“Mai più sentirsi sbagliate”
Possono rimanere senza diagnosi per molti anni, arrivare a spendere migliaia di euro e non riuscire comunque a ricevere la cura giusta, mentre la propria qualità di vita peggiora, in termini di impatto sulla sfera personale ma anche sociale. È il calvario delle donne che soffrono di condizioni di dolore pelvico cronico, come vulvodinia ed endometriosi, patologie non ancora adeguatamente conosciute, perfino dagli stessi operatori sanitari.
Contribuire a tenere accesa l’attenzione sul tema e nel contempo aiutare chi è affetto da queste malattie definite “invisibili” a prendersi cura del proprio benessere mentale e sessuale è la missione di due giovani trentine, la 27enne Gaia Salizzoni, laureata in Management dell’Innovazione a Trento, e Vittoria Brolis, 25 anni, con alle spalle studi di Scienze Economiche e Sociali presso l’unibz, e ora iscritta al Master di Imprenditorialità e Innovazione. Il duo ha fondato, lo scorso settembre, la startup Hale, una piattaforma digitale che “vuole abbattere i tabù legati al dolore pelvico cronico e contribuire a ridurre il divario di genere nella ricerca scientifica” e che conta già oltre 9mila follower su Instagram. Il progetto ha vinto l’Audience Award come migliore impresa sociale in Europa al Social Innovation Tournament, competizione promossa dallo European Investment Bank Institute (EIB) che ogni anno sceglie le migliori imprese a impatto sociale, etico e ambientale tra i 27 paesi dell’Unione.
Vittoria Brolis, il 26% della popolazione con un corpo femminile soffre di dolore pelvico cronico, eppure delle disfunzioni associate al pavimento pelvico si parla ancora poco, perché? E come nasce Hale?
Soffrire di dolore pelvico cronico significa provare una sensazione di dolore che persiste da più di tre mesi nell’area pelvico-genitale. Comprende patologie come vulvodinia, endometriosi, sindrome dell’intestino irritabile o cistite interstiziale. Sentire costantemente un dolore ha un grandissimo impatto nella propria quotidianità; influenza il modo in cui si sta con le persone, la propria vita sessuale, la capacità di lavorare, concentrarsi e svolgere qualsiasi tipo di attività. Per questo motivo, la maggioranza delle persone che soffre di dolore pelvico cronico soffre anche di ansia, depressione e altre forme di stress psicologico.
Ci siamo chieste a lungo come fosse possibile che nonostante così tante persone ne soffrano, se ne parli così poco. Inizialmente pensavamo fosse un grande problema di tabù. Abbiamo fondato Hale proprio per parlare di queste patologie e diffondere informazioni affidabili, in maniera chiara e comprensibile. L’obiettivo era fare sensibilizzazione e rompere i tabù.
Nel tempo però abbiamo capito che il problema era molto più grande: oltre a parlarne poco, conosciamo molto poco di queste patologie che colpiscono prevalentemente il corpo femminile. Perché? È un problema di design.
Cioè?
Storicamente, i corpi maschili sono sempre stati il prototipo per il disegno di oggetti e processi, dall’aria condizionata dell’ufficio ai manichini per i crash test. Abbiamo guardato soprattutto un tipo di corpo, quindi patologie che colpiscono solo altri corpi, come quelli con una vulva, semplicemente non le abbiamo viste. Ma contemplare un solo standard per tutto è particolarmente pericoloso quando si parla di ricerca medica.
Un esempio: le donne vengono diagnosticate in media molto più tardi rispetto agli uomini in oltre 700 malattie, in alcuni casi attendono fino a 10 anni per la diagnosi corretta. Chi soffre di dolore pelvico cronico ne sa qualcosa, dato che il tempo diagnostico stimato va dai cinque ai dieci anni.
Nonostante questo, la World Health Organization ha iniziato a disaggregare i dati maschili e femminili solo nel 2019 e attualmente, al mondo, solo 1% degli investimenti in ricerca e sviluppo nella salute sono rivolti a condizioni soltanto femminili - escludendo l’oncologia (McKinsey, 2022).
Qui sta il problema ancora più grande. Dobbiamo parlarne di più, ma anche investire di più e ricercare di più.
Per questo da spazio di condivisione e sensibilizzazione, Hale è diventato uno spazio dove costruire soluzioni concrete e contribuire direttamente a una medicina più inclusiva.
Abbiamo vissuto e abbiamo sentito raccontare a troppe persone di situazioni in cui si sono sentite dire che il loro dolore non esisteva, che era nella loro testa, che potevano provare a bere un bicchiere di vino per sciogliersi un po’ o che forse non erano abbastanza innamorate della persona con cui stavano
Cosa significa avere sintomi che spesso non vengono compresi?
Non essendo patologie così ricercate, la formazione e lo spazio che viene dato in ambiente universitario è limitato. Mancano figure professionali specializzate ma manca anche una conoscenza di base per riuscire a rimandare chi soffre di tali patologie alle persone più qualificate. Il fatto di non aver quasi mai sentito parlare di determinate disfunzioni durante la loro formazione porta molti medici a non sapere come affrontare la situazione quando si trovano davanti pazienti che riportano dei sintomi riconducibili a una condizione di dolore pelvico cronico o in alcuni casi (purtroppo non pochi) a minimizzare il dolore della persona che hanno di fronte.
Abbiamo vissuto e abbiamo sentito raccontare a troppe persone di situazioni in cui si sono sentite dire che il loro dolore non esisteva, che era nella loro testa, che potevano provare a bere un bicchiere di vino per sciogliersi un po’ o che forse non erano abbastanza innamorate della persona con cui stavano.
Se trovi la forza di rivolgerti e di condividere il tuo dolore con uno specialista ma dall’altra parte vedi che viene minimizzato o deriso, inizi veramente a sentirti sbagliata. E se nessuno intorno a te ne parla, o ti capisce, inizi a pensare di essere l’unica persona con questo problema.
Il dilemma rimane su molti livelli: poca formazione universitaria di base, pochi professionisti specializzati, poca sensibilizzazione della popolazione target e della popolazione in generale, pochi protocolli e terapie specifiche, costi ingenti che non vengono riconosciuti e rimangono a carico della paziente.
Qual è l’obiettivo della vostra impresa e in cosa consiste concretamente la terapia digitale che intendete applicare all’ambito delle cosiddette malattie “invisibili”?
Gli obiettivi sono essenzialmente due: sostenere chi soffre di dolore pelvico cronico e contribuire alla creazione di una medicina più inclusiva.
Come detto, c’è stato e c’è tuttora un grande bias nel prendere principalmente solo un corpo come standard. Quindi dobbiamo ripartire da come si disegnano le cose per cambiare questo errore di sistema e creare soluzioni che rappresentino e soddisfino i differenti bisogni delle persone.
Noi lo facciamo internamente attraverso un processo di co-design e co-creazione con pazienti e advisor scientifiche, ma stiamo iniziando a coinvolgere anche partner esterni.
Il nostro obiettivo primario oggi è portare a chi soffre di dolore pelvico cronico soluzioni concrete per stare meglio. Abbiamo deciso di iniziare concentrandoci sul benessere mentale e sessuale di chi soffre di queste patologie, perché si tratta di aree spesso ignorate ma che in realtà sono centrali per migliorare il benessere della persona.
La ricerca scientifica ha infatti dimostrato che per prendersi cura di un dolore cronico bisogna adottare un approccio bio-psico-sociale, cioè badare al proprio benessere fisico, psicologico e sociale per stare veramente meglio.
La nostra terapia si basa su tecniche di sessuologia e psicologia dall’ambito delle scienze cognitivo comportamentali ed è un supporto quotidiano per capire come ridurre l’impatto che il dolore ha nella propria vita quotidiana.
Le terapie digitali sono qualcosa di nuovo ma che dalla loro hanno già alcuni anni di esperienza per dimostrare la propria efficacia. In Germania sono già una realtà riconosciuta - sono prescrivibili dai medici e coperte dall’assicurazione sanitaria nazionale.
Il nostro obiettivo primario oggi è portare a chi soffre di dolore pelvico cronico soluzioni concrete per stare meglio.
La creazione di community è centrale nel vostro progetto, come gestite il rapporto con i/le follower e che ruolo ha questa rete nel costruire soluzioni?
Siamo e saremo sempre prima di tutto una community di pazienti. Il beneficio di trovare persone che condividono e capiscono quello che stai vivendo è chiaro e molto forte. Non ne hai parlato con nessuno magari per anni e pensavi di essere l’unica, poi scopri che c’è un mondo di persone come te! Il supporto tra pazienti è una parte fondamentale per portare avanti una condizione cronica.
Hale infatti viene dalla parola ex-hale perché vogliamo che le persone possano tirare un sospiro di sollievo quando ci incontrano e finalmente re-iniziare a respirare.
Per noi però la community non è solo supporto ma è anche il mezzo con cui vogliamo dare uno scossone al modo in cui si creano soluzioni mediche innovative e si fa ricerca.
Ci rifacciamo al principio di “patient-led innovation” perché crediamo che come pazienti abbiamo conoscenze e competenze per contribuire a creare soluzioni che ci servono. Come Hale, ci rivolgiamo infatti alle pazienti come “esperte per esperienza” e alle figure medico-sanitarie e nella ricerca come “esperte per conoscenza”. Il principio di co-design quindi nasce dal mettere insieme queste expertise per creare soluzioni che soddisfino veramente i bisogni di chi soffre e siano supportate dalla scienza. La base teorica a cui ci rifacciamo quindi è un “design by us” non solo “with us”.
Siamo convinte che per cambiare la scienza ci sia bisogno di raccogliere nuovi dati. Se si continuano a creare soluzioni su dati già esistenti si tenderà ad avere dati molto incentrati sullo standard maschile già citato. Stiamo lavorando con la community per far capire quale ruolo centrale abbiamo come pazienti in tutto questo.
Hale si è aggiudicata di recente il premio del pubblico al Social Innovation Tournament. Cosa rappresenta per voi questo riconoscimento?
Per noi è stata una grandissima emozione essere selezionate da questa istituzione europea tra le migliori imprese sociali d’Europa. Un segnale forte che quello che stiamo facendo viene riconosciuto con un bisogno reale e che come Europa vogliamo spingere verso una medicina che si prenda più cura del corpo femminile.
L’emozione più grande però è stata vedere la risposta del pubblico perché ci ha dimostrato quanto questo tema sia urgente. Non parliamo di patologie rare, e il problema va anche oltre le condizioni di dolore pelvico cronico. Parliamo di un problema sociale - di come possiamo prenderci cura dei corpi femminili e di come possiamo creare una medicina più inclusiva.
Essere parte del network di alumni del Social Innovation Tournament ci permetterà di crescere sempre di più come impresa sociale, che per noi è una delle forme più efficaci per contribuire a risolvere i problemi sociali più grandi di questo momento storico. Io mi sono formata alla Libera Università di Bolzano anche in tema di Imprenditorialità e Innovazione Sociale grazie alla guida del prof. Alessandro Narduzzo che recentemente ha creato in Alto Adige OISIS, un osservatorio proprio su questi temi.
A metà ottobre è uscita la versione Beta di Hale, dopodiché quali saranno i prossimi passi?
Il 17 ottobre abbiamo lanciato ufficialmente Wave, il primo percorso per imparare a gestire il dolore pelvico cronico nella vita di tutti i giorni e migliorare il proprio benessere mentale e sessuale.
Il percorso online sarà personalizzato su ogni partecipante ed è stato realizzato in collaborazione con pazienti della community e la nostra board di esperte, basandoci sulla ricerca scientifica più recente. Essendo in versione Beta sarà aperto a un numero limitato di persone e a un prezzo ridotto.
Come prossimo step, inizieremo a orientarci verso la regione DACH (Germania, Austria, Svizzera) che è particolarmente sensibile e all’avanguardia nell’ambito delle terapie digitali.
Tra marzo e aprile sono state depositate in Parlamento due proposte di legge che puntano a inserire vulvodinia e neuropatia del pudendo nei Livelli Essenziali di Assistenza del Sistema Sanitario Nazionale. Avete fiducia che con la nuova legislatura si arriverà all’approvazione della legge e che l’Italia possa fare così un passo avanti nel riconoscimento di diritti e tutele per chi soffre di queste patologie? Non è un caso che la vostra startup sia al momento basata a Berlino…
Negli ultimi mesi, in Italia, si è iniziato a parlare molto di vulvodinia grazie al lavoro di sensibilizzazione di diverse influencer, associazioni e community online. Nel 2021 il Comitato Vulvodinia e Neuropatia del Pudendo ha presentato una proposta di legge per chiedere il riconoscimento delle condizioni vulvodinia e neuropatia del pudendo come patologie croniche e invalidanti, così che vengano inserite nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e quindi sostenute dal sistema sanitario nazionale.
La salute è un grande tema politico ma non dovrebbe essere influenzata dai colori politici. Stiamo parlando di patologie che colpiscono una persona su quattro con un corpo femminile - è un problema sociale e dobbiamo garantire il diritto alla salute che è alla base del nostro sistema. Ci auguriamo che venga visto in questo modo dalla prossima legislatura e che si vedano effettivamente degli avanzamenti concreti.
Con Hale al momento siamo basate a Berlino perché siamo state selezionate per partecipare allo Startup Incubator Berlin e riceviamo un supporto molto specifico in ambito medico e tech. L’ecosistema a Berlino è molto attivo per l’innovazione medica e per la salute femminile. Siamo molto felici di avere questa opportunità per nutrire Hale al meglio.