Society | Mutamenti

Signori, si cambia!

Riflessioni su come, anche in Alto Adige, il tempo muta le cose. O no?

Iniziamo, come d'obbligo, dalla scuola materna. Dal calendario di apertura delle scuole materne altoatesine, per essere esatti. Adesso c'è in ballo la proposta di tenerle aperte tutto l'anno, senza più chiusura estiva. Un bel modo, si pensa, per venire incontro alle esigenze delle famiglie. La memoria corre però, inevitabilmente, ad un dibattito svoltosi in consiglio provinciale alla fine degli anni '80, quando si trattò di approvare, invece, una norma che restringeva il periodo di apertura delle scuole materne altoatesine, allineando l'inizio e la fine del servizio con quelle dell'anno scolastico. Allora come oggi, nel resto d'Italia, gli asili aprivano le loro porte con i primi di settembre e le chiudevano a fine giugno. A protestare, allora, contro un mese in meno di apertura, furono alcuni consiglieri di lingua italiana, sicuri che la novità avrebbe incontrato lo scarso favore da parte soprattutto delle famiglie residenti nelle città. La risposta, gentile nella forma ma durissima nei termini, arrivò soprattutto dalla componente femminile della SVP. Si trattava, fu detto, di una questione di scelte ideologiche di fondo a favore del fatto che i bambini restassero il più possibile a casa con la mamma. Qualcuno sospettò allora che dietro la decisione ci fossero anche le pressioni della potentissima lobby delle insegnanti di scuola materna, ma ovviamente tali infamanti sospetti furono respinti sdegnosamente al mittente. Oggi, passati poco più che vent'anni, tira un'aria molto ma molto diversa. Fa piacere constatarlo ma farebbe ancor più piacere il riconoscimento che forse quei furori ideologici d'un tempo non erano del tutto giustificati.

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Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ricevendo recentemente il collega austriaco Fischer, ha toccato, nel suo indirizzo di saluto, anche il tema altoatesino, utilizzando, sicuramente non per errore o distrazione, il termine Sudtirolo. Ascoltandolo, mi è ritornato alla mente un fatterello avvenuto una quindicina d'anni fa, quando avevo da poco assunto l'incarico di responsabile della redazione in lingua italiana della Rai e Bolzano. Un collega, riferendo e traducendo quanto affermato da un politico austriaco, aveva usato il termine "questione del Sudtirolo" per rendere l'espressione tedesca "Südtirolfrage". Una scelta per me ineccepibile dal punto di vista giornalistico. Di tale opinione non erano però i soliti talebani avvinghiati al patriottismo linguistico, che si rivolsero, per protestare, al Commissariato del Governo. Il Prefetto in carica all'epoca non si sognò neppure di chiedere spiegazioni. Prese carta e penna e scrisse direttamente al presidente della Rai, manifestando il suo sdegno per l'avvenuto e chiedendo un intervento riparatore affinché la cosa non si ripetesse. Dovetti a mia volta mettere nero su bianco le mie giustificazioni che, ovviamente, furono prese per buone. La questione finì nel nulla. Sono passati pochi anni e quel termine risuona, senza che nessuno abbia avuto nulla da ridire, sulla bocca del massimo rappresentante dello Stato italiano. Interessante davvero.

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L'argomento del giorno, infine, con la rivolta delle periferie altoatesine contro il centro per i progetti di smantellamento parziale o totale dei piccoli ospedali periferici. Anche in questo caso può essere interessante riavvolgere la pellicola di tornare indietro di qualche decennio. La data fatidica, per essere precisi, è quella del 1 luglio 1980, con l'entrata in vigore del servizio sanitario nazionale, la scomparsa delle vecchie mutue e la divisione del territorio in tante circoscrizioni più o meno autonome. Si chiamavano allora unità sanitarie locali. In Alto Adige, vista la necessità per una provincia dotata di competenza primaria di recepire l'intera materia, ci volle un po' di tempo in più, impegnato da un interessante dibattito. Anche allora, ad esempio, c'era chi trovava del tutto inutile spezzettare il territorio e proponeva la creazione di una sola USL per tutta la provincia. Fu preso a insulti e sberleffi, accusato, un po' come avviene oggi, di voler centralizzare e controllare tutto. C'era chi, come i sindacati confederali ad esempio, sulla base di una lettura completamente ideologica della riforma, chiedeva invece che le USL fossero addirittura decine e decine. A Bolzano, ad esempio, doveva essercene una ogni quartiere, organizzata con i suoi servizi ma anche con una gestione assembleare, perché, si diceva, la salute era troppo importante per sottrarla al diretto controllo dei cittadini e dei lavoratori. 

Questi erano i tempi, ma poi la politica trovò le sue mediazioni. Le unità furono dapprima tre, quella occidentale di Merano, quello orientale di Bressanone-Brunico e quella meridionale di Bolzano, i cui confini vennero opportunamente dilatati sino a comprendere zone come la Val Gardena, che tradizionalmente gravitano dal punto di vista dei servizi sanitari su Bressanone. Occorreva evitare però che l'Unità bolzanina fosse "troppo" italiana e così fu fatto. Poi la Pusteria ha chiesto ed ottenuto l'indipendenza e si è arrivati così alla situazione attuale, con la spinta robusta alla centralizzazione e la difesa disperata delle periferie che non si rassegnano ad esser tali. Il pendolo ha iniziato un'altra corsa. Resta da capire dove si fermerà.

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E' di queste settimane anche la  sollevazione della destra italiana contro i reati di opinione e, in particolare, contro quelli di vilipendio. Un esponente di spicco dello schieramento, Francesco Storace, è stato condannato infatti per offesa al capo dello Stato. Fa piacere che trovi nuovi adepti la battaglia, che molti combattono da decenni, contro una categoria di reati nata e concepita sotto la dittatura e rimasta purtroppo intangibile anche dopo decenni di democrazia. Resta da capire se tutto questo influenzerà anche la destra altoatesina, da sempre in prima fila nell'invocare proprio l'applicazione di quei reati nei confronti degli avversari politici sudtirolesi.