gli animali organizzano la loro rabbia contro gli umani anche quando le possibilità di vittoria sono vane, una determinazione questa che fa tornare alla memoria le ripetute e stupefacenti fughe dell’orso trentino M49 – soprannominato “Papillon” come il protagonista dell’omonimo libro impegnato in un’evasione impossibile da un carcere di massima sicurezza – dai recinti (carceri) nei quali è stato confinato.
Oltre al merito di valorizzare la resistenza animale, “Paura del pianeta animale” fa riflettere sulla resistenza umana portando a galla delle diversità tra persone e animali che restituiscono un’immagine un po’ misera dell’umanità. Oltre a non temere le conseguenze di una ribellione ritenuta giusta, gli animali mostrano un’ulteriore differenza rispetto agli umani: l’eterno coraggio di interrompere lo status quo. Laddove “la persona sovversiva viene celebrata a posteriori, quando da morta non è più in grado di nuocere al padrone, oppure dimenticata, quando la miccia che ha innescato è diventata bene pubblico ma storicamente invisibile”, sarebbe auspicabile imparare dalla determinazione dell’orca e dell’elefantessa capaci di spezzare le loro catene anche se questo disturba il “quieto vivere” dello zoo e del circo. Oggi che la libertà è considerata merce di scambio a favore di un’apparente sicurezza e di uno scellerato sviluppo tecnologico le parole di Geoffrey Chaucer – citato anche nel libro – appaiono quanto mai necessarie:
“Prendi un uccello qualsiasi e mettilo in gabbia, e cerca con ogni cura e attenzione di provvedergli teneramente da mangiare e da bere, qualsiasi leccornia a cui tu possa pensare, e tienilo più pulito che puoi: quand’anche la sua gabbia d’oro fosse la più bella mai esistita, quest’uccello preferirebbe ventimila volte di andare in una foresta selvaggia e fredda, a mangiare vermi e altre porcherie. E finché potrà, quest’uccello cercherà sempre di fuggire dalla gabbia… quel che conta per lui è la propria libertà!”.
Trovo il libro molto
Trovo il libro molto interessante ma le premesse altresì sbagliate. Un conto è rompere le scatole alle orche, cosa che secondo me non si dovrebbe mai fare. Un'altra è manifestare non rispettando le regole. E non ho detto che non si può manifestare, ma che comunque vanno rispettate le regole! E se le regole non stanno bene allora si combatte e si muore per i prori ideali. (che poi oggi come oggi la manifestazione non interessa più a nessuno) Se poi la tanto decantata libertà significa fregarsene degli altri (vedi la qestione covid) allora anche la manifestazione in sè è eticamente sbagliata.