Society | Doppio cognome

Ennesimo ritardo sul doppio cognome

Ad aprile la Consulta è intervenuta nuovamente per garantire l'attribuzione del cognome da parte di entrambi i genitori, ma il Parlamento continua a rimandare
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Foto: (c) unsplash

Tra le molte riforme promesse e mai realizzate c’è anche la legge sul doppio cognome. Un tema che da qualche tempo è entrato nel dibattito, a causa della giurisprudenza della Corte Costituzionale, intervenuta già una prima volta nel 2016 con la sentenza 286. Tale pronuncia aveva modificato parzialmente la procedura di registrazione dei nuovi nati, aprendo alla possibilità di aggiungere, dopo il cognome del padre, anche quello materno. L’intervento, però, non era stato risolutivo e i giudici si erano rivolti al legislatore, per approvare una normativa più organica. Il successivo silenzio parlamentare, però, ha portato, nell’aprile di quest’anno, ad una nuova sentenza, con la quale la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell’articolo 262 comma 1 del codice civile, nella parte che prevedeva l’attribuzione automatica del cognome paterno, in caso di riconoscimento del bambino da parte di entrambi i genitori, di figlio nato in costanza di matrimonio o di figlio adottato. Tale automatismo, infatti, produceva una discriminazione tra madre e padre, portando alla prevalenza della figura paterna sull’identità del figlio, contravvenendo ai principi di uguaglianza contenuti nella nostra Costituzione e nella Carta europea dei diritti dell’uomo (CEDU), che anche l’Italia ha sottoscritto. 

 

 

Secondo la Consulta l’automatismo del cognome paterno viola gli articoli 2 e 3 della Carta costituzionale, trasmettendo un segnale di disuguaglianza che si riverbera sull’identità dei figli. Del resto, da tempo la norma era stata bollata come un retaggio patriarcale non più tollerabile nella società odierna, anche alla luce dei cambiamenti avvenuti nei contesti familiari. I genitori, infatti, dovrebbero poter avvalersi di una condizione paritaria, nella quale poter educare e crescere i propri figli, e la disuguaglianza generata dall’articolo 262 del codice civile mina proprio tale parità. La Corte ha quindi stabilito che ai figli vadano attribuiti entrambi i cognomi, nell’ordine scelto dai genitori. Ancora una volta, però, la sentenza si rivolge al Parlamento, soprattutto per trovare una risposta ai profili problematici derivanti dalla nuova disciplina. Non sono, infatti, previste norme che possano intervenire in caso di contrasto tra i genitori, che dovranno necessariamente rivolgersi ad un giudice, mentre un’altra, impellente, questione riguarda la possibile disparità tra i nuovi nati, che potranno usufruire del nuovo regime, e gli eventuali fratelli e sorelle più grandi, registrati con il patronimico, in una differenza che potrebbe riflettersi, ancora una volta, sull’identità familiare: la Consulta fornisce solamente una possibile soluzione, suggerendo che il nome dei primi nati possa essere vincolante anche per i successivi.

 Da tempo la norma era stata bollata come un retaggio patriarcale non più tollerabile nella società odierna, anche alla luce dei cambiamenti avvenuti nei contesti familiari

Resta, inoltre, da sciogliere il nodo della probabile moltiplicazione dei cognomi, nel momento in cui i portatori del doppio cognome si troveranno ad attribuirli a loro volta alla propria prole. In altri paesi europei la registrazione dei nuovi nati con il doppio cognome è da tempo una realtà e, finalmente, durante la scorsa legislatura, anche il Parlamento italiano aveva iniziato a discutere su dei disegni di legge che potessero seguire le pronunce della Corte costituzionale e facessero luce sugli aspetti critici. All’iter aveva partecipato anche la Senatrice Julia Unterberger, in un’importante opera di mediazione tra le varie anime, che vedeva contrapposto, da un lato, l’ex Senatore Simone Pillon, fermo nel voler mantenere il patronimico in prima posizione, con il cognome materno solamente a seguire, e la Senatrice Alessandra Maiorino, decisa a trovare dei meccanismi alternativi e più rispettosi della parità di genere. La brusca fine della legislatura ha fatto cessare anche la discussione parlamentare sul tema ed ora dovrà essere il nuovo Parlamento ad occuparsene, ma l’attuale composizione della maggioranza non sembra restituire una prospettiva incoraggiante.