Society | Ecovillaggio

TorriSuperiore, non una favola ma realtà

Attraverso il concetto di ‘ecovillaggio’ un’associazione e una cooperativa liguri sono riuscite a a far rivivere un borgo disabitato.Ricostruendolo e creando lavoro.

Note: This article was written in collaboration with the partner and does not necessarily reflect the opinion of the salto.bz editorial team.
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Foto: Ecovillaggio Torri Superiore

Il socio della cooperativa Ecovillaggio Ture Nirvane Massimo Candela racconta come il borgo Torri Superiore, frazione del comune di Ventimiglia in, è riuscito a rinascere attraverso una ricostruzione ecologica e condivisa che alla fine ha ridato da abitare e da vivere a 25 residenti. Con tanto di struttura ricettiva turistica volta ad accogliere soprattutto le persone che vogliono capire come sia possibile che una comunità con le sole sue forze riesca a reinsediarsi, con tutti i crismi e guardando con fiducia al futuro.

Com’è nata la coooperativa Ecovillaggio?
La cooperativa nasce nel 1999 dopo 10 anni già di lavoro associativo. Nell’89 infatti era nata un’associazione culturale con lo scopo di recuperare questa borgata in abbandono dove in realtà era rimasto un unico abitante. Lo scopo in sostanza era quello di comprare il paese, ristrutturarlo e trasferirvi parte dei propri soci. Era prevista insomma una comunità residente, per fare in modo che non ci fossero solo seconde case. Altro obiettivo era naturalmente quello di creare lavoro in loco collegato con la residenza, oltre che rimanere in contatto con il mondo alternativo, movimenti ecologisti, dei diritti umani e pacifisti. L’associazione aveva anche l’intenzione di aprire un centro aperto verso l’esterno, dove far ‘girare’ gente della città. C’è stata una campagna acquisti e circa metà del paese è stato dato in proprietà all’associazione. Quindi c’è stata una discussione con i soci su come andare avanti. Si è capito che la prima risorsa del luogo, prima dell’agricoltura, era il turismo. Quindi è stata messa in piedi un’attività turistica e all’interno dell’associazione un gruppetto più piccolo ha fondato una cooperativa per portare a compimento gli scopi dell’associazione.

Quindi la cooperativa in sostanza è divenuta il braccio operativo dell’associazione.
Proprio così. La cooperativa ha ricevuto in comodato gratuito le proprietà associative. In cambio la sua scommessa è stata quella di ristrutturare a proprie spese, facendo quadrare i conti e creando posti di lavoro per i residenti. L’associazione è rimasta ente garante, mantenendo la proprietà e tenendo le fila di tutto il progetto.

La vostra è stata poi di fatto una doppia scommessa: all’idea di far rivivere il borgo si è accompagnata anche l’intenzione di arrivarci in maniera ecosostenibile. Non è una cosa da poco.
La cosa si è sviluppata in maniera graduale. Il nostro non era un gruppo nato per la bioedilizia, ad essere sinceri. Ma iniziando la ristrutturazione i primi lavori che abbiamo fatto ci hanno consentito di capire che con un secchio e un martello qui si potevano smontare le case. E allora ci siamo confrontati con l’idea di cosa volesse dire utilizzare nel borgo ferro, cemento, polistirolo e plastica. Poi va detto che abbiamo sempre operato con pochi soldi e in modo molto pragmatico. La zona in cui viviamo è un po’ abbandonata a sé stessa. Siamo vicini al confine con la Francia ma qui da noi le amministrazioni sono storicamente poco presenti. In sostanza: non abbiamo mai avuto accesso a fondi pubblici significativi.

Non avete ricevuto nessun sostegno da parte degli enti pubblici nella vostra scommessa di far rivivere il borgo?
Assolutamente no. Abbiamo invece ricevuto finanziamenti, il più grosso legato all’imprenditoria femminile nell’apertura della struttura ricettiva. Con questo abbiamo realizzato l’impianto elettrico e idraulico. Ma per la muratura e il recupero del paese medievale non abbiamo mai avuto sostegno dal pubblico. Era come se vivessimo in una bolla: ogni volta c’era sempre una ragione per cui non avevamo diritto ai fondi. Da noi i fondi comunitari non potevano arrivare e nemmeno quelli per i piccoli comuni, visto che il nostro borgo comunque fa parte del comune di Ventimiglia che ha 30mila abitanti. Non ricevevamo nemmeno i fondi per la montagna perché per loro siamo troppo bassi. Quindi alla fine determinante è stato il volontariato nel cantiere, attraverso un’opera di autocostruzione. Alcuni artigiani sono stati chiamati solo nella parte conclusiva.

Qual è lo stato dell’arte oggi? A che punto siete riusciti ad arrivare rispetto al vostro progetto iniziale?
Il nostro progetto iniziale lo abbiamo realizzato tutto: comprare, ristrutturare e realizzare una zona comune a beneficio del paese. Oltre alla struttura ricettiva che è dotata di sale riunioni, abbiamo realizzato una ventina di residenze private di cui l’ultima è stata finita proprio quest’anno. Il paese è abitato oggi da 25 persone tra adulti e bambini che vivono qui tutto l’anno. C’è anche qualche seconda casa perché alcuni dei soci che hanno finanziato il progetto non sono venuti a vivere qui ma hanno mantenuto il diritto ad avere la loro casa nel borgo.ì

La vostra esperienza è nota a livello nazionale?
Nel ‘nostro mondo’ siamo molto conosciuti. Io personalmente ho presentato la nostra esperienza tantissime volte in giro per l’Italia e non solo. Facciamo parte della rete degli ecovillaggi e attraverso questa rete la nostra esperienza ha potuto circolare. Negli ultimi mesi io in particolare ho potuto collaborare con un progetto in Sicilia nato da un gruppo di persone anche in collaborazione con l’Università di Catania, che ha realizzato una mappatura dei borghi abbandonati in quella Regione. +ù

Massimo Candela prossimamente sarà a Bolzano per presentare il progetto dell'ecovillaggio in occasione dell'11. Congresso dell'Associazione di rappresentanza delle cooperative Legacoopbund, venerdì 25 novembre 2016 alle ore 17.00 nella Camera di Commercio di Bolzano.