Economy | Sviluppo

Italiani o imprenditori?

Il declino dell’imprenditoria italiana di Bolzano è diretta conseguenza dei cambiamenti socio-politici che hanno trasformato la provincia negli ultimi 40 anni.

Può sembrare quantomeno contraddittorio, o paradossale, avviare una succinta analisi del ruolo attuale dell'imprenditoria italiana in Alto Adige parlando di un'iniziativa degli imprenditori di lingua tedesca. Eppure è dalla data dell'11 marzo del 1976 che occorre partire per capire qualcosa di quel che rappresentano oggi gli imprenditori italiani in quel di Bolzano. Quel giorno viene fondato il Südtiroler Wirtschaftsring, ovverossia l'associazione che riunisce industriali, artigiani, commercianti, albergatori e contadini sudtirolesi. 

È una mossa che si inquadra in un momento storico nel quale l'Alto Adige subisce, anche se meno di altre zone d'Italia, i contraccolpi della conflittualità politica e sindacale scatenata con gli anni "caldi" del 1968. È un modello, quello della conflittualità di classe permanente, teorizzato e messo in pratica dai sindacati confederali e dai movimenti della sinistra, che la cultura della classe politica dominante nel mondo di lingua tedesca altoatesino, appena uscita trionfalmente dalla lunga battaglia per la seconda autonomia, rifiuta in maniera netta. 

Nasce così l'idea di contrapporre a quello dominante un altro schema mutuato in gran parte dal sistema della "Sozialpartnerschaft" adottato in Austria. Per farlo occorrono un sindacato disponibile, e in Alto Adige esiste già da tempo il sindacato etnico ASGB, è un'organizzazione imprenditoriale altrettanto pronta. Ed ecco costituirsi il Suedtiroler Wirtschaftsring con il quale il cerchio si chiude. Un anello tutto in chiave sudtirolese per un'ipotesi di cogestione dell'economia, nella quale evidentemente non c'è posto per la componente italiana.

La storia economica italiana si incarica, negli anni  e nei decenni successivi, di far andare le cose in tutt'altra maniera. La sinistra e i sindacati sotterrano rapidamente e senza rimpianti l'ascia di guerra della lotta di classe e puntano su quel principio della concertazione che altro non è se non una "Sozialpartnerschaft" in salsa romana. Il Wirtschaftsring, cui nel frattempo si è aggiunta l'appendice italiana denominata USEB, perde gran parte dell'originario significato e diviene occasionale strumento di intervento da parte delle categorie imprenditoriali nelle vicende politiche ed economiche, in alternativa alla Camera di Commercio o agli organismi delle associazioni di categoria. È da queste ultime che parte invece il fenomeno più significativo, che viene a toccare anche il ruolo e l'importanza dell'imprenditoria italiana.

Le associazioni imprenditoriali altoatesine avevano sempre mantenuto, ancora per tutta la cosiddetta "era Magnago" un discreto margine di autonomia rispetto al crescente potere della Provincia. Alcune di esse, artigiani e albergatori, vedevano la prevalenza dell'elemento tedesco, mentre altre, industriali e commercianti, avevano una consistenza associativa più "mista" con una dirigenza spesso di lingua italiana. L'industria in particolare era caratterizzata ancora dalla presenza dominante dei grandi stabilimenti "italiani" della zona industriale di Bolzano rispetto all'emergente industria a capitale sudtirolese della periferia. Unica significativa eccezione quella rappresentata dai contadini riuniti nel Bauernbund, da sempre legato da un rapporto di stretto collateralismo con la SVP. Non è un caso che proprio dalle file di questa associazione provenga  Luis Durnwalder cui si deve il totale cambiamento di rotta in questo campo.

Nel giro di pochi anni associazioni come quella degli artigiani, degli albergatori, ed anche dei commercianti tra i quali la maggioranza sudtirolese si è definitivamente consolidata, si avvicinano in maniera netta alla SVP. Pegno di questo patto di alleanza le candidature e le elezioni in consiglio provinciale di esponenti dirigenziali delle categorie stesse, i quali non di rado vanno ad assumere ruoli di governo provinciale proprio nei settori da cui provengono. Una sorta di "doppio gioco" che, se da un lato accresce di molto il peso e l'influenza delle categorie nelle scelte politiche il loro interesse, ne limita dall'altro in maniera drastica l'autonomia. Più difficile il cammino su questa strada degli industriali che, dopo aver progressivamente emarginato e poi escluso la componente italiana dal ruolo di presidenza dell'associazione, arrivano al punto di cambiar nome, censurando la parola "industria", perché considerata evocatrice in Alto Adige di brutti ricordi legati all'epoca fascista. Anche col nuovo nome di "Assoimprenditori", l'organizzazione non riesce a far eleggere in consiglio provinciale il proprio direttore, candidato ovviamente nelle liste SVP.

Il consolidarsi progressivo di questa sorta di corporativismo in salsa sudtirolese ha come effetto, forse non voluto ma inevitabile, la progressiva emarginazione delle componenti italiane dell'imprenditoria che, come tali, si trovano tagliate fuori dal rapporto esclusivo che viene a instaurarsi tra i loro colleghi di madrelingua tedesca che occupano ormai senza eccezione alcuna i vertici decisione delle associazioni e il partito della stella alpina, al cui interno continua con efficacia a operare anche la cosiddetta SVP Wirtschaft, corrente economica dal peso rilevante nelle scelte strategiche.

Questo fenomeno trova una significativa corrispondenza anche nello spostamento dell'asse di potere all'interno della stessa giunta provinciale altoatesina. Era tradizione sino alla fine degli anni 80, che gli assessorati "economici" fossero equamente ripartiti tra italiani e tedeschi: a questi ultimi andavano le competenze su agricoltura, turismo e artigianato, mentre italiani erano tradizionalmente gli assessori all'industria e al commercio. Quest'ultimo è il primo a passare di mano, mentre per l'assessorato all'industria occorrono un paio di legislature e molti appelli da parte degli stessi imprenditori alla concentrazione in un'unica mano (tedesca ovviamente) di tutte le competenze economiche. Il processo arriva alla sua massima estensione proprio con la legislatura in corso, nella quale il neo presidente della giunta provinciale Kompatscher assume l'onere di tutti gli assessorati economici, compresi alcune competenze minori come quella sull'innovazione rimaste sino ad ora ai partiti italiani.

Questo quadro generale che si è venuto a creare negli ultimi decenni non poteva non avere degli effetti rilevanti sull'insieme dell'imprenditoria italiana in Alto Adige. Venuti a mancare i riferimenti diretti nelle associazioni di categoria che, come abbiamo visto, si sono collocate in una logica del tutto interna al partito di maggioranza assoluta ed eliminati via via tutti i responsabili politici di settore, agli imprenditori di madrelingua italiana non sono rimaste molte scelte. Esclusa quella, chiaramente suicida, di restare abbarbicati ad un'italianità di assoluta minoranza, si è optato per una tattica mimetica tesa a garantire la sopravvivenza. In pratica le imprese italiane, specie quelle di piccole medie dimensioni, hanno scelto di farsi tutelare in quanto soggetti economici invece che cercare agganci di tipo politico linguistico. L'artigiano è rimasto nella sua associazione e così l'albergatore. Per quanto riguarda l'industria vanno fatte alcune ulteriori considerazioni. 

Lo smantellamento della zona industriale di Bolzano, con la chiusura di grandi fabbriche come l'Aluminia e la Magnesio, ha segnato anche la fine dell'epoca in cui i grossi complessi bolzanini costituivano il baricentro nel settore industriale altoatesino. La proprietà dei due grandi stabilimenti rimasti, IVECO e Acciaierie, non prende parte ormai da tempo alle vicende locali preferendo instaurare con la provincia un rapporto di tipo contrattuale al fine di ricavare il maggior beneficio possibile dalle casse pubbliche. L'altra grande industria italiana del dopoguerra, quella delle costruzioni, ha seguito il corso delle vicende politiche in questi decenni. 

Dopo essere state protagoniste dello sviluppo urbanistico dei centri maggiori, le imprese italiane si sono viste raggiunte superate da quelle a capitale tedesco che hanno invece dominato la fase, durata sino a pochi anni fa, dall'enorme sviluppo periferico. Ora le seconde più che le prime scontano in modo drammatico gli effetti di una crisi che ha colpito questo settore più che ogni altro in provincia di Bolzano. Resistono meglio di altre grandi gruppi come quelli che fanno capo alle famiglie Podini e Tosolini che hanno saputo diversificare sia in altri settori che fuori dai confini provinciali e loro campo di attività.

Se dunque, fate tutte queste considerazioni, dovessimo tracciare un quadro di quello che oggi è l'imprenditoria italiana in provincia di Bolzano potremmo pensare ad una presenza ancor rilevante anche se non maggioritaria in settori come l'artigianato e il commercio e servizi, ma quasi trasparente nell'ormai definita incapacità di presentarsi sul proscenio della politica con una propria voce autonoma. Forse uno sviluppo inevitabile, ma ascoltare ancora quella voce potrebbe essere interessante, oggi, nel momento in cui il sistema del corporativismo di cui abbiamo parlato più sopra sta andando nettamente in crisi per ragioni politiche legate anche alla realtà di un partito di raccolta che ha perso, forse irrimediabilmente, la maggioranza assoluta.

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Mensch Ärgerdi… Tue, 10/14/2014 - 14:12

Cosa manca in quest'analisi è un paragrafo sulla rappresentanza politica italiana in Alto Adige del settore. Magari se le forze di (centro)destra in passato si fossero occupate di più di industria e artigianato, invece di litigare fra di loro su chi era il miglior difensore del monumneto alla Vittoria, le cose starebbero in modo diverso. Se l'anno scorso nel sedicente partito degli imprenditori si è arrivati a proporre ragazzini bioncofioberlusconiani assieme a personaggi che hanno cambiato partiti come le mutande, c'è poco da meravigliarsi...

Tue, 10/14/2014 - 14:12 Permalink
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Willy Pöder Tue, 10/14/2014 - 14:31

Trovo interessante l'agricolo di Maurizio Ferrandi, eppure è di difficile comprensione. Cosa significa imprenditori tedeschi, imprenditori italiani? Imprenditori sono semplicemente imprenditori. Italiani, tedeschi, francesi o inglesi che dir si voglia. Che differenza fa? Li accomuna il buon andamento delle loro aziende e l'interesse del profitto. Punto. La politica non è il loro mestiere. Che in Provincia le cose vanno in modo diverso è vero, come è vero che le varie associazioni accettino ben volentieri il ruolo da mulo al servizio del governo locale. Lacché! È redditizio. Basti ricordare ad un recente provvedimento col quale la Provincia si accolla il costo di personale altamente qualificato. Curioso quando si sa ché d'altra parte non si trovino i soldi per assistere le madri partorienti lo o la specialista dell'indomani. Penso, l'imprenditoria e le loro rappresentanze e meglio che stiano fuori dalle aule politiche istituzionali. In pari modo ciò deve vale per le rappresentanze sindacali.

Tue, 10/14/2014 - 14:31 Permalink
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Oskar Egger Tue, 10/14/2014 - 15:02

Una risposta molto artigianale: tutto sommato, l' imprenditoria italiana deve fare i conti con sé stessa e con una politica sbagliata, purtroppo. Inoltre le acciaierie ed altri si sono fatti prelevare dai cinesi ció che ritenevano beni di scarsa utilitá, mentre invece l'economia cinese ne ha fatto tesoro, come con le piccole imprese specialmente in Toscana. Fiat e altre hanno contribuito alla rovina dello Stato con la loro politica economica e del procrastinare le catastrofi (basti l'esempio in loco della Ex-Memc). Non sará certo stato un Durnwalder ad aver avuto la capacitá a bloccare la fantasia, la creativitá e l' ingegno dell' imprenditore italiano. La piccola imprenditoria é in crisi in tutta Italia e non per colpa del governo locale.

Tue, 10/14/2014 - 15:02 Permalink
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Dado Duzzi Wed, 10/15/2014 - 11:25

Ho letto con attenzione l'articolo dell'amico Maurizio Ferrandi e pur condividendo in parte quanto da lui scritto, mi permetto di intervenire perché, come modesto rappresentante dell'economia, mi sento chiamato in causa. Partendo dai numeri e da alcune considerazioni. In Alto Adige la comunità italiana rappresenta circa il 25% della popolazione ed è inevitabile che anche il numero di imprese di proprietà italiana o tedesca rispecchi queste proporzioni. La riprova? Abbiamo circa l'8% di extracomunitari che possiedono circa l'8% di imprese! Era inevitabile, quindi, che nel momento in cui nasceva la SWR vi confluissero tutte le associazioni tedesche. Parallelamente, però, nasceva l'USEB, di cui sono l'attuale presidente. L'USEB non e', come afferma Ferrandi, una costola della SWR ma è un'associazione indipendente fra industriali, artigiani e commercianti di lingua italiana, riconosciuta a tutti i livelli e invitata a tutti i tavoli di concertazione politici e amministrativi dove possiamo dire la nostra ed essere ascoltati. Ancor più da quando SWR e USEB hanno incominciato a prendere posizioni concertate e comuni su molti temi economici e sociali. Non è stato sempre così, purtroppo. SWR, forte dei numeri che rappresentava, per molti anni ha seguito un suo percorso non condiviso con USEB. Primo, perché strettamente legata alla SPV ma anche per miopia dei partiti italiani che poco e male hanno sostenuto l'imprenditoria italiana divisi com'erano, e sono. Ma l'economia non deve guardare al colore politico perché inevitabilmente ne diverrà vittima e ne vediamo ora le difficoltà in cui si trovano alcune branche in passato troppo legate in modo acritico alla politica. Inoltre vi erano settori nei quali la spartizione etnica era naturale. Mi riferisco in primis al settore turistico al 95% appannaggio, per tradizione, del gruppo linguistico tedesco. Come anche l'artigianato. Mentre, per esempio, i settori del commercio e dell'industria erano appannaggio del gruppo italiano. Ma era giocoforza che le cose cambiassero per i motivi sopra accennati: la composizione etnica e l'appartenenza politica. Ora le cose sono profondamente cambiate. Quale vice-presidente dell'Unione commercio e servizi non ho mai avvertito una forte appartenenza del nostro gruppo dirigente tedesco all'SVP. Anzi, e' il contrario. Siamo senz'altro l'associazione di categoria che in passato meno e' dipesa dall'SVP. Non ci siamo mai, negli ultimi dieci anni, seduti sulle ginocchia di nessuno a prendere ordini e forse per questo, nel passato, abbiamo subito molte conseguenze, come nell'ultima legislatura. Con la nuova amministrazione stiamo collaborando sia come associazioni di categoria che come SWR e USEB e le norme che vengono emanate valgono per l'imprenditoria nel suo complesso e non solo per l'uno o l'alto gruppo etnico. Perciò finiamola di piangerci addosso! Se la comunità italiana ha dovuto adattarsi a profondi cambiamenti e' forse anche responsabilità degli imprenditori che non hanno saputo, negli anni passati, trovare una rappresentanza forte di interessi come hanno fatto i colleghi tedeschi, divisi come eravamo in tante sigle di partiti e partitini che singolarmente presi poco o nulla contavano. E di fronte al monolito tedesco poco hanno potuto fare divisi com'erano.

Wed, 10/15/2014 - 11:25 Permalink