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Aldo Moro nel centenario della nascita

L'arte della convivenza. Ricordando Moro (...e Alexander Langer).

Cosa sarebbe stata l'Autonomia della provincia di Bolzano senza Aldo Moro e il ruolo da lui giocato fra il 1964 e il 1969 come capo del governo? Questa la domanda al centro di una tavola rotonda a Predazzo in occasione di alcuni incontri organizzati dal comune per ricordare la figura di Aldo Moro nel centenario della nascita. Lo statista ucciso dalle Brigate Rosse nel 1978 andava lì, nella val di Fiemme, in villeggiatura con la famiglia.

Gli intervenuti alla tavola rotonda sono stati o sono tuttora protagonisti della vita politica regionale: Giancarlo Bolognini (ex sindaco di Bolzano e stretto collaboratore a suo tempo di Alcide Berloffa), Lorenzo Dellai (attuale presidente della commissione dei 12 ed ex governatore del Trentino, Giorgio Postal (deputato trentino per molte legislature), Karl Zeller senatore Svp molto influente a Roma e nel partito, Renato Ballardini, a lungo deputato socialista e membro della famosa commissione dei 19 che elaborò il “pacchetto” per la autonomia della regione TAA. I tempi richiamati erano quelli di mezzo secolo fa: il “Los von Trient”, la “notte dei fuochi” del '61, lo scontro frontale tra minoranza sudtirolese e stato italiano, quindi una situazione di crisi acuta e potenzialmente distruttiva, le trattative che portarono al secondo statuto nel 72. Il ruolo di Moro, affiancato dalla pattuglia di democratici di Bolzano, che credevano come lui nel dialogo e tenevano aperto il collegamento con Magnago, è ormai un dato storico. Moro, a differenza degli altri governanti italiani fino a quel momento, andò controcorrente e capì che si doveva andare verso la convivenza nel giusto rispetto dei diritti oppure rischiare un conflitto pericolosissimo. Una grande fortuna, ha detto Karl Zeller, per la nostra minoranza etnica sudtirolese, che ha potuto ottenere quello che le spettava dopo anni di furbizie e di rifiuti da parte dello stato italiano, della burocrazia e della regione controllata dai trentini.

Ma quel modello di azione politica di alto livello che portò alla fine del conflitto, a ripensarlo oggi, conteneva anche una sua fragilità. Mancava la partecipazione della società civile, non c'era la comunità italiana, non c'era la visione inclusiva della persona e di una sua identità mobile e aperta, mentre l'attenzione andava tutta alla salvaguardia dei gruppi linguistici compatti e ogni passaggio veniva giuridicamente regolato. Un miracolo di diplomazia, di pesi e contrappesi, che ancor oggi ci viene invidiato da mezzo mondo. Ma che portò anche, in seguito, alla eclatante reazione negativa della popolazione di lingua italiana (il balzo in avanti del Msi, Bolzano città più “nera” d'Italia...). Il gruppo italiano non era preparato a quella svolta così importante, purtroppo patrimonio quasi solo di alcune elites politiche. Un' eredità quindi (non prevista) di rifiuto, di scontento, di non partecipazione, con cui ancor oggi l'azione politica in Alto Adige deve confrontarsi. E' l'indecisione e il ritardo, ancor oggi, nella maturazione autonomistica, di una autonomia partecipata, da parte di molti, troppi, italiani altoatesini. Le complesse e pazienti trattative tra 65 e 72, mosse dalla abile mano di Moro, uomo che credeva nel dialogo, portarono ad uno storico risultato sul piano politico-diplomatico, ma purtroppo nell'ambito di una “autonomia del politico” che nei decenni successivi e ancor più oggi non basta più. E' del 78, data emblematica del sacrificio di Moro a Roma, e nel quadro a Bolzano dei pesanti contraccolpi nazionalistici che stavano provocando le prime norme di attuazione del pacchetto (bilinguismo obbligatorio, proporz ecc.), anche l'entrata nell'arena della politica provinciale e regionale, del giovane Alexander Langer, che assumeva sulle spalle proprie e della formazione interetnica (Nuova Sinistra/Neue Linke) che a lui si ispirava, tutta la complessa nuova problematica della convivenza dal basso, per una società rispettosa dei diritti, ma aperta al superamento delle rigide appartenenze etniche e pronta ad opporsi ad un deficit di democrazia che il nuovo dirigismo provinciale, appena preso pienamente possesso della stanza dei bottoni, avrebbe nutrito in sé. Si cominciava a capire che la salvaguardia dei diritti dei gruppi era una cosa buona, ma da sola non bastava per costruire una vera convivenza.

 

Questo articolo è stato scritto da Carlo Bertorelle, direttore della rivista culturale altoatesina "Il Cristallo".