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Cannabis, “uscire dall'ipocrisia”

Pippo Civati, fondatore di Possibile, è tra i promotori della campagna referendaria sulla cannabis legale: “Abbandonare il proibizionismo, politica lontana dalla realtà”.
Pippo Civati, cannabis
Foto: Laura Lezza

Il 30 settembre è prevista la chiusura della campagna firme per i referendum aperta durante l’estate. Banchetti e procedure online sono stati un efficace strumento di partecipazione civile e al referendum per eutanasia e giustizia si è aggiunta la raccolta di firme per la legalizzazione della cannabis. L’iniziativa, che permette di firmare online al sito www.referendumcannabis.it, sta riscontrando un notevole successo (in cinque giorni sono state raccolte quasi 500mila firme). Ne discutiamo con Pippo Civati, leader di Possibile ed editore con People, da tempo in prima linea per la battaglia sulla legalizzazione.

salto.bz: Civati, sulla scia del successo del referendum per legalizzare l’eutanasia diversi soggetti, tra cui Possibile, hanno deciso di lanciare la campagna firme per il referendum sulla legalizzazione della cannabis, che sta riscontrando un’alta partecipazione. Può illustrarci il quesito referendario?

Pippo Civati: Il quesito tende a depenalizzare in modo netto le condotte che riguardano la questione cannabis, dalla produzione al consumo. Non è stato facile enucleare un quesito chiaro e semplice, che arrivasse facilmente ai cittadini, ci sono infatti diversi trattati che regolano il tema delle droghe, tra le quali ricade anche la cannabis. Il referendum rappresenta un primo passo, ma il legislatore dovrà poi comunque intervenire in una materia così complessa.

L’obiezione che arriva da alcune parti è che la legalizzazione della cannabis aprirebbe ad ulteriori legalizzazioni per le droghe pesanti, anche se nel referendum sulla cannabis non è presente nulla di tutto questo. Ad oggi però sarebbe consigliabile un approccio diverso sul tema delle droghe?

Assolutamente sì, è necessario abbandonare il proibizionismo, che si è dimostrato particolarmente fallimentare e guardare ad altri modelli, come a quello del Portogallo, paese nel quale l’allora primo ministro Antonio Guterres, attuale segretario generale dell’ONU, dovette affrontare la difficile situazione legata al consumo di eroina. Bisogna ripensare il modo di affrontare la questione, passando per una depenalizzazione selettiva, mediante un approccio qualitativo, all’opposto della guerra alla droga messa in campo fino ad ora. Inoltre questo costituirebbe un notevole risparmio per le casse dello Stato, impegnato in una lotta ormai chiaramente obsoleta, mentre le somme risparmiate potrebbero andare a finanziare progetti sul consumo consapevole e sulla prevenzione all’abuso delle sostanze, cercando di eliminare l’ipocrisia che si cela dietro questi temi. L’abuso di alcol e tabacco infatti genera danni enormi alla stessa maniera e pesa lo stesso sul sistema sanitario, le eventuali risorse aggiuntive potrebbero fornire fondi a progetti che guardano alle dipendenze a tutto tondo.

La legalizzazione inoltre garantirebbe maggiore sicurezza sul prodotto, sottrarrebbe il controllo dello spaccio alle mafie e permetterebbe poi allo stato di avere un gettito fiscale non irrilevante.

Si stima che il mercato generi dai 5 ai 10 miliardi di euro, una grande possibilità per fisco, che, come detto poco prima, potrebbe investire quei soldi in diverse iniziative e rafforzare il Sistema sanitario nazionale. La legalizzazione garantirebbe poi più controllo sulla qualità del prodotto, con un sistema che può prevedere un monopolio statale o delle certificazioni per i produttori privati: i consumatori così saprebbero di acquistare cannabis sicura e lavorata secondo standard determinati. Un'ulteriore vittoria si otterrebbe poi sottraendo il controllo alle mafie, che usano la cannabis come vettore. Il suo spaccio infatti fornisce non solo una fonte di liquidità enorme ma permette anche di piazzare altre sostanze che, inizialmente proposte come diversivo o accompagnamento alla cannabis, rischiano di diventare un consumo abituale. Altro discorso merita l’ipocrisia legata alla cannabis terapeutica, che pur essendo già legale, si scontra con l’illegalità della sua produzione, cadendo nella grottesca situazione dei malati che possono consumarla ma non autoprodursi la quantità di cui hanno bisogno. Spesso si dimentica questo passaggio, ma è necessario affrontare il tema della coltivazione, in un paese come il nostro, in costante rincorsa degli altri paesi occidentali, rischiamo di trovarci a legalizzare il consumo con ritardo e ritrovarci quindi il mercato invaso da multinazionali straniere già rodate, cancellando opportunità per la filiera locale.

 

I malati possono consumare cannabis terapeutica ma non autoprodursi la quantità di cui hanno bisogno, è una situazione grottesca

 

Il successo della campagna firme è un segnale che indica che la compagine sociale è più attiva della sua rappresentanza istituzionale?

Come accennato prima l’Italia è in costante ritardo per quanto riguarda le riforme sui diritti civili. Mi riferisco infatti non solo alla cannabis ma anche ai matrimoni omosessuali, alle adozioni per genitori single, all’eutanasia…la società però sente il cambiamento e spinge perché il sistema di leggi sia al passo con i tempi. Bisogna poi considerare che una legge che non funziona in alcun modo, come quella sul consumo di droghe, è una legge dannosa per l’intero impianto legislativo, perché ne mina la credibilità.

Del resto il silenzio dei partiti tradizionali sembra indicare come alcuni temi non entrino del dibattito, lasciati ai margini come meno importanti vengono raccolti proprio dalla società civile. Lo strumento del referendum si riafferma come importante ausilio democratico e come promotore dei diritti civili?

Sì e dimostra il coraggio di passare finalmente alle varie questioni sociali, spesso ignorate. Il successo di queste ultime campagne ha visto un’amplissima mobilitazione dei giovani, ancora troppo di frequente raccontati in maniera vergognosa: fannulloni, svogliati…A questa narrazione si è poi aggiunta, con la pandemia, quella del capro espiatorio per l’aumento dei contagi, mentre le nuove generazioni si dimostrano invece attente e attive nelle battaglie per il futuro, come nel caso della lotta al cambiamento climatico. Abbiamo bisogno di questa mobilitazione.

la politica sembra affrontare il tutto con linguaggio arcano e a lontano dalla realtà sociale.

La digitalizzazione permette di abbreviare i tempi e semplifica le procedure, può rappresentare una svolta per le battaglie referendarie o, più in generale, un valido aiuto alle iniziative provenienti dalla società civile e dalle associazioni?

Ovviamente. Finalmente, anche se con il solito ritardo, grazie a Riccardo Magi, iniziamo a sfruttare le opportunità di internet. I social esistono ormai da anni ed ancora la politica si ostina a parlare solo dei pericoli senza invece coglierne i cambiamenti positivi. Ancora una volta, anche in questo campo, la politica sembra affrontare il tutto con linguaggio arcano e lontano dalla realtà sociale.

 

La politica sembra affrontare il tutto con linguaggio arcano e lontano dalla realtà sociale.

 

Legato alla conoscenza e consapevolezza degli strumenti democratici c’è il tema della scuola, tema purtroppo non al centro del PNRR. Da tempo s’invoca una riforma, ma nel concreto poi si è fatto davvero poco. Come dovrebbe cambiare la scuola per affrontare le sfide del futuro?

La scuola è il luogo principale per liberare le persone da tutte le condizioni di soggezione e per crescere cittadini consapevoli, ma nel dibattito politico rimane nel non detto da sempre, ci si occupa solo delle questioni sindacali. Mentre è necessario un ripensamento completo, su tanti tempi, per esempio su quello del linguaggio o su quello dell’identità, che la scuola contribuisce a formare in modo fondamentale. Un’ulteriore riflessione servirebbe sulla ricerca, oramai è assodato che la ricerca sia uno dei vettori di sviluppo e mantenimento del benessere di un paese, ma noi preferiamo spendere per formare persone che, non avendo prospettive qui, devono fuggire all’estero. Ci sarebbero diverse scelte coraggiose da compiere per rimuovere le disuguaglianze crescenti e ricostruire la struttura sociale, ad oggi gli scenari sono però sicuramente complicati e vorrei aspettare almeno dicembre per fare il bilancio dei dati sul PNRR.

Infine vorrei ricordare Patrick Zaki, ancora detenuto in Egitto. Il processo è iniziato da poco, dopo mesi di carcere preventivo in aperta violazione dei diritti umani. Possibile si spende molto e lo ricorda molto spesso, il silenzio delle istituzioni è però assordante.

Questo è frutto di una precisa linea politica, che Di Maio continua a difendere, anche se fino ad oggi non ha prodotto alcun risultato. Noi continuiamo a ricordarlo e, anche grazie a Marco Vassallotti, autore di Possibile, cerchiamo a tenere alta l’attenzione e a tenere viva la testimonianza, purtroppo non ci è concesso molto altro.