Politics | L'intervista

Lo zaino troppo pesante

Francesco Palermo parla di referendum, Convenzione e Durnwalder membro dei 33: "Rispetto a chi sta fuori, da dentro è più difficile dire che è tutto sbagliato."

Per qualche tempo è stato lontano dalla scena per motivi di salute. Qualche settimana fa, da noi contattato sulla Convenzione, il senatore Francesco Palermo si schermiva: “Per carità, se parlo di Convenzione mi viene un altro infarto.” Il “manovale della legislazione”, come ama definirsi, è ancora in convalescenza, ma è tornato a rispondere alle domande dei giornalisti.

Senatore Palermo, quando tornerà alla piena attività?
Ho cancellato tutti gli impegni pubblici sino alla fine di aprile ma da qualche giorno passo parte della giornata a lavorare. Non vado a Roma, per il momento non faccio viaggi. Penso che l'eccesso di mobilità sia stato una delle cause scatenanti dei miei problemi di salute, tra il lavoro come parlamentare e l'attività accademica.

Ha sbagliato mestiere?
Non ho mai pensato ad una carriera politica. Quello sarebbe per me il mestiere sbagliato e non lo farei per tutto l’oro del mondo. Questa esperienza una tantum è importante, per me e spero per il nostro territorio, in una fase così cruciale per la nostra autonomia e per le riforme sul piano nazionale. Da quando siedo in parlamento non ho mai fatto politica nel senso classico del termine, anche perché non ho un peso politico da spendere. Il mio ruolo è piuttosto quello del tecnico, del manovale della legislazione e dell’ambasciatore del territorio, anche talvolta di istanze che non mi convincono. Per fortuna è stata una legislatura incredibilmente produttiva. Poi immagino che tra meno di un anno, dopo il referendum costituzionale, finirà la legislatura.

Mai più politica dunque?
Esistono tanti modi di fare politica. La mia materia – il diritto – è molto vicina alla politica, le norme giuridiche nascono dalla politica ed è un onore poter contribuire alla loro formazione. Mi sono sempre impegnato nella vita pubblica e lo farò anche dopo, a mandato elettivo scaduto. Ma se la domanda è se voglio rifare il parlamentare, la risposta è no. Lo zaino da portare è troppo pesante, specie come indipendente.

Come vede la campagna elettorale a Bolzano? La città è riuscita a esprimere qualche candidato valido?
Le persone – quelle che conosco - mi sembrano assolutamente valide, ma è molto difficile il contesto. Il quadro politico è frammentato, tra il centro-sinistra che non è compatto e il centro-destra che ancora una volta si presenta diviso.

Cosa dice della scelta dell'Svp di rivolgersi espressamente agli elettori italiani?
E' chiaro che chi vuole vincere le elezioni a Bolzano deve rivolgersi agli elettori italiani. Il fatto che si vada oltre gli schieramenti è positivo, ma c'è da dire che le divisioni etniche andrebbero superate anche in altri contesti. Dire “facciamo gli interetnici” solo quando non se ne può fare a meno non funziona. L'Svp fa il discorso del superamento delle barriere solo a metà, non dice che se oggi il sindaco di Bolzano è di lingua tedesca – e io ne sarei felicissimo - domani forse il presidente della Provincia sarà di lingua italiana. A ciò si aggiunge il fatto che la Svp chiede i voti italiani ma non ha candidati italiani. Devo dire che il Sudtirolo si presenta molto più diviso di quanto pensassi. Ci sono dei piccoli segmenti della società che sono andati oltre le divisioni etniche, ma sono piccoli, per l'appunto. Quando ero candidato al Senato, sembrava tutto un altro clima. Oggi è tornato in auge il discorso etnicista.

Come ha vissuto la consultazione sul progetto Kaufhaus Bozen di René Benko? Condivide la scelta del commissario straordinario Michele Penta di coinvolgere la cittadinanza nella decisione?
Sulla questione Benko la politica si è avvitata su se stessa e bisognava in qualche modo uscirne. Al di là delle considerazioni sull'opportunità di dichiarare vincolante alla stregua di un referendum quella consultazione, che per di più riguardava l'urbanistica, materia sulla quale i referendum non sono ammessi dallo statuto comunale, ciò che io osservo è che, in generale, oggi la politica rappresentativa è troppo debole per prendere delle decisioni forti perché teme di finire sulla graticola. Di conseguenza, sempre più spesso i politici eletti scaricano sugli elettori la responsabilità delle scelte politiche. L'esempio più lampante è il referendum sull'aeroporto.

A cosa è dovuto questo timore dei politici di essere contestati?
Fino a qualche anno fa era chiaro che decidevano tutto i rappresentanti eletti. Al giorno d'oggi non funziona più così. Attualmente la politica rappresentativa sta dando scarsi risultati. Nella società prevale la logica del capro espiatorio, secondo cui la colpa è sempre di qualcun altro. I media partecipano a questo gioco, cercando costantemente la polemica, il titolo ad effetto, la boutade. Ma forse la vera ragione sta nel fatto che una volta la società era più gerarchica. Io faccio sempre l'esempio dell'approvazione del pacchetto da parte dell'Svp spaccata a metà, nello storico congresso di Merano. Silvius Magnago era il capo e a quei tempi era naturale che il capo decideva e gli altri obbedivano. Adesso, per fortuna, la società si è evoluta, la gente legge, viaggia, si informa e non ha nessuna voglia di sottostare alle decisioni del capo del momento. Per capirci, non è che la politica rappresentativa in Sudtirolo sia in crisi perché Kompatscher ha meno carisma di Magnago. Oggi è molto facile protestare ed è molto difficile decidere e costruire.

E come se ne esce?
Secondo me gli strumenti decisionali – quelli rappresentativi, quelli partecipativi e quelli della democrazia diretta - vanno utilizzati in tutta la loro varietà. Cerchiamo di capire quando e come si possono usare quali strumenti.

Torniamo all'aeroporto di Bolzano: condivide la scelta del presidente Arno Kompatscher di sottoporrre a referendum il progetto del rilancio?
Quello dell'aeroporto è uno dei temi fondamentali su cui si giocherà il futuro della nostra provincia. Il referendum sarà una cartina di tornasole straordinaria per quello che ci aspetta, per capire la nostra Weltanschauung complessiva. Quello sarà un referendum vero perché, seppur consultivo, è considerato politicamente vincolante. Non ve ne era bisogno dal momento che, dal punto di vista giuridico, la giunta provinciale poteva benissimo decidere l'allungamento della pista senza interpellare la popolazione. Si è preferito farlo perché la scelta di rilanciare l'aeroporto sarebbe stata troppo difficile da sostenere sul piano politico. Probabilmente avrei fatto lo stesso al posto di Kompatscher perché non avrei retto agli attacchi di tutti quelli che sono contrari. Ma tornando al discorso delle regole, le chiedo: un trentino che vive a Trento non ha più interesse rispetto all'aeroporto di Bolzano che non un abitante di S. Candido? Non sarebbe dunque giusto farlo votare? A ben vedere, non è così semplice delegare questo tipo di decisioni perché anche se le consultazioni sono fatte con i crismi e anche se l'informazione circola di più, alla fine il responso delle urne si riduce a un brutale sì o no da parte di una minoranza qualificata. La politica rappresentativa, invece, in molti casi ricorre a forme di compromesso, optando per il “nì”.

Non è detto che sia un bene.
Ma non è neanche detto che sia sempre un male. Oggi le decisioni lasciano sempre l'amaro in bocca, anche quando vengono prese attraverso una consultazione popolare, perché ci sono questioni che non possono essere risolte con un netto sì o no. Il problema è che si procede troppo secondo gli umori. La democrazia diretta è uno strumento di importanza fondamentale ma bisogna capire e stabilire quando lo si può usare e con quali modalità. Ci vuole un ragionamento sul quorum, occorre stabilire chi può partecipare eccetera. Quando c'è la possibilità di arrivare a un compromesso, la democrazia diretta può diventare un problema. Quando invece bisogna tagliare la testa al toro, la democrazia diretta va benissimo. Personalmente, credo più in quella partecipativa.

A proposito di democrazia partecipativa, cosa prova in questi giorni a sentir pronunciare la parola Convenzione?
Da un lato, una certa delusione. A leggere certi commenti sui giornali mi cadono le braccia perché vedo che il livello del dibattito è bassino. Molti si accaniscono giusto per il gusto di dire che è tutto sbagliato, tutto da rifare, ma nessuno propone alternative. E' un atteggiamento poco costruttivo. Se invece si guarda alla Convenzione da una prospettiva di lungo termine, rimane un esperimento molto interessante. Alcune cose potevano andare meglio, a partire dall'informazione sul mandato. La Convenzione è intesa come strumento che serve per la manutenzione dello Statuto di autonomia, non per il suo stravolgimento.

Del meccanismo di nomina degli otto rappresentanti popolari cosa pensa?
Dal punto di vista ideale, teorico potremmo essere veramente fuori dalle logiche etniche secondo cui gli italiani votano gli italiani e i tedeschi votano i tedeschi. Ma col senno di poi, forse sarebbe stato preferibile prendere atto che la società non ha ancora superato questi schemi e prevedere un meccanismo analogo a quello della nomina dei giudici del Tar, in cui i consiglieri provinciali italiani votano i giudici italiani e quelli tedeschi votano i giudici tedeschi. Non mi sembra comunque un errore irreparabile.

Era giusto nominare membro della Convenzione dei 33 l'ex presidente Luis Durnwalder?
Durnwalder è sempre stato molto scettico sulla Convenzione. Ma chissà, forse dal momento che ormai ne fa parte, si darà da fare, ne vedrà gli aspetti positivi e cercherà di far funzionare la baracca. Durnwalder ha sicuramente molte cose da dire. Rispetto a chi sta fuori, da dentro è più difficile dire che è tutto sbagliato.

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Sepp.Bacher Mon, 04/18/2016 - 17:21

Herr Senator Palermo, wenn ich richtig verstanden habe, gehören Sie auch - so wie ich - zur Gruppe der Herzpatienten. Ich wünsche Ihnen eine gute Genesung und Rehabilitation! Man begegnet sich vielleicht in der Herz-Sport-Gruppe!?

Mon, 04/18/2016 - 17:21 Permalink