Funivia di Tires, “paesaggio intatto”
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Tutto regolare per la cabinovia Tires-Malga Frommer. Con una sentenza pubblicata lo scorso 3 dicembre, è stato infatti ritenuto inammissibile il ricorso al Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Bolzano da parte delle associazioni ambientaliste e alpinistiche (Mountain Wilderness, Heimatpflegeverband, Dachverband für Natur und Umweltschutz, AVS e CAI Alto Adige) contro Provincia di Bolzano, Comuni di Tires e Nova Levante e società Tierser Seilbahn S.p.a. per l’ampliamento delle due stazioni a valle e a monte, in seguito alla scelta della società di dotare l’impianto di risalita di cabine panoramiche “cabrio”. Essendo ritenuto parte del sistema di trasporto integrato, la Giunta provinciale di Bolzano aveva concesso un contributo pubblico esorbitante, pari a 11 milioni di euro.
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Il ricorso
Gli ambientalisti avevano impugnato i permessi di costruire in sanatoria rilasciati dai Comuni nonché le autorizzazioni paesaggistiche postume emesse dalll'Ufficio valutazioni ambientali della Provincia, di cui chiedevano l’annullamento. Come noto, per realizzare le due stazioni dell’impianto a fune, furono realizzati lavori di ampliamento “in difformità dal progetto originario” e, per sanare i vani in eccesso, venne murato l’accesso alle “superfici non più previste” sotto terra – e i relativi locali retrostanti furono resi non più utilizzabili attraverso il riempimento di materiale (“tombamento stabile e definitivo dei volumi”). Secondo gli ambientalisti, però, il riempire volumi interrati legittimamente realizzati – lasciando libera la Tierser Seilbahn Spa di stabilire a suo piacimento le modalità – non basta a neutralizzare (ovvero a “compensare”) l’incremento di volume “sopra terra”.
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Al contrario, secondo la relazione del consulente tecnico nominato dal TAR, l’architetto Alberto Negri di Trento, “i locali tombati non esercitano un autonomo impatto sul paesaggio, essendo ricompresi nel complessivo interramento della costruzione” e “il tombamento è stato eseguito come misura equivalente alla demolizione dei volumi e superfici utili realizzati in eccesso rispetto al progetto originario autorizzato”.
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La pronuncia del TAR
Per il TAR, “posto che a incidere sul paesaggio (…) è l’impianto a fune in questione” era onere delle ricorrenti (che “ne criticano il solo ampliamento delle stazioni”) “indicare in modo chiaro e specifico, poiché non apprezzabili a colpo d’occhio, le possibili modifiche negative alle caratteristiche dell’are”. Invece, le ricorrenti si sarebbero “limitate a rilevare con locuzioni generiche inidonee a rappresentare i concreti risvolti paesaggistici e ambientali delle impugnate autorizzazioni postume e delle concessioni in sanatoria”, senza meglio specificare quale fosse, in concreto, il vulnus arrecato all’ambiente dall’ampliamento in corso d’opera delle stazioni a monte e a valle e come tale ampliamento avrebbe contribuito a “enfatizzare la perdita di naturalità dell’ambiente montano, sotto l’aspetto del consumo di suolo, dell’impermeabilizzazione del suolo, e in ogni caso per la visibilità delle opere realizzate in difformità, collocate per lo più al piano terra e al piano primo delle due strutture, in un’area di particolare pregio paesaggistico”.
In definitiva, a detta del TAR, “la modifica ampliativa si è risolta sotto il profilo dell’impatto visivo in una riprofilatura di scarso rilievo e percepibilità visiva nel contesto panoramico del terreno vegetale con cui, già secondo il progetto autorizzato in origine, dovevano essere ricoperti gli involucri delle due stazioni, per il loro ottimale armonico inserimento nel paesaggio naturale”. La “visibilità delle opere realizzate in difformità” sarebbe smentita, mentre il consumo e l’impermeabilizzazione del suolo sono ritenuti “non rilevanti per l’ambiente”.
Le associazioni alpine e ambientaliste hanno annunciato che presenteranno ricorso al Consiglio di Stato contro la sentenza, in quanto “l'argomentazione è debole e incomprensibile”, sostiene il presidente dell’AVS Georg Simeoni.
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