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Cosa succede ai giornali italiani

La crisi della carta stampata: dall’Unità alle testate on-line rinnovarsi è un dovere.

Nell’era dell’esuberanza tecnologica la stagnazione dell’informazione a mezzo stampa non è una notizia che fa strabuzzare gli occhi dalla sorpresa, siamo d’accordo. La crisi dei giornali, tuttavia, non passa solo attraverso le solite note (e legittime) giustificazioni come le difficoltà nell’applicare un cambio di passo per star dietro ai cambiamenti sociali, nel saper interpretare l’uso che i consumatori fanno dei media o più in generale nel dover brancolare nel buio della recessione economica globale. Problemi arrivano anche dalla pigra e sconfortante indecisione nello scardinare lo status quo, dalla resistenza monolitica all’avanguardia, dalla costruzione grafica e dall’impaginazione, fino al ridottissimo spazio riservato alla cultura e a un atteggiamento conservatore che rischia di far sentire i lettori come gli anziani che cercano “google” su google.

L’Unità è in crisi, con 25 milioni di debiti e in balia di insospettabili possibili azionisti, e le altre testate non se la passano meglio: Pubblico di Luca Telese ha alzato bandiera bianca dopo poco più di tre mesi, ha chiuso anche Terra, Liberazione, Il riformista, e si addensano nubi di incertezza perfino sui giornali on-line, come l’Huffington post e Linkiesta. Il risultato è la cassa integrazione, sono i freelance sottopagati, i prepensionamenti, il profilarsi di un destino gramo per una categoria che, secondo criteri di misura assoluti, avrebbe il nobile compito di essere il tutore della democrazia e il paladino del pluralismo, e ora è costretta a “esibirsi” davanti a una platea decimata e annoiata all’interno di un mercato esausto.

Oltre che dal peso estremo dei condizionamenti economici, la carta stampata è infiacchita dalla contrazione della spesa per il marketing: le aziende comprano sempre meno spazi pubblicitari sui quotidiani, preferendo investire in canali informativi creati ad hoc. Calano le inserzioni, il fatturato, l’interesse di chi legge. Si preferisce una conoscenza rapida, un fast food della notizia che disabilita le nostre capacità mnemoniche rendendo il flusso di dati quasi artificiale, precario.

C’è bisogno allora di un giornalismo più responsabile, di scongelare le strategie di politica editoriale, di uscire da un letargo prolungato che potrebbe rivelarsi fatale, di convergere verso nuovi modelli di informazione, di riconquistare guarnigioni di lettori, e c’è bisogno di farlo in fretta perché, si sa, i tentativi postumi servono a ben poco.

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Maximilian Ben… Wed, 07/16/2014 - 11:22

Condivido. Reinventiamoci! Dobbiamo anche avere il coraggio di non compiacere al establisment. Sono pochi i giornalisti che hanno questa forza. Che usano gli strumenti del mestiere per scovare e scavare. che in un certo senso ci mettono la faccia. In Alto Adige è ancora più difficile. Società chiusa. Molto avviene per contatti stretti. L'inchiesta è difficile. E poi la gente, i lettori in Alto Adige non hanno ancora fatto un "salto" postideologico e postetnico. Ma ho fiducia, che presto nascerà una nuova onda, con faccie nuove. Anche nel giornalismo altoatesino. Ci vuole un respiro lungo.

Wed, 07/16/2014 - 11:22 Permalink