Society | Gastbeitrag

“Adios, Lucho, que te vaya bien!”

Conobbi lo scrittore cileno Luis Sepúlveda anni fa a Bolzano. Cosa mi rimane di quei giorni così intensi.
Luis Sepúlveda
Foto: upi

Ho avuto il privilegio di conoscere Lucho, come lo chiamavano i suoi amici più stretti, e di passare qualche giorno con lui, qui in Alto Adige e a Gijón, nelle Asturie, dove viveva buona parte dell’anno. Grazie all’interessamento del comune amico Mempo Giardinelli, scrittore argentino e sodale di Lucho e altri autori ispanoamericani, assieme a Francesco Comina, coordinatore del Centro Pace, lo invitammo a Bolzano, nella primavera del 2008. Il primo contatto fu una sua mail dai toni quasi bruschi, senza troppi convenevoli, tipica di chi è abituato a capire con chi ha a che fare prima di sbilanciarsi: “Mempo mi ha detto che volevate parlarmi. Bene, sono qui, ditemi di cosa avete bisogno”. Questo il contenuto letterale della mail.

Avremmo voluto che Luis fosse ancora con noi, magari per raccontare come solo lui sapeva fare le vite di tanti uomini coraggiosi che stanno combattendo la battaglia contro il virus

Poco dopo, un po’ intimoriti, lo chiamammo al telefono e gli spiegammo la nostra intenzione di organizzare un omaggio alla sua opera e lo ragguagliammo sui principi e gli obiettivi che animavano il Centro per la Pace del Comune di Bolzano. Accettò con entusiasmo di venire a Bolzano che conosceva solo di sfuggita: si ricordava di essere passato tante volte sull’autostrada del Brennero per andare in Germania, il Paese che gli aveva restituito la libertà e dove aveva figli e nipoti. Quando arrivò a Bolzano assieme alla moglie, la bravissima poetessa Carmen Yañez, e all’amico fotografo argentino Daniel Mordzinski, ci trovò ad aspettarlo al quarto binario della stazione. Scese dal treno, ci squadrò e ci diede un caloroso abbraccio. La diffidenza era sciolta.

 

Restò da noi tre giorni per un omaggio intitolato “Il potere dei sogni”, senza risparmiarsi mai, né per una foto, né per firmare centinaia di libri. Fu protagonista di un’intervista pubblica nell’aula magna stracolma della Libera Università di Bolzano e di un concerto finale che lo vide salire sul palco del teatro del Rainerum dove cantò assieme a Cisco Bellotti, l’ex cantante dei Modena City Ramblers. Di quei giorni così intensi, al fianco di un personaggio mitico della letteratura contemporanea, mi rimane la grande emozione di averlo visto ascoltare e commuoversi al racconto in dialetto sudtirolese di Franz Thaler, prigioniero a Dachau, nella stube del maso in cui quest’ultimo viveva in Val Sarentino.

Me li ricordo così Lucho e Franz: uno a fianco dell’altro, due uomini che avevano deciso di stare dalla parte giusta della storia

Due anni dopo tornò nell’aula magna dell’università, sempre invitato dal Centro Pace, per presentare il suo libro “Ritratto di gruppo con assenza”. Uno dei racconti parlava di Franz. Luis prima di iniziare a parlare, volle che tutta l’aula tributasse un grande applauso all’amico sudtirolese, salutato come “un grande lottatore”. Me li ricordo così Lucho e Franz: uno a fianco dell’altro, due uomini che avevano deciso di stare dalla parte giusta della storia. Due sopravvissuti che, ciascuno a modo suo, con il loro racconto volevano ammonire affinché nessuno avesse a rivivere ciò che loro avevano visto e patito. 

In questi giorni, in cui la Spagna diventata la seconda patria di Sepúlveda sta soffrendo per le tante vite falciate dal Covid-19, avremmo voluto che Luis fosse ancora con noi, magari per raccontare come solo lui sapeva fare le vite di tanti uomini coraggiosi che stanno combattendo la battaglia contro il virus. Adios, Lucho, in qualunque posto tu sia adesso, que te vaya bien!