Society | Lotta al terrore

"Non ce l'hanno scritto in faccia"

È possibile evitare che presunti terroristi ricevano aiuti sociali? E se ciò mettesse a rischio il nostro stato di diritto?

Nell’edizione di venerdì scorso della Tageszeitung (11.12.15) è stata pubblicata un’interessante intervista a Luca Critelli, direttore della Ripartizione Politiche Sociali della Provincia, che è opportuno riprendere. L’intervista (condotta con abilità da Anton Rainer) ruotava attorno a una preoccupazione ridestatasi nell’opinione pubblica in seguito alla notizia di alcuni cittadini stranieri coinvolti nelle indagini sull’estremismo islamista e usufruenti di generosi aiuti sociali. A tal proposito c’era stata anche una interrogazione dei Freiheitlichen. In particolare, a suscitare notevole scalpore era stata la pubblicazione di un’intercettazione telefonica tra due cittadini curdi (iracheni) dalla quale si evinceva che in Alto Adige-Südtirol verrebbero garantite condizioni particolarmente vantaggiose (in pratica: alloggio e sussistenza senza muovere un dito). Da qui l’invito fatto da uno dei due all’altro: “Vieni pure su, che ti danno anche la casa”.  

Ecco, in sintesi, le risposte di Critelli: maggiori informazioni sulle condizioni di emissione dei contributi possono essere riferite soltanto a fronte di uno sbaglio nella valutazione delle stesse. Tra queste, però, non figura la generica sospettabilità (attribuita al richiedente) di far parte di una potenziale cellula terroristica (se uno vuol fare il terrorista non esistono segni esteriori che lo certificano). Più specificatamente, allorché il giornalista chiede se almeno a persone già indagate per presunta attività terroristica sia in linea di principio negabile il conferimento di prestazioni sociali, Critelli risponde così: “Kein Beamter, der Asylanträge bearbeitet, kann Personen verdächtigen – diesen Leuten steht der Terrorismus ja nicht ins Gesicht geschrieben. Wenn überhaupt könnte ein Gericht Rückzahlungen anordnen”. Dunque, solo in caso di una dimostrazione postuma, eventualmente, un tribunale può richiedere che il beneficiario restituisca il denaro assegnatogli: negargli i contributi sulla base del solo sospetto, o – come vorrebbero alcuni – sulla base dell’appartenenza religiosa, metterebbe insomma in discussione il nostro stato di diritto (con conseguenze negative per tutti, non solo per i diretti colpiti).

Molto interessante anche l’ultima domanda dell’intervista: “Ist die Unterstützung mutmaßlicher Straftäter ein Kollateralschaden, den man in einem hoch entwickelten Sozialystem hinnehmen muss?” L’accento qui va posto sul profilo del nostro sistema sociale, definito altamente sviluppato. Una riduzione del rischio, s’intende, implicherebbe un abbassamento del suo livello complessivo. "Nel novantanove per cento dei casi - conclude Critelli - non ci sono problemi, ma chiaramente una piccola minoranza di criminali e profittatori non si può escludere". Il quesito che dunque a questo punto dobbiamo porci diventa: siamo davvero disposti a sacrificare il nostro stato di diritto e il nostro sistema sociale altamente sviluppato concedendo sempre più spazio alla paura e alla discriminazione che, inevitabilmente, ne conseguirebbe?