L'Uomo di Mosca
Pochi giorni or sono, tra queste annotazioni sempre in bilico tra storia e cronaca, ho rievocato gli anni confusi e tumultuosi del secondo dopoguerra, quando, in Alto Adige, bastava aver condiviso la prigionia in un lager nazista con il figlio del leader jugoslavo Tito, per acquistare la nomea di criptocomunista. Fu la sorte che toccò, in quegli anni, a un personaggio di primo piano della politica sudtirolese come il giornalista e parlamentare Friedl Volgger. Va detto, però, che il fedele collaboratore del Canonico Michael Gamper non fu l'unico, nell'universo politico sudtirolese, a finire del mirino. La caccia al comunista nascosto raggiunse in quegli anni vertici incredibili anche tra le Dolomiti e la storia che andiamo a raccontare di seguito lo testimonia in pieno.
A metà degli anni 50, mentre la crisi della prima Autonomia entra nel vivo e rapporti tra Bolzano e Roma si fanno sempre più tesi, piomba in Alto Adige una strana figura di sedicente giornalista. Si chiama Julian de Kassel, ha un passaporto inglese e la sua autobiografia sembra uscita da un romanzo di spionaggio. Racconta di aver lasciato il giornalismo attivo durante la seconda guerra mondiale per prestare servizio come agente segreto in collegamento con la resistenza belga. Nel dopoguerra afferma di aver viaggiato in tutto il mondo ("due milioni di chilometri") esplorando la realtà politica e sociale di molti paesi. Racconta di essere stato espulso dalla Russia sovietica perché considerato pericoloso e di aver subito la stessa sorte anche in Egitto. Nel febbraio del 1957 scopre la realtà altoatesina e ne resta affascinato, tanto da decidere di dedicarle a stretto giro di posta addirittura un libro. Il volume, intitolato "L'Alto Adige minaccia per l'Europa libera?" esce, nell'agosto di quell'anno, in lingua italiana, per i tipi dell'editore Trentino Lenzi. L'edizione inglese, ovverossia nella presunta lingua madre dell'autore, arriverà solo tre anni dopo, nel 1960, realizzata questa volta dalla casa editrice Monauni.
Cosa racconta de Kassel nel suo volume. Nulla di nuovo e nulla di particolare a dire il vero. Il libro, poco meno di cento pagine in tutto, si limita a ricostruire le più recenti vicende altoatesine, schierandosi senza alcun ritegno a favore delle tesi da sempre sostenute dal nazionalismo italiano più estremista. In questo il volumetto non si distingue poi tanto dalla vasta pubblicistica che in quegli anni vuole controbattere, anche in modo assai aspro, le rivendicazioni che vengono da parte sudtirolese.
L'aspetto particolare è contenuto tuttavia in uno degli ultimi capitoli intitolato "gli aspetti internazionali del problema di Bolzano". Qui l'autore sfodera la capacità di analisi acquisita nel lungo girovagare ed elabora una teoria veramente singolare: quella secondo la quale Bolzano opera una "quinta colonna" comunista ben addestrata e manovrata da Mosca per utilizzare il problema altoatesino come una leva per scardinare l'ordinamento democratico italiano e per infliggere un duro colpo alla Nato. Di questo pericoloso movimento clandestino, che poi tanto clandestino non è visto che de Kassel parla dei 600 sudtirolesi che, alle ultime elezioni politiche avrebbero votato per il Partito Comunista Italiano, il giornalista-agente inglese avrebbe identificato anche il capo. E ne fa il nome, sulla base evidentemente delle voci raccolte negli ambienti altoatesini. L'uomo di Mosca, scrive, sarebbe il dottor Peter Brugger, figura in ascesa, in quegli anni, nel firmamento politico della Suedtiroler Volkspartei. A carico di Brugger una circostanza considerata altamente probante: l'aver trascorso diversi anni, come prigioniero di guerra, nei campi di concentramento sovietici ed esser stato sottoposto, come gli altri prigionieri del resto, ai corsi di indottrinamento organizzati dai carcerieri. De Kassel ne domanda conto direttamente all'interessato ma l'ovvia giustificazione in base alla quale il rifiutarsi di partecipare a quei corsi sarebbe stato come mettersi direttamente davanti al plotone d'esecuzione, non lo scuote minimamente.
Ma c'è di più. A sostenere il perfido disegno della colonna bolscevica che si muove nelle valli sudtirolesi c'è, secondo l'autore, l'intero governo austriaco che, per ingraziarsi la benevolenza di Mosca, cerca di utilizzare la questione altoatesina come un cavallo di Troia da collocare all'interno dell'alleanza occidentale, per frantumarne l'unità. Un disegno astutissimo che, secondo Julian de Kassel, verrà portato a compimento quando l'Austria riuscirà a mettere il problema altoatesino all'ordine del giorno dell'Assemblea delle Nazioni Unite. "Sia che l'Austria vinca o perda - scrive - all'Assemblea delle Nazioni Unite l'Occidente è costretto alla sconfitta, o per il fallimento della Nato o per la maggiore influenza che la Russia eserciterà nell'Europa centrale".
Una trama tanto ardita e fantasiosa da oscurare persino quelle dei romanzi che vedono protagonista James Bond, che un altro scrittore inglese, Jan Fleming, sta iniziando proprio in quegli anni a pubblicare. Siamo quasi ai limiti del delirio paranoico e le invenzioni del de Kassel non meriterebbero neanche di essere recuperate dal cestino della carta straccia in cui le ha cacciate la storia se non fosse che all'epoca furono prese assai sul serio.
Le vociferazioni sul conto di Peter Brugger, ad esempio, circolarono talmente a lungo, anche e soprattutto negli ambienti della politica sudtirolese, da costringere l'interessato a stilare un memorandum nel quale chiariva tutti i vari aspetti del proprio comportamento durante la prigionia dell'Unione Sovietica e ad inviarlo alla Direzione del suo partito perché ogni dubbio fosse dissipato e si ponesse fine ad ogni maligna insinuazione.
Ma c'è di più.
Alla fine di quel tormentato 1957, poche settimane dopo la grande manifestazione di Castelfirmiano, al Nationalrat austriaco si tiene un dibattito sulla politica estera che finisce per essere dominato dai più recenti sviluppi della questione altoatesina. Tra gli oratori anche un politico tirolese, Aloys Oberhammer, da sempre estremamente impegnato a favore dei "fratelli separati" del Sudtirolo. Ebbene, Oberhammer dedica la parte più consistente del suo discorso proprio a confutare e criticare le tesi contenute nel libro di Julian de Kassel, lamentandone l'estrema pericolosità e l'infame perfidia..
Per capire come possa essere stato preso talmente sul serio quello che a noi, oggi, appare come un cumulo evidentissimo di sciocchezze, occorre, come sempre, calarsi pienamente nello spirito del tempo. Siamo nel pieno della guerra fredda. Il conflitto coreano è finito da poco e già si profilano altri terreni di scontro frontale tra le due Superpotenze: dal Vietnam a Berlino. All'interno dei due campi ideologici contrapposti la tensione resta altissima ed è frenetica la caccia al nemico e al traditore, soprattutto a colui che si nasconde sotto mentite vesti. In Russia e nell'Europa dell'est per molti anni è stato sufficiente aver avuto anche un fuggevole contatto con un occidentale per finire dietro i recinti di un Gulag. Ad occidente il castigo è meno drastico, ma gli intellettuali americani, ad esempio, hanno dovuto subire gli effetti della "caccia alle streghe" scatenata dal Senatore McCarthy. L'angoscia per un incombente guerra nucleare, che tutti reputano più che possibile, rende il clima ancor più irrespirabile. Tutto diventa possibile, tutto diventa così credibile.
È per questo che il deputato austriaco Oberhammer si ritiene autorizzato a lanciare un grido di allarme. Le tesi contenute nel libro di De Kassel sul complotto austro-sudtirolese per incrinare la compattezza della Nato e favorire così i subdoli piani elaborati a Mosca, vengono viste come un veleno che, fatto circolare nelle capitali occidentali, può comunque intossicare i rapporti internazionali sui quali la diplomazia austriaca, da poco tornata alla sua piena ed autonoma operatività con il Trattato di Stato del 1955, conta per raggiungere un obiettivo ambizioso difficile: quello di portare davanti all'Assemblea Generale dell'Onu il problema dell'Alto Adige.
Così poi avvenne e le cervellotiche trame contenute in un libretto non ebbero peso alcuno sugli sviluppi di una storia lunga e complessa. A noi resta la curiosità di riaprire capitoli ormai dimenticati per capire quanto sia stato aspro e difficile cammino percorso.
P:S: Dimenticavo: quel Peter Brugger costretto all'epoca a giustificarsi per gli anni di prigionia in mano ai sovietici, è lo stesso che, dopo aver perso di misura il confronto con Magnago nello storico congresso sul "Pacchetto" nel 1969, a metà degli anni 70, commentando l'ascesa elettorale del PCI, annuncia, in una celebre intervista concessa al collega Silvano Faggioni, che se i comunisti italiani dovessero andare al potere, i sudtirolesi chiederanno l'autodeterminazione. Mi immagino il commento di Julian de Kassel, passato all'epoca a curare la sceneggiatura di polpettoni storici in quel di Cinecittà. Astuta "disinformatia" avrebbe detto.