Politics | L'intervista

“La montagna è anche altro”

Kurt Walde, presidente del Collegio provinciale delle guide alpine sciatori, sulla polemica delle baite affollate, il boom dello scialpinismo e il turismo da reinventare.
Kurt Walde
Foto: Kurt Walde

salto.bz: Walde, partiamo dalla chiusura degli impianti da sci, causa coronavirus, che non smette di far discutere. Qual è la sua posizione in merito?

Kurt Walde: Sono dell’opinione che bisogna fare una differenziazione fra gli impianti. Una sciovia classica dove si sale, uno dietro l’altro a dieci metri di distanza, è un conto, e un altro è la piccola cabinovia dove l’inevitabile vicinanza tra le persone viene a rappresentare un problema. Se intanto, per Natale, si potessero aprire quegli impianti in ordine dal punto di vista della sicurezza sarebbe già qualcosa.

Lo “scandalo” del fine settimana scorso però sono le baite e i locali dell’Après-ski presi d’assalto anche in Alto Adige, nonostante gli impianti fermi e il divieto di ingresso per i turisti.

Il punto è che non esiste una proporzionalità. Da una parte c’è uno sciame di persone che può infilarsi indisturbato dentro un rifugio o un ristorante in cima alla montagna e dall’altra ci sono gli impianti che non possono aprire, tout court. Ma è evidente che un impianto gestito bene può essere più sicuro di un rifugio pieno zeppo di gente. E con situazioni di assembramenti come quelle che abbiamo visto nel weekend, oltre al pericolo dei contagi si presenta anche un problema grosso per noi guide, che rischiamo di non poter più fare scialpinismo pur rispettando tutte le precauzioni del caso, sia per quanto riguarda il Covid-19 che le valanghe e quant’altro. Non solo. Perché con questa piega si rischia che gli impianti continuino a rimanere chiusi anche dopo il 6 gennaio e quindi chi vive di questo mestiere si troverà a doverne pagare le conseguenze. E poi mi lasci dire un’altra cosa.

Prego.

Stride, concettualmente, l’immagine degli affollamenti nelle baite di montagna con il pensiero degli studenti delle scuole superiori che ancora non possono tornare fisicamente in aula a seguire le lezioni.

Il punto è che non esiste una proporzionalità. Da una parte c’è uno sciame di persone che può infilarsi indisturbato dentro un rifugio o un ristorante in cima alla montagna e dall’altra ci sono gli impianti che non possono aprire, tout court

Sugli impianti però c’è da dire che governo italiano e tedesco hanno provato a convincere l’Unione Europea a stabilire regole valide per tutti gli stati membri (la Svizzera non ne sarebbe comunque stata soggetta).

Diciamo che la comunità europea avrebbe potuto dimostrare più coraggio fissando una regolamentazione unica, ma onestamente sarebbe stato difficile arrivarci. In ogni caso più che su “quando” aprire ritengo che sarebbe stato opportuno trovare una linea comune sul “come”. Concedendo dunque l’opportunità di aprire le piste in modo ordinato, garantendo un determinato livello di sicurezza, poi è chiaro che in alcune realtà le situazioni sono più gravi rispetto ad altre.

Intanto scialpinismo, ciaspole, sci di fondo, registrano un boom. È la “montagna alternativa” su cui puntare quest’inverno? Ed economicamente parlando: ciaspolatori, fondisti e scialpinisti li riempiono gli alberghi?

Finora, faccio un esempio, un austriaco che voleva fare questo tipo di attività poteva entrare in Alto Adige con un test PCR o un antigenico negativo non più vecchio di 48 ore o facendosi 14 giorni di quarantena, ma dopo il 21 dicembre questo non sarà più possibile, visto l’ulteriore irrigidimento delle misure anti-contagio. È il tipo di clientela che cambia, magari i sudtirolesi si spostano da un punto all’altro del territorio per scoprire altre zone e pernottano negli hotel. Fatto sta che purtroppo gli alberghi, come del resto tutti i professionisti della montagna, stanno soffrendo. Detto questo, la montagna è anche altro, oltre allo sci da discesa, e un punto è diventato molto chiaro: il turismo si deve reinventare. Quest’anno non si hanno le piste a completa disposizione, senza peraltro garanzie sulla ripartenza, e di contro ci sono scialpinismo, ciaspole, snowboard eccetera, che vanno per la maggiore. Ma anche qui ci vuole una certa disciplina, un certo modo di ragionare. Perché ad esempio i parcheggi strapieni nel weekend, se parliamo di contagi, non sono un fattore rassicurante. Ma non si tratta solo di coronavirus. Per praticare certe attività ci vuole sempre una valutazione del rischio, un’introduzione. Insieme all’Alpenverein abbiamo fatto webinar sulla prevenzione, corsi sulle valanghe e via dicendo, ci impegniamo molto insomma per contenere i rischi, ma deve esserci la massima attenzione anche da parte delle persone che vanno in montagna, serve l’umiltà di dire “sono un principiante”, e andare con calma.

 

Finché la situazione era drammatica, a causa del passaggio delle valanghe dopo la recente ondata di maltempo, c’è chi per non rischiare la vita ha usato le piste, ma essendo chiuse, non gestite, salire diventa più pericoloso che farsi un giro nel bosco

E in termini di soluzioni concrete?

Abbiamo fatto una proposta all’associazione degli impiantisti dell’Alto Adige, pensare a piste separate da quelle dello sci da discesa, e gestite in modo tale che le persone, dietro pagamento, magari, possano salire e scendere ma senza correre pericoli, in modo da poter svolgere le loro attività. E si sta ancora a riflettere su come mettere in pratica l’idea.

È una critica?

Beh, ci dispiace che il circuito sciistico non sia stato abbastanza pronto nel prevedere uno scenario di questo genere. Voglio dire, se gli impianti sono chiusi che almeno si creino condizioni ottimali per le altre attività in montagna.

Altrimenti finisce, come è accaduto, che si violano le regole, usando le piste con ciaspole o sci di alpinismo?

Finché la situazione era drammatica, a causa del passaggio delle valanghe dopo la recente ondata di maltempo, c’è chi per non rischiare la vita ha usato le piste, ma essendo chiuse, non gestite, salire diventa più pericoloso che farsi un giro nel bosco.

Com’è la situazione in quota in questi giorni?

Il pericolo di valanghe è sceso al grado 2 (in una scala da 1 a 5, ndr), ma bisogna dire che anche prima, con il grado 3, il pericolo non era altissimo.

Ci spieghi meglio.

Il problema di solito si pone quando la neve cade tardi e si posano più strati, stavolta invece è arrivata di colpo con un unico strato e in più bagnata. Quindi gelando, questo unico strato è diventata una base ideale per l’inverno. Ciò significa che dal punto di vista dello scialpinismo o delle attività in montagna quest’anno la partenza è eccezionale. L’altra faccia della medaglia è che purtroppo restano i danni provocati dall’arrivo massiccio della neve. Vede, noi siamo soliti dire che il vento è il costruttore di valanghe, ecco, se il vento resta moderato e la neve così polverosa, assestata, la situazione è potenzialmente favorevole. Ognuno però deve saper valutare la situazione e avere la capacità di adattarsi strada facendo, man mano che si sale. Usare la testa, questo è fondamentale.