“L'Italia riprenda in mano l'Alto Adige”
“L’Alto Adige deve essere preso sul serio. (...) Custodisce il nostro confine strategicamente più importante, lo spartiacque alpino per conquistare il quale sono morti centinaia di migliaia di italiani appena un secolo fa. (...) Soprattutto, è parzialmente sottratto alla sovranità italiana”. Non sono parole di Sebastiano Vassalli, né tantomeno di Ettore Tolomei, bensì le premesse – già parecchio controverse – del Rapporto dall'Alto Adige pubblicato sul numero di questo mese della rivista italiana di geopolitica Limes. A firmare il lungo e dettagliato reportage è Federico Petroni, analista geopolitico e consigliere redazionale del periodico.
Ne esce un ritratto del Sudtirolo segnato dalle conseguenze della pandemia, con i “no vax” saliti agli onori delle cronache nazionali. E qui Petroni lancia l'allarme: a Roma non bisogna “abbassare la guardia” su questo “mondo a parte” da sempre “diffidente verso lo Stato italiano”. Perciò, onde favorire “un ritorno dello Stato all’Alto Adige”, l'Italia dovrebbe “approfittare del disincanto che il Covid ha prodotto nella fatata narrazione degli altoatesini di sé stessi, convinti di essere sempre unici e migliori del resto del paese. Tali impulsi vanno sfruttati per respingere al mittente richieste eccessive e per inserire la provincia in una ridefinizione generale dei poteri territoriali, di cui l’epidemia ha mostrato l’inadeguatezza”. salto.bz ha chiesto a Petroni di spiegare la sua posizione.
salto.bz: Dottor Petroni, partiamo dall'inizio. Come descriverebbe il suo lavoro di ricerca sull'Alto Adige?
Federico Petroni: È un rapporto geopolitico dall'Alto Adige, per valutare lo “stato dell'arte” della Provincia negli ultimi anni, in particolare con l'epidemia del Covid. È pubblicato in un numero di Limes intitolato L'altro virus, riguardante le conseguenze della pandemia sulla società. Un esempio di “altro virus” è quello mentale, che affatica le collettività, le mette le une contro le altre al loro interno, allentando la coesione sociale e rendendo più difficile gestire la popolazione da parte degli Stati centrali.
È questo il caso del Sudtirolo?
Dato che l'Alto Adige ha un così alto tasso di popolazione che non si vaccina e un vento di opposizione agli obblighi e alle restrizioni piuttosto sostenuto e determinato – ed essendo un territorio di frontiera come Trieste, dove vi è stata una delle rivolte più forti contro le regole provenienti dall'Italia – ci siamo chiesti se ci fosse “qualcosa sotto”. Siamo andati a verificare sul campo se il Covid stesse accelerando una frattura tra questi territori e il resto del paese. Io mi sono occupato dell'Alto Adige e un altro esperto di Trieste.
Lei conosce bene il contesto storico-politico sudtirolese?
Non sono esperto dell'Alto Adige, ma sono esperto di geopolitica e mi sono domandato come il Covid avesse accelerato certe faglie che lo contraddistinguono da sempre. Se abbia intaccato, insomma, la convivenza tra le due comunità, quella italiana e quella tedesca, o allentato la coesione tra la popolazione e le istituzioni locali, generando un rischio di instabilità – se non di violenza. Quando un territorio così fragile viene investito in maniera così violenta, rischiano di riaprirsi tutte le poste in gioco. Nel caso altoatesino, una nuova stagione secessionista oppure una nuova fase negoziale.
In Alto Adige potrebbe riaprirsi una stagione secessionista o negoziale? Il benessere economico ha congelato la situazione, mentre Austria e Italia dovrebbero chiedere il permesso a USA, Germania e altre grandi potenze per intervenire sullo status quo.
La pandemia potrebbe dunque riaprire la “questione altoatesina”, data per risolta sul piano internazionale?
La questione è “risolta” perché non genera più problemi, ma non è detto non li generi un domani. Siamo in presenza di due comunità che non si riconoscono uguali e non hanno alcuna intenzione di fondersi l'una con l'altra. Certo, il benessere economico e soluzioni istituzionali azzeccate tengono congelata la situazione. I due paesi di riferimento di queste due comunità, Italia e Austria, non sono propriamente delle potenze bellicose autorizzate a cambiare autonomamente lo status quo: sono due satelliti inseriti in un sistema più grande di loro. Dovrebbero chiedere il permesso a Stati Uniti, Germania e altre grandi potenze per cambiare le cose. A tenere tutto molto sedato è il benessere economico che ha diffuso una mentalità economicistica e compresso la questione identitaria. Non è detto che un domani, se Italia e Alto Adige andassero in crisi economica pesante, in fallimento, non potrebbero riaccendersi partite.
Dalle informazioni che ha raccolto "sul campo", che idea si è fatto?
Il Covid non ha intaccato la convivenza tra italiani e tedeschi, non si è riacceso un conflitto etnico ed esso non sta neanche all'orizzonte, nonostante le diversità di vaccinazione tra le due comunità e nonostante il diverso grado di ubbidienza allo Stato italiano, visto come tendenzialmente alieno dalla comunità tedesca, o come più agganciato alla propria identità dalla comunità italiana. Ma qualcosa lo ha scatenato questo virus, nel rapporto tra una parte della popolazione locale e le istituzioni: innescando un meccanismo di separatismo interno favorito dalla segregazione morbida istituzionalizzata in Alto Adige.
Si è innescato un separatismo interno, favorito dalla segregazione morbida istituzionalizzata. L'Alto Adige invita a creare società parallele, ad autoescludersi dalla comunità, generando dei “ghetti” che possono ricorrere alla violenza.
Cosa intende con "separatismo interno"?
Il fatto che tedeschi e italiani possano vivere le loro vite senza mai incontrarsi favorisce la creazione di società parallele, creando un terreno molto più fertile che nel resto del paese perché i “no vax” si ripieghino in una comunità parallela. L'Alto Adige invita al separatismo interno, all'autoescludersi dalla società, generando dei “ghetti” di emarginati che possono ricorrere alla violenza. È comunque significativo che la Provincia di Bolzano sia una delle primissime istituzioni italiane ad aver ricevuto delle lettere minatorie.
Un fatto avvenuto prima ancora nel vicino Trentino, con le minacce al governatore Maurizio Fugatti. Un contesto sociale e politico assai diverso dall'Alto Adige...
Certo, poi le minacce sono arrivate ad altre istituzioni, ma non alla Regione Lazio o alla Regione Sicilia. Chiarisco, non ci vedo dietro qualcosa di etnico, il conflitto etnico non rischia di riaccendersi – questa almeno è la mia impressione – ma si rischiano più che altrove violenze di tipo sanitario, contro la presunta dittatura sanitaria, magari anche isolate. In un territorio fragile, a ridottissima sovranità dello Stato italiano, la questione rischia di internazionalizzarsi molto velocemente: uno Stato straniero, l'Austria, ha titolarità, ha voce in capitolo su ciò che accade in Sudtirolo.
Un'internazionalizzazione in che termini?
Il rischio che vedo è un malcontento più diffuso nei confronti delle istituzioni, che potrebbe spingere la classe dirigente locale a reagire come ha sempre reagito negli ultimi 50 anni: facendo più muso duro nei confronti di Roma, chiedendo più autonomia. La “lista dei desideri” per una maggiore Autonomia è sempre presente. Non stabilisco un nesso causale, un causa-effetto diretto tra Covid e riapertura di un negoziato autonomistico. Ma nel medio periodo, una classe dirigente meno legittimata e con più pressioni potrebbe essere spinta a una riapertura di una stagione negoziale. Con un'Autonomia praticamente completa, le prossime richieste che si possono negoziare a Roma comincerebbero a erodere significativamente il controllo su questa Provincia.
Le prossime richieste di Bolzano erodono in modo significativo il controllo di Roma sulla provincia. E in un territorio fragile, a ridotta sovranità dello Stato italiano, la questione rischia di internazionalizzarsi in fretta.
Quale potrebbe essere una richiesta negoziale di Bolzano, diciamo così, “esagerata”?
Ad esempio creare un'Agenzia delle Entrate altoatesina. Una richiesta che arriva sia dai “duri e puri” secessionisti che dall'ala più oltranzista della SVP.
Lei parla di “ridottissima sovranità” dell'Italia sul Sudtirolo, di un “controllo” sull'Alto Adige, e dall'altro lato del ruolo dell'Austria sulla questione altoatesina. Lei crede che l'Italia “subisca” l'Autonomia, giudica negativamente l'atteggiamento dello Stato italiano verso la Provincia autonoma di Bolzano?
Sì, assolutamente. Sono le conclusioni del mio articolo. Lo Stato italiano ha abbandonato quei territori che ha strappato all'Impero asburgico cent'anni fa, Trieste e l'Alto Adige. È sotto gli occhi di tutti che siano trascurati, dimenticati, usciti dalla mentalità nazionale. Gli italiani non sanno come sia fatto l'Alto Adige, perché appena lo scoprirebbero, ne avrebbero orrore. Termini come “assimilazione” sono sconosciute al popolo italiano, voi sapete perfettamente di cosa si tratta, fa parte della storia delle vostre famiglie, da una parte e dall'altra. Siete una comunità completamente avulsa al resto del paese.
Compresi i sudtirolesi di lingua italiana?
Gli italiani d'Alto Adige sono omogenei al resto del paese, cioè antropologicamente identici, nulla li distingue. Però hanno più contezza di termini che per il resto del paese sono assurdi. Lo Stato italiano ha trattato l'Alto Adige come se fosse un mezzo paese indipendente. O meglio, la classe dirigente, politica, che ha mercanteggiato maggiori concessioni di autonomia, competenze dello Stato in cambio di voti in Parlamento su questioni politiche, effimere. La competenza dello Stato non può valere la sopravvivenza di un governo, che comunque cade. E la sensazione degli italiani dell'Alto Adige è di essere abbandonati.
Dallo Stato, dalla Provincia o da entrambi?
Due persone con cui ho parlato a Bolzano, di convinzioni politiche opposte e appartenenti alle due comunità, hanno usato la stessa parola per descrivere gli italiani dell'Alto Adige: rassegnati. Addirittura qualcuno ha detto che in ballo c'è il rischio di sparizione della soggettività degli italiani dell'Alto Adige, tirando in ballo i loro rappresentanti in Consiglio provinciale. Questo è il segno del distacco, dell'abbandono che si sta creando da parte dello Stato italiano nei confronti di questa comunità, che andrebbe riscoperta.
In che modo?
Mettendo da parte questa pratica clientelare di mercanteggiare competenze dello Stato, recuperare e ricoinvolgere la comunità italiana, farla sentire legata al resto del paese. E infine far sapere all'Alto Adige che allo Stato italiano interessa: non riscoprendo strutture o burocrazie di sapore novecentesco, fascista o assimilatorio – niente di tutto questo – bensì facendo capire che c'è interesse, volontà di dialogo, di risolvere assieme questioni. È necessario per invertire rotta.
Se si guarda alla classe dirigente altoatesina, il Presidente della Provincia Arno Kompatscher – soprattutto se raffrontato al suo predecessore – ha avuto un atteggiamento di maggiore apertura verso l'Italia. Un Landeshauptmann che interviene persino alla convention annuale d'un partito nazionale (la Leopolda di Renzi, ndr) sarebbe stato impensabile fino a pochi anni fa.
Il punto non è tanto questa piccola, minoritaria ala della vostra classe dirigente, quanto che lo Stato italiano dovrebbe riprendere in mano i territori. Non per togliere le autonomie, ma per far sapere che c'è e mette un punto, “basta, non pensate di poter avere qualcos'altro”. Da qui a un Freistaat non c'è alcuna differenza.
Auspica che l'Italia riprenda il “controllo” sul Sudtirolo. Quando l'ha perso?
No, io non ho detto di riprendere il controllo. Il rischio è di perderlo completamente. È il rischio di un'eventuale apertura di una nuova fase negoziale, il rischio possibile di una classe dirigente altoatesina che viene messa sotto pressione. Non si tratta, come ho detto poc'anzi, di recuperare istituzioni di stampo assimilatorio. Tra fascismo ed età repubblicana, lo Stato italiano tentò senza successo e con grave danno di assimilare i tedeschi locali.
Lo Stato italiano dovrebbe riprendere in mano i territori che ha strappato all'Impero asburgico cent'anni fa, mettendo da parte questa pratica clientelare di mercanteggiare competenze. Non si tratta di togliere le autonomie, ma di dire “basta, non pensate di poter avere qualcos'altro”. Da qui a un Freistaat non c'è alcuna differenza.
Come si potrebbe manifestare questo “nuovo interesse” sull'Alto Adige/Südtirol?
Un esempio molto limitato potrebbe essere quello di creare una struttura formale nelle istituzioni romane che si occupi dell'Alto Adige, un ufficio di coordinamento degli affari altoatesini. Ce l'ha Vienna ovvero uno Stato straniero (si tratta della sottocommissione sul Sudtirolo del Parlamento austriaco, che non si riunisce da tempo, e d'un responsabile per i rapporti con Sudtirolo e Sudeuropa presso il Ministero degli Esteri ndr) e non l'Italia che solo formalmente controlla quei territori.
Le Commissioni paritetiche dei Sei e dei Dodici non sono sufficienti?
Non parlo tanto di una commissione, quanto d'un Ufficio di Stato interministeriale, non dico all'interno di Palazzo Chigi, ma presso il Ministero degli Affari regionali. Una struttura deputata a coordinare il lavoro degli altri ministeri, radunando le competenze di chi si occupa di Alto Adige. È giusto un segnale: altrimenti il paradosso, come sottolineo alla fine dell'articolo, è lasciare che a occuparsi di Alto Adige sia il Presidente della Repubblica, che pure ha fatto un lavoro egregio.
Mattarella ha intrattenuto ottimi rapporti con il suo omologo austriaco, Alexander Van der Bellen, e in generale con la politica altoatesina. A livello simbolico vi sono stati gesti significativi, come la recente grazia ad Hannes Oberleiter. Tra Roma, Vienna e Bolzano scorre buon sangue, non crede?
Per carità, tanto di cappello a Mattarella. Ma è l'eccezionalità, non è possibile sia solo il Capo dello Stato a occuparsene. Lo spunto della mia ricerca, comunque, non era stabilire delle verità assolute. Ma assumendo le lenti della geopolitica, rilevo delle criticità che possono manifestarsi nel prossimo futuro.
L'Autonomia dell'Alto Adige, rispetto ad altre realtà regionali analoghe in Europa, ha disinnescato le posizioni indipendentiste. L'autodeterminazione, per ora, sembra ferma su un binario morto.
Assolutamente. Su Limes mi pongo la domanda esplicita: può la pandemia riaprire un'ondata secessionista? La risposta è un secco no. Nell'articolo c'è anche un ritratto di Jürgen Anderlan: la ritengo una figura emblematica di quanto stia scemando il sentimento identitario e secessionista in Alto Adige. La sua vicenda è molto esemplificativa, dimostra come l'attore che rischia di più è la Provincia di Bolzano: la pandemia ha aggiunto al tradizionale Los von Rom un grido sempre più diffuso di Los von Bozen.
Al Los von Rom si è aggiunto un diffuso Los von Bozen. C'è poi il rischio di una resistenza montanara, tra Nord e Sudtirolo, alle regole degli establishment viennese e romano. Vienna e Roma potrebbero dover combattere un nemico comune.
Non è una questione che potremmo definire “di politica interna” all'Alto Adige/Südtirol?
Sì, ma non siete uno Stato indipendente. Questo territorio è strategico: su Limes ci interessiamo all'Alto Adige perché si trova su un asse di comunicazione vitale per la nostra economia, sul flusso da cui dipende la nostra manifattura, mettendoci in raccordo col mondo germanico. Questa porta, lasciata così aperta per ragioni storiche insindacabili, favorisce l'ingresso a idee eversive, con la diffusione di teorie della cospirazione o radicalismi separatisti di chiara matrice germanica. L'Alto Adige è il punto d'ingresso, da lì entrano nel nostro paese, sebbene poi queste idee non circolino diffusamente. Perciò volevo alzare l'attenzione delle istituzioni su quelle teorie del complotto, anche violente, che per un'affinità culturale o etnica trovano diffusione anche in Italia.
I “no-vax” sono solo un prodotto d'importazione, non si formano in loco?
Il rischio è che si crei una resistenza montanara tirolese, tra Nord e Sud, alle regole dei due establishment, quello viennese e quello romano, aprendo a delle possibilità di collaborazione tra Vienna e Roma per combattere un nemico comune.
L'Austria questo nemico ce l'ha ovunque, in tutti i Länder, non solo nel Nordtirolo...
È un po' Vienna contro tutti, allora.
In reply to lo Stato di Roma? Quà by Paesano Laivesotto
Quindi Roma non avrebbe più
Quindi Roma non avrebbe più competenze?
Auf diesem Text fällt mir
Auf diesem Text fällt mir folgende Bescheibung ein: skurril und oberflächlich.
Skurril, dass man es schafft immer wieder die Wasserscheidentheorie auszupacken, die Urgroßväter, die für dieses Land gestorben sind, obwohl für die Einnahme Südtirol kein italienisches Blut vergossen wurde, sondern, die Truppen nach dem Waffenstillstand ohne Widerstand vorrücken durften.
Aber von diesem Blut- und Boden-Motiv und von der Rechtfertigung politischer Entitäten durch geographische Begebenheiten (Wenn die Wasserscheidentheorie langweilig wird, kann man es mal abwechslungsweise mit der Auslotung der tektonischen Platten oder mit Gesteinstypen versuchen)
Des weiteren die Idee, dass man Südtirol vernachlässigt habe und man sich um dieses mehr kümmern müsste. Dass Südtirol das Eingangstor für komische Ideen wäre, als ob diese noch über Depechen verbreitet würden.
Und auch ist die ganze Analyse oberflächlich, weil Südtirol immer anders war als der Rest Italiens und es auch bleiben wird, solange man nicht vor einer forcierten Assimilation nicht zurückschreckt.
Südtirol ist eben auch Teil des deutschsprachigen Kulturraums. Es gibt schon von Grund auf Abweichungen in der Mentalität und es werden im öffentlichen Raum andere Themen diskutiert als im Rest Italiens, weil man eben auch deutschsprachige Medien konsumiert.
So hat Südtirol eben eine höhere Skepzis über die zu leichtfertige Einnahme von Medikamenten. Statistisch ist der Konsum der geringste Pro-Kopf Italiens. Auch der Hang sich mit Heilpraktier, Homeopathen und Naturheilkunde zu umgeben ist etwas das nicht erst mit der Pandemie hervorgegangen ist.
Und so wie der deutschsprachige Raum in Europa eben eine Hochburg von Impfskeptikern ist, ist Südtirol dabei nicht auszunehmen.
Die Grundaussage die ich im Zweifel setzen möchte ist eben dass Südtirol von Italien abdriftet. Südtirol war immer anders und eigen und wer sich jetzt das erste Mal mit diesem Land beschäftigt und damit nicht zurecht kommt und verwundert etwas von abdriften schwadroniert, hat seine Hausaufgaben nicht gemacht.
https://www.spiegel.de/kultur/waldorfschule-und-impfgegner-in-steiners-…
Dejavu! E con ciò è detto
Dejavu! E con ciò è detto tutto.
Ich kann auf ein derartiges
Ich kann auf ein derartiges Geschreibsel nur mit Ingeborg Bachmann antworten: ...und es will mich noch anfallen trunkenes Limesgefühl (Große Landschaft bei Wien) ..e ancora m'assale ebbro il senso del limes (Grande paessaggio nei d'intorni di Vienna)
Cioè ci mancava soltanto lui.
Cioè ci mancava soltanto lui... in senso lato, molto lato.
Il livello di cessione di
Il livello di cessione di sovranità è un unicum a livello europeo? Avrebbe una fonte per questa Sua (secondo me falsa) affermazione?
E chi mi garantisce che Lei
E chi mi garantisce che Lei sia Luca Marcon?
Ma visto che sembra non aver voglia di rispondere alla mia domanda Le lascio questo: https://www.brennerbasisdemokratie.eu/?p=37233
In reply to E chi mi garantisce che Lei by pérvasion
Wie ist es denn zu
Wie ist es denn zu interpretieren, dass sowohl die Autonomen Provinzen Trentino und Südtirol als auch die Region Trentino-Südtirol auf dieser Liste erscheint?
Eine reine Addition würde zu einem Wert von 36 führen, was sicher nicht sinnvoll wäre. Doch ist auch wahr, dass Südtirol sowohl über die Provinz als auch die Region eine Autonomie ausübt und beide Werte getrennt zu betrachten auch nicht der Realität entsprechen würde.
In reply to Wie ist es denn zu by gorgias
Wenn ich mich richtig
Wenn ich mich richtig erinnere, ist die Autonomie, die Südtirol über die Region (mit-)ausübt, anteilig bereits in den Wert des Landes eingerechnet.
(Andererseits… wo ist dann Schluss? Muss man dann auch einrechnen, dass die Regionen wiederum am Zentralstaat mitwirken?)
Perdoni se mi intrometto, ma
Perdoni se mi intrometto, ma puntare il dito su uno pseudonimo ha sempre il gusto di scappatoia per non rispondere a domande, alle quali non si hanno risposte.Nel contesto sono più importanti i fatti o è più importante la faccia? Piuttosto, mi interesserebbe anche me, su quali basi scientificamente insindacabili lei poggia la sua affermazione.
Ma complimenti, ha proprio
Ma complimenti, ha proprio scoperto un segreto. Vedo che anche a distanza di anni Le piace il doxing, questo mi tranquillizza.
«Togliamo pure il riferimento all' "unicum".»
In sostanza cade il senso del Suo precedente commento…
Il senso, dopo il chiarimento
Il senso, dopo il chiarimento, sarebbe che l'autonomia sudtirolese «non è nemmeno lontanamente paragonabile a quello relativo al Friuli Venezia Giulia», fatto contraddetto dal Regional Authority Index. Rimane quindi la mia prima domanda: avrebbe una fonte per la Sua affermazione?
Dass es so etwas noch gibt:
Dass es so etwas noch gibt: Ein NoVax politisch oder gar geopolitisch?
In reply to Dass es so etwas noch gibt: by Peter Duregger
Die Frage ist durchaus
Die Frage ist durchaus berechtigt. Die 1993 von Lucio Caracciolo gegründete Zeitschrift Limes hat sich in den fast 30 Jahren ihres Bestehens viele Verdienste erworben und den Lesern die Augen geöffnet für Konflikte und internationale Krisen, deren Hintergründe sie kaum kannten. In den letzten Jahren konnte man darin durchaus auch bizarre und unorthodoxe Beiträge lesen - mit oft schräger Sicht auf die gewählten Problembereiche oder Regionen. Dazu gehört zweifelsohne jener über Südtirol. Durchaus möglich, dass dahinter auch ein bisschen Eigenwerbung steckt. Denn Limes wird -auch wegen seines Formats - eher in Buchhandlungen erworben als am Kiosk. Daher gibt es im Impressum der Zeitschrift eine gut sichtbare" lista delle librerie dov'è possibile acquistare Limes". Im Trentino sind das drei: zwei in Trient und eine in Pergine. In Südtirol keine einzige.
Ich höre zum ersten Mal von
Ich höre zum ersten Mal von dieser Zeitschrift Limes. Als halbwegs gebildeter und politisch interessierter Mensch muss das wohl bedeuten, dass diese Zeitschrift für den durchschnittlichen Bürger "unterhalb der Wahrnehmungsschwelle" liegt.
Gut so.
Über die kruden Theorien braucht man sich nicht lange aufzuregen, da sind andere geopolitische Vorgänge derzeit brisanter. Gefreut hat mich hingegen, dass sowohl der Artikelschreiber am Anfang als auch der Interviewte irgendwann einmal den Begriff "Sudtirolo" genannt haben. Immerhin...
Es ist aber meiner Meinung nach ein interessanter Einblick in die Denkweise eines Italieners, der praktisch nichts Wesentliches von Südtirol weiß und sich doch eine Meinung zutraut. Italien ist und bleibt vom Design her ein Zentralstaat mit einem ganz anderen Selbstverständnis wie z.B. das föderal konzipierte Deutschland. Schade, dass Vielfalt, Autonomie und Subsidiaritätsprinzip als Bedrohung gesehen werden und nicht als kultureller und politischer Reichtum. Armes Italien!
In reply to Ich höre zum ersten Mal von by Martin Sitzmann
Da habe ich wohl etwas zu
Da habe ich wohl etwas zu schnell geschrieben. ;-) Limes scheint doch etwas wichtiger zu sein, als ich gedacht habe.
Schau schau, selbst aus so einem skurrilen Artikel kann man was lernen.
Zitat: "Ma lei lo ha letto l
Zitat: "Ma lei lo ha letto l'articolo originale pubblicato su Limes al quale l'intervista si riferisce?":
es geht hier um das Interview auf Salto;
man vermutet nach solchen Kommentaren immer mehr, dass *das hier* - mit inhaltlich provokanten Aussagen - eine versteckte Werbung für die Zeitschrift "Limes" sein könne/solle...
Ihre Reaktion auf die
Ihre Reaktion auf die *Meinungsäußerung* (im Konjunktiv!) eines Lesers ist irritierend:
"che *una torma di cani inferociti balza all'attacco*.
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Na dann schönen Tag ... so ist kein angenehmer Dialog machbar.
"Io posso solo limitarmi a
"Io posso solo limitarmi a sgomberare il campo da eventuali equivoci in tal senso":
danke, angekommen & angenommen.
Warum soll sich jemand nicht
Warum soll sich jemand nicht darüber freuen?
"Pensi che ciò che l'ha resa
"Pensi che ciò che l'ha resa felice - l'utilizzo del termine "Sudtirolo" - a me ha fatto cadere le braccia (tanto per conservare una parvenza di eleganza). Vede com'è vario e ricco di opinioni il mondo?" Dass es Menschen gibt, denen der imperialistische Name lieber ist, ist wohl allen bewusst, auch ohne Ihren Beweis.
Diese Bemerkung gebe ich
Diese Bemerkung gebe ich Ihnen gerne zurück. Kaum steht irgendwo "Sudtirolo" kriechen sie aus ihren Löchern.
Voreinigen Jahren in einem
Voreinigen Jahren in einem Lokal im Norden von Agrigento/Agrigent: parlate Ostrogotto?
No siamo paesani, basta piegare la carta d´Italia a metá.
Caffé e amazzacaffé offerto dalla casa!
Je ne suis pas d'accord.
Je ne suis pas d'accord.
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