Una tassa occulta sui redditi fissi
Michele Andreaus è professore ordinario della Facoltà di economia dell’Università di Trento. La sua attività di ricerca si concentra principalmente "sul tema dell'accountability e della trasparenza della comunicazione d'azienda, sia negli aspetti più strettamente contabili, sia negli aspetti legati alla responsabilità sociale", si legge nel suo curriculum. Andreaus è un attento osservatore dei due piccoli mondi economici - così vicini, così lontani - che corrispondono ai territori delle Province di Bolzano e Trento. Sull'incessante aumento dei prezzi nel capoluogo altoatesino il docente concorda con il direttore dell’Afi/Ipl Stefan Perini. La via per contrastare gli effetti della spirale inflazionistica che attanaglia in particolare la città di Bolzano è una sola: la contrattazione decentrata. Uno strumento che – anche se non si può dire, essendo stato per decenni fumo negli occhi per le organizzazioni sindacali – ricorda le cosiddette gabbie salariali istituite nel Dopoguerra. E secondo le previsioni di alcuni economisti la situazione potrebbe anche peggiorare non foss’altro che un aumento consistente dell’inflazione potrebbe rendere meno asfissiante il peso dei prestiti ottenuti dallo Stato a tassi fissi molto bassi.
Rispetto a quanto evidenziato da Perini, Andreaus aggiunge alcune altre motivazioni sul perché a Bolzano l’inflazione cresca così tanto. “Ci sono varie componenti che si legano tra di loro – spiega - L’Alto Adige e anche il Trentino scontano ad esempio la scarsità di terreni. Quando un imprenditore acquista un’area i maggior costi che avrà rispetto ad altre zone devono essere recuperati in qualche modo. Anche il reddito medio pro capite molto alto consente alle attività commerciali di giocare sui prezzi per avere maggiori ricavi. Ed anche il turismo, ed in particolare il turismo che offre una qualità dei servizi più alta, può portare come conseguenza un aumento dei prezzi. Ovvio che a soffrirne di più sono sempre i lavoratori dipendenti. L’unico modo per uscire da questo vicolo cieco è la contrattazione decentrata che ricorda un po’ le gabbie salariali da sempre contrastate da parte sindacale”.
Le gabbie salariali
Le gabbie salariali, ci ricorda Wikipedia, “nascono con un accordo firmato il 6 dicembre 1945 tra industriali e organizzazioni dei lavoratori, per la parametrazione dei salari sulla base del costo della vita nei diversi luoghi. All'inizio furono previste solo al nord e solo in seguito estese a tutto il paese. In origine, la divisione era in quattro zone, ciascuna con un diverso calcolo dei salari”. La voce di Wikipedia va letta fino in fondo. Con gli occhi di oggi sembra fantascienza, ma è storia, anche abbastanza recente. “Nel 1954 – è scritto - il paese viene diviso in 14 zone nelle quali si applicano salari diversi a seconda del costo della vita. Tra la zona in cui il salario era maggiore e quella in cui il salario era minore la distanza poteva essere anche del 29%. Nel 1961 il numero di zone fu dimezzato, si passò da 14 a 7, e la forbice tra i salari passò dal 29% al 20%. Il sistema delle gabbie salariali incontrò una progressiva e sempre più forte opposizione di sindacati e lavoratori, che le consideravano discriminatorie e poco eque. La sua abolizione fu graduale e fu completata nel 1972”. Così Wikipedia. Da allora pronunciare il sintagma “gabbie salariali” è praticamente una bestemmia. E’ invece sindacalmente sdoganata l’idea della contrattazione decentrata o di secondo livello, su base territoriale.
Inflazione al 5-6%?
“L’inflazione diverrebbe una sorta di tassa occulta sui redditi fissi. Non è detto che succeda, ma è uno scenario possibile”
Attualmente l’incremento dell’inflazione è legato a fattori contingenti. “Incide ad esempio – continua l’economista trentino - il costo delle materie prime. Il bonus del 110% ha fatto praticamente schizzare alle stelle i prezzi nel settore dell’edilizia. E poi scontiamo gli effetti della crisi-Covid. Nel 2019 il noleggio di un container per trasportare merci via mare dalla Cina costava da 5.000 a 6.000 euro, oggi, visto che causa Covid i container nel 2020 sono rimasti nei paesi di destinazione, affittarne uno costa 20.000 euro. Poi abbiamo dell’inflazione da massa monetaria. Tutti i debiti fatti dagli Stati hanno creato grande liquidità e questa massa monetaria creerà altra inflazione. Per ora la liquidità è stata parcheggiata in borsa determinando un aumento delle quotazioni borsistiche Quando l’economia si riprenderà veramente la liquidità verrà tolta dalla borsa e verrà usata per i consumi e quindi si creerà altra inflazione”. Una sciagura? Non per gli Stati. “Alcuni economisti – spiega Andreaus - vedono nei prossimi anni un aumento dell’inflazione al 5-6% che permetterà di ‘bruciare’ una quota dei debiti contratti a tasso fisso. Se così fosse l’inflazione diverrebbe una sorta di tassa occulta sui redditi fissi. Non è detto che succeda, ma è uno scenario possibile”.
Secondo Andreaus la via maestra non è certa quella dei contributi pubblici a pioggia, soprattutto nel settore della casa, ma non solo in quello. “Ovunque – dice – si è scelta la strada dell’indebitamento pubblico. L’economia reale in Italia da molti anni è rappresentabile con una linea piatta e la mancata crescita è stata compensata con un aumento dell’indebitamento. Ma comunque va riconosciuto che la Provincia di Bolzano non ha debito, mentre quella di Trento ha un debito comunque sotto controllo. Quindi in regione la situazione è un po’ diversa”.
Che fare, dunque? “Secondo me- conclude l’economista trentino - la prima cosa da fare è tenere sotto controllo l’inflazione e intervenire con le leve che dà l’autonomia. Il discorso della contrattazione decentrata a livello provinciale ha molto senso. La vera scommessa è creare una crescita reale dell’economia, il che non è semplice, visto che la Provincia di Bolzano è un territorio a forte valore aggiunto soprattutto grazie al turismo e al manifatturiero. Se l’economia reale non cresce a rimetterci sono soprattutto i lavoratori a reddito fisso”.
Secondo Andreaus i sussidi pubblici hanno senso solo “se vanno a beneficio di chi ne ha davvero bisogno. Si ricorderà che una delle prime iniziative del governo Conte per fronteggiare la crisi fu quella del contributo dei 600 euro a tutti. Per carità, bisognava decidere in fretta e dare un po’ di liquidità alla popolazione. Ma quei soldi sono andati anche a moltissime persone che non ne avevano bisogno. Delle scelte qui da noi andranno fatte, bisogna capire quanto la politica sia in grado di compierle. Mi sembra che la Provincia di Bolzano abbia una visione di prospettiva, mentre Trento è molto più attenta al consenso nel breve termine, che è una cosa incompatibile con scelte di questo tipo. Vedremo”.