Society | Nachruf
La Casa della musica

Foto: Gigi Sommese
La Casa della musica di Johann Munter fu per i meranesi amanti delle sette note l’autentico, il solo centro in cui soddisfare il proprio interesse. Un ruolo che ricopri dall’immediato dopo guerra fino agli anni Ottanta. Fu lì che si consumò una delle più interessanti stagioni dello sviluppo discografico della musica. Era situato nell’edificio dell’Esplanade in faccia al parcheggio e al piccolo distributore di benzina di Marcello Piffer.
Una specie d’atrio invaso da strumenti musicali e da un pianoforte, era il primo impatto che accoglieva chi entrava. Sempre in quello spazio angusto trovava la sua sistemazione anche il bancone della cassa. Sulla destra si accedeva alla sala ben più ampia in cui si trovavano gli scaffali di dischi. Poi, su un lato, le cabine per ascoltare i dischi prima dell’acquisto. Era normalissimo il rito dell’ascolto. Anzi era quasi obbligatorio. Nessuno si sarebbe mai permesso d’impedirlo. Inutile dire che i frequentatori più assidui erano i giovani che in quegli anni, musicalmente parlando, iniziavano ad impossessarsi della città. La generazione degli Enzino Leuzzi, Franchino D’Andrea, Konrad Plaickner, Willi Wiedmoser, Vittorio Cavini, Roman Prada, Hubert Frasnelli. Erano loro, che dopo aver scoperto il jazz alla radio, trovarono li, da Munter, i 78 e via via i 45 e poi i 33 giri di Duke Ellington, Louis Armstrong, Benny Goodman. E con le loro scoperte musicali, pian piano, riunendosi in band, soppiantarono le vecchie formazioni caratterizzate da violino, chitarra, fisarmonica, pianoforte e batteria e votate ad un repertorio fatto per lo più di vecchie arie viennesi.
Il negozio rispecchiava il carattere dei proprietari. Il vecchio Munter, con la sua lunga chioma bianca appoggiata sulle spalle, e il figlio Johann, figura di pianista fuori dalle regole. Un talento nell’improvvisazione, che per anni organizzava concerti casalinghi e registrava nastri su nastri, di cui oggi non c’è traccia e che, se ritrovati, rivelerebbero tutta la sua genialità. Nel 1963 la Casa della musica avrebbe trovato una concorrenza nel negozio Mohr di via Galilei. Tra questi due poli cittadini, i meranesi consumarono la stagione degli anni Sessanta e quelle successive, fino all’avvento di Internet e del digitale, quando l’industria discografica avrebbe affrontato una poderosa crisi.
Alla Casa della musica nei suoi anni più effervescenti andarono a far visita alcuni dei cantanti più famosi. Indimenticabile quella di Fred Buscaglione. Si lasciò fotografare e firmò diverse copertine dei suoi dischi, successi del momento come il 45 a quattro brani, tra cui Guarda che luna e Love in Portofino. La sera del 23 gennaio 1960 si sarebbe esibito al Kursaal. Fu un concerto memorabile. Il geniale cantante e showman, con quella faccia alla Clark Gable, che aveva trasformato l’Italia canterina in una specie di mondo popolato da improbabili gangster della Chicago degli anni Trenta, con la sua ironia, il suo impareggiabile gusto intelligente della parodia, le sue rime baciate, non più in cuore-amore bensì con rime del tipo “notte, che botte”, era al culmine della carriera. La citta fu colpita particolarmente da questo concerto per un motivo tragico. Fred, Freddy dal whisky facile, dodici giorni dopo la sua esibizione meranese, il 3 febbraio 1960, all’alba, a bordo della sua Thunderbird color rosa confetto, nel quartiere romano dei Parioli, si sarebbe schiantato contro un camion carico di ghiaia, lasciando la vita. Le cronache del dramma ricordano che indossava pantaloni grigi e giacca blu a doppiopetto con bottoni dorati. E la sua morte consacrò un mito, come spesso accade per i grandi personaggi scomparsi prematuramente. In tre anni aveva venduto milioni di dischi. Cantante, strumentista (diplomato al Conservatorio di Torino in violino), una lunga gavetta fatta di night club. E lì, in ambienti carichi di fumo e alcol, tra musiche dalle venature jazzistiche, il suo incontro con Leo Chiosso, che gran parte avrà nel successo di Buscaglione come autore di molte canzoni. Nasce allora la figura parodistica ispirata a detectiv e gangster americani usciti dalla penna di Mickey Spillane e che nel mondo della celluloide furono indossati da Edward G. Robinson, con quel suo volto tondo impassibile e freddo, o da James Cagney, faccia d’angelo spietata. La sua fu naturalmente una versione all’italiana, improbabile certo, ma che portò a Fred Buscaglione, un successo immortale.
"Come avvenne per il concerto fantasma di Susan Vega al Puccini tra gli altri, fu accompagnata alla chitarra da Rolando Biscuola, straordinario chitarrista made in Merano che andò quasi deserto. Di lì a poco scoppiò il fenomeno di Luka cantato da lei."
Ma in quegli anni, cosi avari in citta, si esibì anche Perez Prado con la sua musica latino-americana, che anche allora non era estranea al panorama musicale. Lo stesso Perez Prado che, con il suo Mambo number five sarebbe tornato di moda a ridosso del Duemila con una riproposta di Lou Vega. Ma al di là degli avvenimenti concertistici veri e propri, a Merano piombarono altri cantanti che non mancarono di visitare il covo vero, la Casa della musica di Munter, in cui si ritrovavano gli appassionati. Tra i tanti, anche Rocco Granata, sull’onda del suo successo più clamoroso, Marina, quindi Albano, Lucio Battisti, Caterina Caselli che arrivarono a Merano al seguito del Cantagiro. Le riprese televisive furono effettuate in Piazza del Duomo. Battisti in quel frangente fece amicizia con il pittore Giancarlo Biolcati che gli procurò uno di quei giacconi bianchi di pelle di montone di gran moda in quegli anni.
Poi vennero gli anni della taverna Al Castello, messa in piedi da Enzino Leuzzi. E lì altri personaggi: Don Marino Barreto jr. con la sua Angeli neri, I Fratelli, Toni Dallara con il suo Brivido blu. E mentre da Munter passarono le gemelle Kessler, prossime icone del varietà televisivo in bianco e nero, per acquistare un disco di Tony Perkins, l’indimenticabile attore protagonista di Psyco, anno dopo anno ci si affaccio verso la generazione di musicisti che scrissero le pagine dei Sessanta, Settanta e Ottanta. In citta, dunque, i Leuzzi, avevano lasciato il posto ai Mike Frajria, Rolli De Vivo, Heinz Ladurner, Bernard Fill, Toni Pacher, Bruno Job e ai complessi: The Pokers, I Timidi, Toni and the why?, Formula Quattro, I Parigini, Something Different e numerosi altri. Più tardi, anche la citta avrebbe visto comparire la figura d’autentici promoter musicali. Franz Hell con la sua hell concerts e Roland Barbacovi con la sua Show Time. Hell ebbe il gran merito di portare, primo in regione, Bob Dylan all’Ippodromo di Merano, la Show Time portò Zucchero, Bennato, Fossati, ma soprattutto, al Kursaal, il grande Paolo Conte. Era il 6 febbraio 1992. In questa passerella di personaggi non può mancare la prima volta a Merano della cantante Gianna Nannini. Invitata dal circolo 1° maggio, in quegli anni molto attivo (portò in citta anche l’Art Ensemble of Chicago nel 1982), ancora sconosciuta, richiamò una pattuglia di spettatori al Pavillon des Fleurs. Cantò accompagnandosi al pianoforte. Dopo il concerto si prestò ad un’intervista con Alberto Storti a Radio Maia. Il concerto passò quasi inosservato, ma di lì a poco sarebbe scoppiato il fenomeno rock rappresentato proprio da Gianna Nannini. Proprio cosi come avvenne per il concerto fantasma di Susan Vega al Puccini tra gli altri, fu accompagnata alla chitarra da Rolando Biscuola, straordinario chitarrista made in Merano che andò quasi deserto. Di lì a poco anche in questo caso, ma a livello internazionale, scoppiò il fenomeno di Luka cantato da lei.
Ma Merano, può permettersi questo. E altro.
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