denunciadenuncia
La scorsa settimana è terminato il lungo e tortuoso percorso giudiziario di M.C.. C’è stata la sentenza della Corte di appello nei confronti dell’uomo che nella primavera 2019 ha tentato di ucciderla, accoltellandola in pieno centro a Bolzano. L’udienza si è conclusa con un’ulteriore riduzione della pena a 9 anni che dovrebbe diventare definitiva fra 15 giorni.
Qualcunə di voi si ricorderà delle tante volte che siamo scesə in piazza negli ultimi anni per manifestare la nostra solidarietà a M.C., per comunicarle che non è sola. Ho fatto parte di questo gruppo che da piccolissimo è diventato man mano sempre più nutrito. La storia di M.C. mi ha colpita in particolar modo, vuoi perché anch’io ho tre figliə, vuoi perché ho un legame speciale con il suo paese d’origine, e semplicemente perché questa donna, nonostante tutte le avversità, ce la sta facendo a superare gli infiniti ostacoli per spiccare il volo verso una vita autodeterminata. Quanto coraggio ci vuole per allontanarsi da una relazione con un uomo violento nonostante le minacce di morte? Quanta sofferenza può esserci nell’essere ricoverata con la vita appesa a un filo e le proprie figlie in mano a persone sconosciute? Quanta forza ci vuole a ripartire da zero assieme alle tue figlie in una casa ad indirizzo protetto (e, diciamocelo, sono degli alloggi di fortuna, non degli alberghi a 5 stelle)? Quanta speranza ci vuole per sopportare un percorso giudiziario lungo e ritraumatizzante?
E tutto questo solo per poter uscire di casa a fare magari la spesa, senza la paura di venire rintracciata per essere annientata come è successo ad altre 88 donne nel corso del 2021 in Italia.
A questo penso, quando sento, soprattutto pochi giorni prima del tanto invocato 25.11., il coro del denunciadenuncia e del civoglionopenepiusevere. Perché sinceramente - e questo caso lo dimostra in modo eclatante - la denuncia non risolve la situazione di violenza. La pena più severa non permette alla donna di liberarsi da una relazione violenta. E i cori astratti non fanno sentire meno sola una donna.
Ciò che fa davvero la differenza per uscirne e vivere libere e lontane dal maltrattante, sono l’indipendenza emotiva e l’indipendenza economica. L’indipendenza emotiva, tutte le donne possono raggiungerla prendendosi cura di sé. È diverso per l’indipendenza economica e l’accesso alle risorse: l’accesso al mondo del lavoro che permette di ricostruirsi una vita. Quali probabilità ha una madre sola con 3 figlie e senza rete di trovare un impiego? Quali probabilità ha di trovarne addirittura uno che non sia precario e compatibile con le esigenze delle figlie? Quali probabilità ha di riuscire a mantenere sé stessa e le figlie in una società che le pagherà comunque solo parzialmente ciò che percepirebbe un uomo a pari mansioni ed esperienza? E queste sono solo le incertezze rispetto al mondo del lavoro che si aggiungono ad una miriade di ulteriori violenze strutturali.
Ecco, queste sono le domande che mi pongo in questi giorni e purtroppo non ho trovato e non ricevo risposte. L’unica cosa per me comunque certa, è che permanere in una relazione violenta non è e non può essere un’opzione. Così come la denuncia da sola non è la soluzione. Bisogna ricordarsi che ci sono due tipi di giustizia: quella dei tribunali e quella della vita. Al di là delle decisioni spesso insoddisfacenti prese nelle sedi giudiziarie, è possibile riprendere il controllo della propria vita e scegliere di viverla fuori dalla violenza. Le cicatrici della violenza vissuta rimarranno, visibili o invisibili, ma una possibilità di ottenere la propria giustizia in forma di una vita libera dalla violenza c’è. Per questo esistono i Centri Antiviolenza che danno ascolto ad ogni singola donna, valutano insieme a lei la sua particolare situazione e la sostengono nel prendersi cura di sé. Insieme sì, questa via si può percorrere. Facciamo uso di questa possibilità.