Culture | Salto Afternoon

The Best of Brecht

Intensa rappresentazione scenica di un collage di testi e canzoni dell’uomo di teatro, scrittore e poeta di grande impegno civile e politico, Bertolt Brecht.
Brecht1
Foto: Salto.bz

La scena era tipicamente brechtiana, mancava soltanto la classica tenda che l’inventore del teatro epico e didattico usava spesso per i cambi a scena aperta e che era direttamente apportata sui praticabili, quelle strutture in legno sui quali agivano i suoi attori, recitando e cantando, per svegliare le coscienze del pubblico. Perché il suo intento non era “incantare” ma “decantare”, ossia far riflettere sulle parole pronunciate sia chi era sulla scena sia chi era in sala.
L’altra sera, nel cortile dell’affascinante Fahlburg a Prissiano, invece di un palco vero rialzato c’era una parte del cortile adattata a palco, di fronte alle sedie sistemate per le numerose persone presenti, nonostante si trattasse già della sesta rappresentazione del nuovo spettacolo dedicato all’autore tedesco Bertolt Brecht da parte dell’ensemble del Freies Theater Bozen: “The Best of Brecht, un collage con testi e songs”, per la regia di Reinhard Auer. Da praticabile fungeva un carro in legno con scalini posizionati ai tre lati in modo da permettere ascese e discese di attori e attrici, mentre da illuminazione fungeva una sottile fila di lampadine appesa ai rami degli alberi che a loro volta facevano da quinte. A creare la scena e le diverse atmosfere drammatiche erano le luci colorate proiettate sulla parete frontale del palazzo, oltre alla trascinante musica uscita dalla fisarmonica suonata con dedizione e grande sensibilità da Stefan Geier (del gruppo TriOlé). Si era partiti da subito “in modo alto” con il ben noto “Alabama Song” (già interpretato meravigliosamente da diversi musicisti e cantanti a noi contemporanei), per poi affrontare in 4 “immagini”, come sono chiamate sul programma di sala le diverse sezioni dedicate ai massimi temi (ossia il denaro, l’individuo, l’amore e la politica), di cui si era occupato l’autore della famosissima “Opera da tre soldi”, il cui “lead song” per eccellenza, la “Moritate di Mackie Messer”, non poteva mancare nell’epilogo che aveva chiuso la serata prima della bellissima e attualissima parabola sulla incertezza della vita, tuttora, dal titolo previdente “forse…”.


Brecht, che negli anni venti del secolo scorso aveva raccolto tanti successi nella sua Berlino col suo Ensemble Theater e gli amici musicisti Kurt Weill e Hanns Eisler, dovette –come tanti altri artisti e intellettuali- emigrare dalla “sua” Germania per mettersi in salvo dalle ferocità dei nazisti, i quali avevano pure bruciato testi suoi in piazza perché considerati “arte degenerata”. Chissà se Hitler e Goebbels erano venuti (anche?) a conoscenza della sua azzeccata definizione dell’arte, come “atto di cagare in mezzo a una stanza a suon di applausi del pubblico” in risposta a uno che - stanco delle infinite discussioni in casa Brecht sui vari concetti di arte, artisticità, arte di impegno civile e arte popolare – a un certo punto se n’era uscito con la definizione per cui secondo lui “l’arte fosse l’atto di cagare in mezzo a una stanza”. (Considerazione che, per altro, qualche decennio dopo sarebbe stata raccolta da Piero Manzoni, l’artista italiano degli anni sessanta, il quale vendette merda a suon di scatolette come opere d’arte, mentre gli azionisti viennesi ne fecero alcune tra le loro performance più acclamate in ambito universitario per poi essere stati ampiamente censurati, ovviamente, proprio per aver messo a nudo il processo venale creato attorno al processo creativo, esattamente quello che Brecht con quella definizione volle denunciare per primo e una volta per tutte.)
Se la battuta più nota sull’argomento ampiamente trattato dal signor B. (come lui stesso a volte amava firmarsi o definirsi) era che “peggio di rubare denaro, era fondare una banca”, non erano da meno i testi delle canzoni dedicate all’amore, quello “vero” e quello comprato e/o venduto. Ne nominiamo uno per tutti: la ballata di Jenny, che narra la storia della “lucciola” che abitava nel palazzo che si affacciava sul porto, il quale fu risparmiato dai 50 cannoni che spararono sulla città, a partire dalla enorme nave giunta dal mare per vendicare le cattiverie della gente inflitte a quella donna che non faceva altro che il suo nobile mestiere di barista…

 

L’ensemble per questo spettacolo assolutamente da vedere per chi ama il teatro e il pensiero brechtiano e le musiche di Kurt Weill, Hanns Eisler e Paul Dessau (citiamo qui le opere da cui sono tratte alcune, oltre alla già nominata “Opera da tre soldi”: Happy End, Le teste tonde e le teste a punta, Madre Coraggio, Il cerchio caucasico e Il soldato Schweyk nella seconda guerra mondiale) si compone di tre donne e di tre uomini, di cui uno è il musicista: Gabriele Langes (ideatrice della serata e voce roca tipica per i personaggi femminili brechtiani), Susanna Magdalena Geier (fantasticamente femminile anche nel ballare il tango, oltre nel canto delicato dedicato al bambino protagonista del Cerchio caucasico), Elisabeth Langes (dall’espressione neutra nel volto, ma con notevole forza nello sguardo, vuoto, rivolto lontano, che buca quell’invisibile quarta parete, volutamente abbattuta da Brecht per smascherare il “gioco” nel teatro e nella società cui fa riferimento; una personalità lucente avvolta nei suoi colori di un rosso vivo, tipicamente merziano, il rosso dell’amore e del sangue, della rabbia e della gioia), Christoph Morais Fortmann e Thomas Giegerich, entrambi attori germanici, entrambi egualmente “presenti” nei vari ruoli ricoperti accanto a queste donne straordinarie che con pochi cambi di costume, tutte e tutti riescono a esprimere emozioni mozzafiato unicamente con la loro presenza sulla scena, i movimenti, gli sguardi, la voce – in breve: la loro forza d’animo.

...alcuni testi spingono a riflettere sui tempi duri che stiamo vivendo...

Le poesie e i testi di prosa erano senza eccezion alcuna tratte e tratti da drammi e parabole dello stesso Brecht, mentre alcune considerazioni dette tra un song e l’altro, per passare inoltre da un tema all’altro, erano liberamente ispirate a interviste e aneddoti dei suoi diari. E, in ultimo, va detto che la selezione di alcuni testi spingono a riflettere sui tempi duri che stiamo vivendo, dove soprattutto la canzone che ad alta voce richiede “la calce” per ricoprire le crepe comparse nei muri antichi invita ad alzarsi in piedi per mettersi in azione. Ora!