Gocce d’arte
Vi è mai capitato di essere sdraiati sul lettino del dentista che smaneggia nella vostra bocca e nel frattempo i vostri occhi cercano qualcosa cui ancorare lo sguardo per distrarre la mente?
Ebbene, a me sì. Nello studio dove mi sono recata di recente, in pieno centro a Merano, per fortuna non mancano opere d’arte interessanti, ove posare lo sguardo inquieto sia durante l’attesa nella confortevole saletta che nelle varie sale operatorie. Da subito, appena entrati in sala d’attesa c’è un enorme quadro a firma di Pierluigi Mattiuzzi, posizionato sopra un divano azzurro in mezzo a due grandi piante verdi: uno dei suoi tipici paesaggi astratti a colori, dipinto a strati, con la dominante in oro che brilla secondo l’incidenza della luce, data la ricopertura in resina trasparente. Secondo il punto di vista di ognuno, vi si possono individuare forme di vegetazione o esseri umani o astrali, perfetto per placare le ansie che ci assalgono quanto entriamo in uno studio dentistico. L’arte di Mattiuzzi, pittore meranese che aveva esposto i suoi totem al Museion nel lontano 1998 sotto la direzione di Pier Luigi Siena, lascia libero colui o colei che la guarda nel vagare al suo interno e immaginare mondi vicini o lontani…
Sulla parete di fronte a due finestre luminose troneggia invece la stampa di un quadro di Michael Höllrigl, le cui righe ondulate verticali rosse e nere su sfondo bianco creano un impatto di altro tipo nel loro essere ferme, decise. Sono il segno di uno dei suoi atti creativi, eseguiti a mo’ di action painting, accanto alla scultura e al disegno. Nato nel 1936 a Lasa, in Val Venosta, per lui è la mano a essere più importante della testa, e quelle linee forse sono l’espressione di una mano ferma che traccia stati emotivi, caratteristica che si ripete anche nella seconda opera esposta in una delle tante sale dello studio, dove le pennellate verticali in nero e arancione vanno a formare una texture in cui è difficile riconoscere quali siano le pennellate di sfondo e quali in primo piano, culminando il tutto in un movimento ordinato ma assolutamente infinito.
Nella prima sala operatoria sono stata seduta più volte e proprio di fronte al sedile ci sono enormi gocce di resina di colore azzurro scuro applicate lungo la parete ad angolo che sembrano fuoriuscire da un tubo d’acciaio accennato da una forma metallica simile a una spirale che si avvolge su se stessa: sono forme che attirano lo sguardo nella loro versatile essenza benché ben codificate. Di primo acchito mi fanno pensare a gocce di un cremoso dentifricio o di un disinfettante in altri momenti appaiono più come gocce di pioggia enormi o semplicemente “gocce di cielo” appiccicate dall’artista sul muro. Chi è? Di nome fa Eduard Habicher; originario della Val Venosta, classe 1956, è noto per la sua arte metallica (presente sotto forma di installazioni tra Berlino e l’Uruguay) e che orna anche la gigantesca entrata di una delle sei sedi dei Messner Mountain Museum, quella sopra Bolzano, nota come Firmian: un nastro di un rosso molto intenso e vivo, lungo trenta metri, è appeso in cima al muro - o cade nel vuoto - anche qui dipende dal punto di vista. Così le gocce azzurre sulla parete bianca stanno in bilico, congelate nel loro essere lì, liberamente fluttuanti e al contempo solidamente installate, come se dicessero: “fidati”, “ce la puoi fare”, “tutto andrà bene…”. L’esilità della forma è in contrappunto con la solidità della materia, la trasparenza delle gocce con la fermezza del tubo, un tutto che rilascia una parte, mantenendo una connessione, sottile, però, come l’essere umano mantiene una connessione sottile con l’universo che lo avvolge, protegge e stimola a percorrere ognuno il proprio cammino.
Nella sala in fondo, la numero V, pende una Donna volante – ancora di Pierluigi Mattiuzzi - in una versione particolare essendo quella figura femminile orizzontale un motivo ricorrente in alcuni quadri dell’artista meranese, classe 1943 e che esercita la sua arte sin dai lontani anni settanta sotto forma di piccoli e grandi quadri, ma anche di sagome in legno dipinte per esprimere lo spirito gioioso o ansioso o rabbioso degli esseri umani. Qui è ben articolata e definita l’essenza femminile nel suo bramare la luna con quelle enormi mani, il cui volo è ben ancorato nella lunga chioma di capelli e nella veste che ne ricopre il corpo fino ai piedi che galleggiano come pinne nell’aria. Sono linee create da un incastro ritmico di piccole forme geometriche a segnare la sagoma mitologica che vola al pari di un angelo o una strega o una dea sopra un monte ondulato fatto della stessa matrice. Pezzi di questa matrice sono in volo nel libero spazio rimanente attorno fino alle cornici che segnano l’inquadratura e tende – tutta – a volersi ampliare nello spazio fuori, nella realtà. La carica mistico-sensuale agisce come una musica sullo stato d’animo del paziente seduto su quel sedile, placa gli animi, e un gran numero di persone – a detta dello stesso dentista - apprezzano quell’ immagine – movimentata, energica, colorata, che fa sognare e abbandonarsi a pensieri altri rispetto alla nuda e dolorosa realtà cui a volte si è sottoposti in una sala come quella.
Poco prima, ancora in sala d’attesa, ho sfogliato un volume di Storia dell’odontoiatria e lo sguardo mi era caduto su una foto in bianco e nero che rappresenta una mascella inferiore perfettamente mummificata. È la pagina in cui si parla di impianti, proprio quello che sto per fare… Qui si vede la mandibola ben conservata di un uomo Maya, vissuto circa 600 anni prima della nascita di Cristo, nell’Honduras in Sudamerica, trovata nel 1931 dal dottor Wilson Popenoe e sua moglie nel corso di scavi archeologici vicino alla Playa de los Muertos nella Valle Ulùa e oggi conservata al Peabody Museum of Archaeology and Ethnology della Harvard University a Cambridge nel Massachussetts: nella didascalia si legge che si tratta della prima testimonianza di impianto riuscito su una persona vivente con materiale organico nel tessuto osseo, e nella fattispecie sono tre denti incisivi ricostruiti con frammenti di conchiglie. Che taglio artistico, quei denti di allora!
Buttando lo sguardo qua e là, lungo il corridoio e in altre salette, scorgo ulteriori quadri e quindi chiedo alcuni particolari al dentista che ama l’arte. Mi fa entrare nel suo studio, dove alle pareti pendono alcuni piccoli Fellin in bianco e nero… Peter Fellin era un grande, il suo segno lo si trova in gallerie d’arte ma anche nelle chiese o lungo qualche sentiero di montagna, come quello che conduce da Quarazze a San Pietro sotto forma di una via crucis per cui lui ha dipinto con lucenti colori azzurri e rosa e semplici linee le singole stazioni delle ultime ore del profeta cristiano Gesù…
Gli piace circondarsi di arte, a questo dentista, della bellezza, e sapendo che spesso di arte non si vive (molte biografie di artisti noti lo ricordano) e le fatture di un dentista mediamente sono alte, lui accetta di buon grado opere d’arte come forma di pagamento per un equo scambio: arte figurativa per l’arte odontoiatrica.