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Ave, Cesare!

Di nuovo al cinema un film sul cinema, sul mondo degli Studios nella Hollywood degli Anni Cinquanta.
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Hollywood, anni Cinquanta. Gli Studios ed un caleidoscopio di personaggi che ruotano attorno alla persona di Eddie Mannix, figura cardine di uno studio di produzione, che ha il tutt'altro che semplice compito di risolvere i disastri causati o subiti dalle maggiori star del momento (un po' come Mr. Wolf in Pulp Fiction, ma senza spargimenti di sangue od occultamento di cadaveri): parafrasando il Philip Marlowe de Il grande sonno, qualsiasi cosa non vada negli attori di cui deve occuparsi, non c'è nulla che Eddie Mannix non possa sistemare (la citazione è di rigore, visto che il film si apre proprio con un omaggio alla maestosa pellicola del 1946 di Howard Hawks!).

La cinepresa sposta lo spettatore all'interno di diversi set, dove le varie Star (la maiuscola è d'obbligo) come diligenti ingranaggi mantengono in vita il meccanismo produttivo.

Negli sfavillanti e quasi fiabeschi spettacoli di nuoto sincronizzato un'angelica Scarlett Johannson si muove come una sirena mentre nella “vita reale” è la classica attrice capricciosa quasi a caccia di scandali e rapporti amorosi che non piacciono alla produzione (Eddie Mannix è maestro nel risolvere le sue imbarazzanti follie).

Gli incredibili registi non si e non ci fanno mancare nulla.
Talentuosi ed atletici cowboys che sgominano bande di fuorilegge nelle migliori ricostruzioni western, marinai ballerini che danzano nelle taverne e si mettono a discutere con l'oste, ma soprattutto, non poteva mancare il kolossal di ambientazione romana, dove l'intransigente centurione deve affrontare la crocifissione di Gesù e – chiaramente - rimanerne folgorato sulla via di Damasco.

Siamo nel pieno dell'era del maccartismo, della cd. “caccia alle streghe”, condotta nei confronti di coloro che erano sospettati di simpatizzare per il comunismo; qualcuno degli attori rischia di farsi convertire sulla via di Mosca, vinto dall'eloquenza di un Herbert Marcuse in combutta con gli sceneggiatori. E' sottile qui l'ironia dei fratelli Coen. Se Marcuse criticava il capitalismo, accusato di impedire l’esercizio di un uso critico della ragione, riducendo appunto l’uomo “ad una sola dimensione”, proprio nel mondo bidimensionale per antonomasia - il cinema - viene collocato il tentativo di rivoluzione culturale ad opera del filosofo - da notare anche il buffo cagnolino di nome Engels.

Alla fine trionferà il capitale, la produzione, l'esigenza di girare una scena dopo l'altra per darla in pasto ad un pubblico sempre più esigente e quasi ignaro che dietro agli attori si celino persone in carne ed ossa (il plusvalore rappresentato dalla manodopera del lavoratore). Si coltiva l'artificio della maggior coincidenza possibile tra personalità in pellicola e attore in carne ed ossa, e tutto scorre a meraviglia, perseguendo una sorta di virtuality life, in contrapposizione a quanto vediamo oggi all'epoca dei reality show.

Il cast è stellare, una rosa fulgida di grandi nomi: per citare i più noti, Josh Brolin, George Clooney, Ralph Fiennes, Scarlett Johansson, Tilda Swinton, Channing Tatum.

Il film è intriso di citazioni ed omaggi ad altri film ed al mondo del cinema in sé (lo stesso nome di “Eddie Mannix” è un omaggio all'omonimo produttore dell'epoca); per questo motivo la visione potrebbe sembrare meno appassionante per i meno cinefili e conoscitori della settima arte, eppure la vicenda è godibile per tutti: un viaggio nel tempo che vale la pena di intraprendere.