Davvero creativi?
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Nel conferimento del titolo “Città Creativa della Musica” a Bolzano nel 2023 è stato tenuto conto, probabilmente, della densità e molteplicità di iniziative musicali in un contesto bilingue con una specifica dinamica nord-sud, conceto già usato come input culturale per la fondazione del Concorso Busoni nel lontano 1949. A Bolzano le eccellenze musicali sono certamente numerose e di ottimo livello, ma per quanto riguarda il titolo “città creativa” bisogna domandarsi quanto possa aver pesato, nell’assegnazione, la cosiddetta “creatività primaria”, riferibile a una produzione musicale autonoma e autoctona nel senso di commissioni e “prime esecuzioni musicali”. Nel Novecento le “città della musica” per eccellenza – Vienna, Berlino, Parigi, Milano, Weimar, Dresda – si qualificavano come tali sopratutto per una preponderante vivacità sperimentale, con correnti di pensiero e innovazioni estetiche che scuotevano le coscienze artistiche di tuto il continente. Viceversa la Bolzano dei nostri giorni si presenta in primo luogo come fruitrice di eccellenti produzioni internazionali, quindi come import “di creatività musicale di seconda mano”. I valori che contraddistinguono questi due aspetti del fare cultura sono, per la prima, la progettualità, per la seconda, il consumo e il vanto dell’eccellenza riferita al repertorio tradizionale. Tra questi due ambiti l’offerta musicale di Bolzano non è equilibrata. Ancora meno se si confronta la situazione con la vicina Innsbruck, dove tra radio, teatro musicale, gruppi di musica contemporanea, orchestre, l’interesse per le novità e le produzioni originali è assai vivace.
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Per una migliore comprensione delle problematicità esposte mi permetto di stendere una graduatoria delle attività con il più alto tasso di creatività. “Creatività primaria” pura si percepisce, anche se con scarso indice di gradimento, nel progeto “Stagione d’opera Regionale” dell’Orchestra Haydn, limitatamente alle opere contemporanee commissionate ad hoc ed eseguite in prima assoluta a Bolzano. Inoltre in “Transart”, nei limiti delle prime esecuzioni locali, nel “Festival di Musica Sacra” con saltuarie prime esecuzioni, nel “Festival Jazz” per quanto riguarda le improvvisazioni e nel “Festival di Musica Contemporanea” che nel corso della sua storia cinquantennale ha eseguito e in parte videoregistrate più di trecento prime esecuzioni assolute, opere commissionate prima dal Comune di Bolzano e poi dal “Südtiroler Künstlerbund”, nonché dall’“Ufficio di Cultura in lingua tedesca”. Commissioni nelle quali salta all’occhio una sproporzione a svantaggio dei compositori italiani, che non accedono, come i loro colleghi in lingua tedesca e ladina, ai contributi che in base alla L. P. n. 9 del 29.07.2015 e la Delibera del governo provinciale n. 886 del 9 agosto 2026 vengono elargiti, su richiesta, ai loro colleghi tedeschi e ladini.
Nell’Orchestra Haydn le prime esecuzioni sono rare e comunque inferiori al notevole budget che Provincia, Comune, Regione e Fondazione Cassa di Risparmio investono nell’orchestra. Al di là di questo appunto, è certamente apprezzabile l’opera capillare di acculturamento con i concerti per le scuole e i pubblici in periferia. Preziosa e prestigiosa creatività generano anche le orchestre giovanili europee, quando concertano programmi nella loro “Città di residenza”, Bolzano, nonché l’orchestra della “Fondazione Mahler”, diretta da Philipp von Steinaecker, che sperimenta l’esecuzione di opere del “Fin de siècle” con strumenti d’epoca. Meno creativa invece appare la critica musicale, che dopo gli anni novanta, in cui era ancora combativa e spesso partigiana, è quasi del tutto scomparsa, ridotta per lo più a cronaca e resoconto. Una considerazione a parte merita il “Concorso pianistico Ferruccio Busoni”. In una manifestazione competitiva la specifica “creatività” non risiede nel repertorio, ma nell’elaborazione di procedure valide per la classifica dei candidati. Ai tempi di Nordio ciò avveniva assai liberamente, discutendo e scambiandosi opinioni. Con il successore Mo. Giorgio Cambissa le cose cambiarono. Egli fu il primo a elaborare norme di comportamento e criteri per la votazione. Con lui il concorso si guadagnò la fama di onestà e corretezza.Con il trascorrere degli anni, tutavia, le regole s’indebolirono, sopratutto a causa della scarsa rotazione dei giurati. Quando io divenni direttore del Conservatorio, e, in base allo statuto, assunsi la guida del concorso, la “creatività” per migliorare le cose si rivitalizzò con l’intervento del comitato artistico fino ad allora silente: bandi, programmi musicali, regolamenti, contrati, iniziative promozionali. In primo luogo era urgente ampliare il concorso nella fase finale a due prove con orchestra. Ma il vero rilancio del concorso fu possibile con il sostanzioso aumento dei concerti premio, che nel giro di pochi anni aumentarono da cinque promessi (e non sempre concessi) a sessanta, fissati contrattualmente con altrettante società di concerto in Italia e all’estero. Se il numero degli iscritti registrò improvvisamente un balzo da cinquanta a centocinquanta e oltre, ciò era dovuto sopratutto all’offerta di numerosi concerti che rendevano più appetibile il concorso nel confronto internazionale. Poi ci fu il passaggio del timone al professor Andrea Bonata: nuova occasione per verifiche e “creatività” di cambiamento. Il nuovo direttore, spinto da tutto il comitato, optò dal 2002 in poi per una ricorrenza biennale del concorso. Riforma che incideva fortemente sulla marca del “Busoni”, che improvvisamente appariva altro rispetto alla sua lunga storia e che sollevò anche critiche e perplessità nella stampa specializzata.
Con la trasformazione dell’associazione in fondazione il concorso entrò in una nuova fase. Il concorso, originariamente espressione del Conservatorio, fu distaccato dall’istituto didatico e il direttore artistico esonerato a presiedere la giuria, la quale venne appaltata a una presidenza esterna, disgiunta dai fondamentali interessi del concorso. Era naturale che in questa nuova dinamica venisse indebolito anche il raccordo con le associazioni, che nei quindici anni precedenti avevano garantito un ricco monte premi in forma di ingaggi concertistici per il vincitore: il vero patrimonio della competizione. Inoltre la ricorrenza biennale, integrata nell’anno che precede la finale, cambiò profondamente l’identità della manifestazione intaccando il marchio consolidatosi in più di cinquant’anni di storia. L’attuale diretore artistico, Peter Paul Kainrath, fa del suo meglio per difendere la posizione del concorso. Egli crede nel lancio mondiale, rivolgendosi sopratutto ai paesi dell’Asia e definisce il “posizionamento” attuale del concorso fra i “cinque grandi concorsi internazionali”: affermazione che gli esperti del settore, con mente fredda, giudicano diversamente. In primo luogo perché l’oggetto del desiderio dei concorrenti è il numero dei concerti collegati alla vittoria – e non se ne vedono nel bando –, in secondo luogo, perché l’ultimo gradus ad Parnassum è riservato da sempre a una stretta cerchia di super-concorsi, che per prestigio o per investimenti in promozione del vincitore superano tuti gli altri. Tra questi primeggiano il Concorso Chopin di Varsavia, il Concorso Ciajkovskij di Mosca e il Concorso Reine Elisabeth di Bruxelles, mentre il The Leeds International Piano competition e il Van Cliburn Competition negli Stati Uniti investono grandi somme per promuovere i loro vincitori nelle sale più prestigiose in giro per il mondo. Il “Leeds” offre, oltre a un CD Warner, oltre a numerosi concerti nelle cità dell’ex Commonwealth britannico, un tour concertistico in Europa e uno in Asia. Le favolose carriere di Radu Lupu, Murray Perahia, Mituko Uchida, András Schiff, Lars Vogt e altri hanno preso il via da questo concorso. Vladimir Ashkenazy, d’altro canto, ha vinto il Bruxelles e il Ciajkovskij e ha iniziato subito a esibirsi, per così dire, nella “formula uno” del concertismo internazionale. La carriera di Pollini è partita con la vittoria al Concorso Chopin di Varsavia. Idem l’affermazione mondiale di Marta Argerich, che prima aveva vinto sia il Ginevra che il Busoni. Anche Garrick Ohlsson non si è accontentato della vittoria del Busoni e ha affrontato il Chopin di Varsavia. John Ogdon, sesto premio al Busoni, è entrato nella leggenda quando ha vinto ex aequo con Ashkenazy il Ciajkovskij. Per stabilire con una certa obiettività il rating di un concorso internazionale, va leto in primo luogo il curriculum competitivo dei pianisti, che oggi vanno per la maggiore, pianisti, che dopo aver vinto uno dei citati concorsi del tipo “formula uno”, non si sono più esposti al rischio di competere, mentre altri, non avendo superato l’ultimo gradino del Parnasso pianistico, si sono messi nuovamente in gioco nella speranza di un posto, per così dire “in formula uno”. Dopo la vittoria al Busoni, Louis Lortie ha affrontato il Leeds ed è arrivato terzo. L’ultimo vincitore in ordine cronologico del vecchio Busoni (annuale) è stato nel 1999 Alexander Kobrin, che dopo il Busoni ha vinto il grande Concorso americano Van Cliburn e si è fermato, avendo ottenuto il massimo. Non è dato di sapere se uno dei pianisti primeggianti nel concertismo mondiale abbia mai affrontato, dopo aver vinto uno o più dei super-concorsi, competizioni quali il Ginevra, l’ARD di Monaco, il Beethoven di Vienna, il Paloma O’shea di Santander, il Long-Thibaud di Parigi, il Busoni, concorsi eccellenti, ma senza quella dote in prestigio e concerti, come quelli considerati super-concorsi. Del nuovo Busoni, negli ultimi vent’anni, si sa che solo Sofia Gulyak, secondo premio Busoni nel 2007, ha affrontato e vinto il Concorso di Leeds.
A Bolzano – “Cità Creativa dell’UNESCO” – servono quindi equilibrio di giudizio, senso di misura, concretezza, e quella dialettica che stimoli la comprensione delle realtà adeguandosi alla situazione in divenire.More articles on this topic
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