Giovannini
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Politics | L'incontro

I tecnici, antidoto al populismo?

L'ex membro del governo Draghi, Giovannini, è intervenuto a Bolzano. La riflessione: ministri che non provengono da partiti possono operare senza pensare al loro indice di gradimento.
  • Tra le tante ciarle di questa agitata campagna elettorale può succedere di ascoltare qualche cosa di serio. Giovedì scorso il professor Enrico Giovannini ha presentato in una libreria cittadina il suo ultimo libro “I ministri tecnici non esistono” (Laterza, 2023). Intelligentemente incalzato dal giornalista dell'Alto Adige Paolo Mantovan, il già ministro dell’esecutivo Draghi (Infrastrutture e mobilità sostenibili) ha sollevato gravissime questioni della politica italiana, ricordando la sua esperienza nel governo che precedette quello attuale che abbiamo in sorte.

    La principale tra le questioni che hanno ispirato le pagine di Giovannini è oggi particolarmente urgente, perché tocca un nervo scoperto delle moderne democrazie di massa. E ne presuppone un’altra. Giovannini ci dice in fondo che i governi tecnici sono governi politici, perché rappresentano la nazione (come sancito dall’articolo 67 della Costituzione) pur non essendo emanazione diretta dei partiti e dei loro squisiti rappresentanti. 

    La questione presupposta è invece la seguente: vi è oggi una contraddizione tra esecutivi espressione di una momentanea maggioranza ed esecutivi tacciati sbrigativamente di “tecnicismo”? In altre parole: vi è contrasto tra amministrazione e legislazione di una maggioranza in un dato momento storico e amministrazione e legislazione che hanno per scopo il bene comune? Dico: il bene comune e non l’innalzamento dell’indice di gradimento, ossia il consenso elettorale da raccattare ad ogni costo. Se questo contrasto esiste – e io sono tra coloro che pensa che questo contrasto esista – allora abbiamo un problema fondamentale, che sta alla base di tutti gli altri che ci si presentano giorno per giorno nella cronaca politica.

  • Ultimo giorno: Ministri e sottosegretari del Governo Draghi Foto: governo.it
  • I movimenti populisti che oggi sono in carica hanno saputo cavalcare l’onda. Hanno capito che per accaparrarsi una qualche poltrona non occorre alcuna “tecnica”, ossia alcuna preparazione e alcuna visione a lungo termine. Bastano i numeri. Quantità verso qualità. 

    Il requisito della forza numerica, ossia i voti del pubblico votante, bastano a sopperire ogni debolezza culturale, ogni magagna, ogni “deficit”. Più schiettamente: il principio della democrazia come “forza dei numeri” permette in tutta tranquillità di trasformare il primo che passa in onorevole e nei casi peggiori anche in ministro, ma permette anche di convertire ideologie e credenze in verità ritenute incontrovertibili. Se ho i numeri, posso essere un perfetto incompetente, posso affermare pubblicamente che gli elefanti volano o che il covid non esiste o posso ripetere tutti i giorni che farò gli interessi degli italiani mentre invece sto solamente cercandomi una poltrona dove appoggiare il fondoschiena per la durata di una legislatura. 

    Il partito populista prescinde dal bene comune, perché ha un concetto del tutto astratto e rarefatto del popolo. Il suo popolo è un serbatoio di voti da prosciugare ad ogni costo e se necessario a discapito del bene comune, cioè di quello stesso “popolo” che si corteggia a suon di parole e di slogan. Poco importa se le scelte politiche determinanti il bene comune richiedono competenze, ascolto (parola che nel libro di Giovannini ricorre spesso) e naturalmente anche consenso. Poco importa se scelte politiche lungimiranti possono pagare nel lungo periodo ma infastidire l’elettorato nel breve periodo. Poco importa se alcune scelte - si vedano le politiche ambientali – vadano fatte perché necessarie, nonostante i sacrifici chiesti alla popolazione (non è un caso in questo senso che l’attuale esecutivo abbia rimosso dalla nomenclatura del ministero “Infrastrutture e mobilità sostenibili”, l’ultima parola: sostenibili, appunto).

    La presentazione del libro di Giovannini avviene defilata nel frastuono di una delle campagne elettorali più delicate della nostra storia autonomista. In sala, un pubblico scelto e non una piazza (elegantemente presente Daniel Alfreider, che non ha fatto campagna elettorale, ma ha ricordato con cognizione di causa l’impronta liberale dell’esecutivo Draghi nel declinare “localmente” - ossia decentrando - i principi della sostenibilità di infrastrutture e mobilità).

    Di ben altre cose si parla in questi giorni a Bolzano; i comizi reali o virtuali sono furentemente dominati da ben altri temi e spesso la loro natura “tecnica” è del tutto soppiantata dal grugnito di quello strano animale politico che non solo è digiuno di esperienza “tecnica”, ma che sovente ha persino in odio chi la possiede, poiché, in fondo, la scintilla dell’intelligenza potrebbe mettere in discussione non solo le sue scelte, ma anche la sua stessa politica animalità.