L'altra faccia della medaglia
Sono diversi i disagi venuti a galla con i Giochi Olimpici di Rio de Janeiro: riguardano atleti, giornalisti, tifosi e soprattutto la popolazione delle classi sociali più basse.
Gli atleti si sono lamentati in particolare dei bagni del villaggio olimpico spesso senza lavandini e con wc guasti (la nazionale svedese per protesta ha lasciato il proprio edificio e ha passato una notte in albergo) e per aver subito diversi furti. Un episodio di furto si è verificato nella palazzina australiana dove, durante un allarme antincendio causato da una sigaretta gettata nei rifiuti, sono stati rubati dei laptop, delle polo e le magliette del team (in particolare tutte quelle a maniche lunghe, portate appositamente per il virus zika), mentre un altro furto è stato subito da Shi Dongpeng, cinese specialista nei 110 m ostacoli, a cui è stato rubato il computer poco dopo essere arrivato all'aeroporto di Rio. Il ministero degli esteri cinese, in seguito alle varie disavventure degli atleti e dei membri della delegazione olimpica ha invitato a “non visitare favelas e luoghi isolati da soli, non uscire con zaini o capi d’abbigliamento di marchi noti, né indossare gioielli e non usare telefonini camminando”.
Un altro problema che non passa in secondo piano è inerente i trasporti e riguarda in particolare chi alle esibizioni va da spettatore, quindi i giornalisti e i fans.
I rigidi controlli agli ingressi provocano inevitabilmente rallentamenti e disagi tra pubblico e giornalisti, costretti a lunghe code; raggiungere gli impianti può essere complicato, in quanto una linea della metro non è stata completata; i taxi non si possono avvicinare per l’allarme attentati e la linea degli autobus in superficie non è riuscita a completare in tempo alcune fermate nella zona di Barra de Tijuca, perciò chi alloggia in questa zona deve muoversi a piedi, trovando con difficoltà persone a cui chiedere in formazioni, poiché quasi nessuno conosce l’ inglese.
La sicurezza è poi evidentemente la maggiore delle priorità: le zone intorno all’Olympic Park sono infatti presidiate da camionette di militari con il mitra imbracciato e molti uomini armati sono posizionati ai lati delle strade che conducono alle strutture degli eventi.
Gli abitanti di Rio, che sono stremati dalla crisi, sono insoddisfatti e non vedono di buon occhio l’evento organizzato nella loro città, per questo motivo nascono spesso delle proteste.
Alla vigilia dell’apertura dei Giochi, a Duque de Caixas, zona settentrionale della città, la polizia ha usato granate stordenti, gas lacrimogeni e proiettili di gomma per disperdere una protesta antigovernativa sul percorso della torcia olimpica. I proiettili hanno colpito diverse persone non violente, tra cui un bambino di dieci anni.
Un altro scontro tra manifestanti e polizia è avvenuto in contemporanea con l’apertura delle Olimpiadi, svoltasi a Rio: circa cento persone che si oppongono ai Giochi si sono riunite sulla Avenida Paulista, cuore finanziario della città di San Paolo e dell’intero Paese. Quando i manifestanti hanno iniziato a muoversi verso il centro sono nati gli scontri. I poliziotti sono intervenuti con gas lacrimogeni e spray al pepe per disperdere i manifestanti e ne hanno arrestati 35.
Oltre agli scontri con la popolazione c’è anche paura del terrorismo, infatti tra soldati, poliziotti e guardie, a Rio si contano 85 mila uomini armati che devono garantire la sicurezza durante la durata dei Giochi Olimpici. È un numero esorbitante: basti pensare che a Londra 2012 erano meno della metà.
Il Brasile ha ospitato, dal 2007 ad oggi, i Giochi Panamericani e la Coppa del Mondo di calcio, e sta ospitando le Olimpiadi. Questo spettacolare trio sta però facendo pagare un caro prezzo alla popolazione. Sono stati investiti miliardi di real, ma sono state spese e stroncate anche numerose vite cercando di fare una pulizia totale con il rastrellamento di interi quartieri.
Il Paese versa in condizioni di estrema difficoltà: è stato infatti decretato lo stato di calamità pubblica. Politiche di sicurezza inefficienti e impunità hanno incrementato la violazione dei diritti umani, che è stata documentata soprattutto in presenza di eventi sportivi. Le promesse sono state disattese, le leggi internazionali infrante, la paura è che ci si debba preparare a uno spettacolo insanguinato, a discapito della popolazione.
Così parla Atila Roque, direttore di Amnesty International in Brasile: “Quando nel 2009 Rio si aggiudicò le Olimpiadi del 2016, le autorità promisero di migliorare la sicurezza per tutti. Invece, da allora, abbiamo visto che nella città è stata fatta ben poca giustizia e 2500 persone sono state uccise per mano della polizia”.
Tra i morti rientrano decine di bambini assassinati da chi li dovrebbe proteggere. Uno di questi è Eduardo, di 10 anni, che mentre era seduto sull’uscio di casa a giocare con il cellulare è stato ucciso da un poliziotto che gli ha sparato un colpo alla testa.
Un dato non trascurabile riguarda il fattore razziale: i bersagli più colpiti dalla polizia sono i giovani poveri e di colore.
Violenze tipiche nella fase di preparazione dei Giochi sono state causate dalle molteplici rimozioni forzate: 246 favelas sono state coinvolte nel riassetto cittadino. Gli abitanti di queste zone hanno praticato resistenza garantendosi, in alcuni casi, il diritto di vivere nel proprio quartiere. Per 77 mila persone, però non è stato così. A Vila Autódromo, una delle favelas più segnate dalle rimozioni forzate, è sorto addirittura un museo dai resti delle demolizioni, con sette esposizioni che testimoniano con le macerie la violenza compiuta. I poveri vengono quindi ignorati e maltrattati, mentre vicino a dove vivono si focalizza l’attenzione dei media provenienti da tutto il mondo.
Si esprimono contro l’evento e la sua organizzazione Sandra Quintela, economista brasiliana: “La promozione di megaeventi sportivi legittima un modello di città che promuove la speculazione immobiliare e la privatizzazione della vita nello spazio urbano” e in modo ancora più concreto Rebecca Lehrer, di Amnesty International: “Mentre l’attenzione mondiale sarà focalizzata sui trionfi e sui bagliori dello spettacolo a pochi chilometri da lì, un numero vergognoso di giovani neri delle favelas continuerà a pagare con la propria vita il prezzo di questo fallimento collettivo”.
C’è anche da dire che molti dei poliziotti che si ritrovano a ‘combattere’ contro il popolo in realtà sono spesso dalla parte del popolo stesso. Human Rights Watch ha pubblicato un rapporto di 109 pagine, dal titolo “I poliziotti buoni hanno paura: l’impatto della violenza da parte della polizia a Rio de Janeiro”, intervistando vari poliziotti di Rio. Dalle loro dichiarazioni si capisce che molti poliziotti effettuano esecuzioni extragiudiziali, insabbiando poi i delitti e intimidendo i propri colleghi. Uno dei trenta agenti intervistati da HRW ha dichiarato a riguardo: “Non esiterebbero nemmeno un millesimo di secondo prima di uccidere me o la mia famiglia”.
In appoggio a questo poliziotto, Maria Laura Canineau, direttrice di HRW Brazil denuncia: “Non si può pretendere che i poliziotti onesti adempiano correttamente al loro incarico, quando sono continuamente minacciati, non soltanto dai membri delle organizzazioni criminali, ma anche dai loro colleghi”.
Viene dato parecchio peso a chi si lamenta di poco mentre con un po’ di pazienza i problemi minori si potrebbero risolvere, quando invece vengono ignorati altri problemi più grandi, a cui andrebbe data maggiore attenzione.