Perullo: “Anche un kebabbaro può diventare parte della mia comunità”
"Il chilometro zero", quando viene declinato nei termini protezionistici della difesa d'ufficio di prodotti nati e cresciuti "a casa" è un concetto che rimanda, che lo si sappia o no, all'ideologia fascistoide di casa, chiesa e famiglia o, il che è lo stesso, moglie e buoi dei paesi tuoi.
Si fa una gran confusione tra attenzione alla provenienza dei cibi e apprezzamento delle biodiversità da un lato, e presunti "chilometro zero" (una locuzione di per sé paradossalmente parossistica: km 10 non va bene? E se di chilometri ne occorressero 35?) In realtà, locuzioni come "economia locale" o, per me meglio ancora, come "prospettiva dell'abitare" - che ho usato spesso nei miei testi, sulla scia del grande antropologo Tim Ingold - sono tutt'altro che una chiusura rigida e bacchettona. Nessuna difesa dei confini, nessuna difesa della razza; piuttosto, promozione delle sedimentazioni, delle relazioni di prossimità, dei processi di conoscenza e di consapevolezza diretti.
Anche un kebabbaro può diventare parte della comunità nella quale viene ad abitare, se fa il kebab bene, con cura, attenzione e visione e dunque promuovendo reti di relazioni virtuose con gli altri. E viceversa, un pizzicagnolo che spaccia prodotti "del terrirorio" può essere quanto di più meschino e destabilizzante per quella comunità, se opera truffando o anche solo fingendo una passione e una cura per il cibo che, magari, non ha. Bisogna valutare caso per caso, circostanza per circostanza.
*Nicola Perullo è professore di Estetica all’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo (Cn). Tra le sue pubblicazioni: La scena del senso. A partire da Wittgenstein e Derrida (Pisa 2011), Il gusto come esperienza (Bra 2012), Wineworld: new essays on wine, taste, philosophy and aesthetics (Torino 2012). Presso l’editore Carocci è in uscita il volume La cucina è arte? Filosofia della passione culinaria.