Wer macht die Gehälter?
Wenn wir von den Gewerkschaften in Italien reden, haben wir es mit Organisationen zu tun, die seit über 100 Jahren existieren und eine Geschichte hinter sich haben, die von sozialen und politischen Kämpfen, von Höhen und Tiefen, von Siegen und Niederlagen, von hohem Sozialprestige und harten Diskriminierungen und Ausgrenzungen geprägt ist. Die Gewerkschaften haben in Italien nicht nur alle Wetter überlebt, sondern auch viele Parteien, mit denen sie zum Teil sehr eng verbunden waren. Die Gewerkschaften haben zwei Staaten überlebt, den liberalen Staat, der aus dem Risorgimento hervorgegangen ist, und ebenso die faschistische Diktatur. Danach wurden sie zu einer der tragenden Säulen der italienischen Republik, die nach 1945 entstanden ist. Die Gewerkschaften gehören in Italien zu den wichtigsten Baumeistern der sozialen Sicherheit und des öffentlichen Gesundheitswesens. Sie haben das Arbeitsrecht geprägt und zählen zusammen mit den großen Arbeitgeberverbänden und der öffentlichen Hand zu den Hauptakteuren der Lohnpolitik.
Die Gewerkschaften Italiens haben in den letzten 30 Jahren so ziemlich alles verloren, was eine Gewerkschaftsbewegung ausmacht.
Wer sind die Schuldigen?
Man dachte nämlich, dass der Staat in der Lohnpolitik eine ausgleichende Funktion ausüben und den Gewerkschaften unter die Arme greifen soll
Es hat inzwischen eine Pulverisierung der Kollektivverträge stattgefunden.
Gewerkschaften als Zufluchtsorte
Sui salari serve una svolta
Chi stabilisce l’ammontare dei nostri stipendi? La risposta è semplice: sono i sindacati e le associazioni imprenditoriali. Lo Stato dàil suo benestare, quando si tratta del settore privato, e si mette a sua volta al tavolo delle trattative con i sindacati, quando si tratta degli stipendi del pubblico impiego. Esistono poi anche una serie di accordi privati. Sono però l’eccezione che contribuisce a confermare la regola: per la grande maggioranze degli occupati valgono i salari e gli stipendi indicati nei contratti collettivi. Detto questo, prima di dare la colpa ai sindacati per i salari che non bastano più, dobbiamo renderci conto dell’importanza del sindacalismo, di quello che ha fatto e di quello che riesce a fare.
Quando ci riferiamo ai sindacati in Italia, parliamo di una cosa che esiste da oltre 100 anni, che ha alle spalle una storia fatta di battaglie sociali e politiche, di alti e bassi, di vittorie e sconfitte, di alto prestigio sociale e di dura discriminazione ed emarginazione. I sindacati sono sopravvissuti a più di un crollo epocale, a molti partiti, ai quali erano - in parte - anche strettamente legati. L’idea sindacale è pure sopravvissuta a più Stati, allo Stato risorgimentale e alla dittatura fascista, diventando una colonna portante della Repubblica Italiana sorta dalla Resistenza.I sindacati in Italia figurano tra i maggiori artefici del benessere sociale, del sistema previdenziale e sanitario universale e del welfare del Dopoguerra. Hanno plasmato il diritto del lavoro e sono assieme alle grandi associazioni imprenditoriali i protagonisti della politica salariale.
Solo facendo questa dovuta premessa, possiamo passare ai fatti di oggi – anche in maniera dura, tenendo sempre presente che il movimento sindacale in Alto Adige va visto insieme a quello presente al livello nazionale, perché gli intrecci tra le varie parti dell’esperienza sindacale contemporanea sono tanti e forti.
L’unica decisione visibile e concreta dei sindacati italiani è stata una sorta di tregua salariale e sociale strisciante, non dichiarata, ma nemmeno smentita
Possiamo porci la domanda, se il movimento sindacale in Italia esista ancora, se è presente nella testa dei lavoratori e dei giovani. Da una recente ricerca risulta, che la gran parte dei giovani non sa cosa sia un sindacato, cosa facesse un tempo e quali siano gli obiettivi che persegue oggi. Gli adulti in quella ricerca non sono stati interpellati, ovviamente. Questo risultato non è casuale, ma è la conseguenza di fatti ben precisi. I sindacati italiani negli ultimi 30 anni hanno perso tutto quello, di cui un movimento sindacale ha bisogno: la convinzione e l’entusiasmo degli iscritti, la chiarezza sugli obiettivi da perseguire, la capacità di condurre una lotta sindacale concreta e "concludente" e pure la capacità di contrattare con le controparti a pari livello.
Arrivati a questo punto, l’unica decisione visibile e concreta dei sindacati italiani è stata una sorta di tregua salariale e sociale strisciante, non dichiarata, ma nemmeno smentita, accompagnata da qualche manifestazione, da qualche sciopero inconcludente, da qualche rinnovo contrattuale vuoto e non capace di recuperare le perdite inflazionistiche e da un risultato devastante in generale: una perdita salariale reale e consistente a tutto campo, mentre in quasi tutti gli altri paesi UE i salari e gli stipendi sono cresciuti.
Chi sono i colpevoli? Gli iscritti, perché scoraggiati e delusi hanno lasciato il sindacato? I segretari e i delegati delle tre confederazioni che sono tornati dai tavoli di contrattazione con un pugno di mosche? I vari governi che non hanno parlato con i sindacati? Le associazioni imprenditoriali che non hanno mollato un soldo? Probabilmente il colpevole non è uno solo, ma l’insieme di fattori più grandi degli uomini e delle donne, che li dovevano gestire.
L’Italia come quasi tutti gli altri paesi moderni adotta delle regole specifiche per gestire la politica salariale, e queste regole partono essenzialmente dall’autonomia contrattuale. I protagonisti della contrattazione sono da una parte gli imprenditori rappresentati dalle loro associazioni e dall’altra parte i sindacati, che rappresentano il mondo del lavoro. Lo Stato e la politica hanno affidato il compito di determinare il salario “giusto” alle due parti direttamente interessate, chiamate appunto “parti sociali”. Lo Stato solo in un momento successivo ha deciso di abbandonare a sua volta la politica salariale fin lì basata unilateralmente su uno “stato giuridico”, mettendosi al tavolo delle trattative con i sindacati per disciplinare i rapporti di lavoro con i dipendenti del pubblico impiego. L’opinione dominante per lungo tempo tendeva a dire, che le “due parti sociali” non sono dotate di pari forza contrattuale, e quindi lo Stato deve assumere una funzione equilibrante, intervenendo a favore della parte più debole, che sarebbe quella sindacale. Pare che questa teoria non valga più anche perché quel modo di gestire la politica salariale può reggere solo a patto che le due parti riescano a trovare delle soluzioni generalmente accettabili e a mantenere dei rapporti reciproci leali. I due pilastri fondamentali del sistema salariale italiano per lungo tempo si chiamavano contratti collettivi nazionali e rapporti di lavoro stabili. Questi due pilastri nel frattempo sono stati gravemente danneggiati, se non rottamati.
Oggi esistono più di 90 contratti collettivi nazionali, il che favorisce chiaramente la liquefazione di questo istituto
I contratti collettivi sono stati polverizzati. Oggi esistono più di 90 contratti collettivi nazionali, il che favorisce chiaramente la liquefazione di questo istituto. A tutto ciò si aggiunge la confusione giuridica sui contratti collettivi nazionali e sui loro accordi integrativi al livello territoriale. Di solito è necessario un contenzioso per stabilire se i "contratti integrativi" si applicano nel territorio di una provincia, di una regione, di 5 comuni o da nessuna parte. Ad aumentare la confusione hanno contribuito pure intere aree nei sindacati confederali, prendendo in considerazione la possibilità di limitarsi alla sola contrattazione aziendale, cioè proprio a quel livello, dove il movimento sindacale molte volte non conta affatto. In diverse occasioni le tre confederazioni, o i loro sindacati di categoria, non si erano trovati nemmeno d’accordo su cosa chiedere o di che cosa accontentarsi. Di conseguenza sono stati firmati degli accordi separati, un disastro giuridico oltreché sindacale. Per protestare contro quella prassi un'altra organizzazione, la CGIL di solito, si metteva in disparte e rifiutava la firma al contratto concordato solo con una parte del mondo sindacale. In tal modo non venivano eliminati i danni creati, ma si rafforzava la spaccatura tra le organizzazioni sindacali.
L'annacquamento dei contratti collettivi è stato accompagnato dalla precarizzazione di molti rapporti di lavoro con l'aiuto di leggi che avrebbero dovuto promuovere il mercato del lavoro, ma che in realtà si sono rivelate una vergogna sociale per l'Italia. Con l'aiuto dei contratti di lavoro ammorbiditi e degli oltre 40 rapporti di lavoro "atipici" introdotti per legge, in Italia oggi è permesso quasi tutto quello che non piace a nessuno, che in particolare non piace ai giovani in cerca di un lavoro interessante: salari da fame al di sotto dei 700 euro al mese, orari di lavoro incompatibili con la vita familiare, trasferte non rimborsabili, lavoro interinale, lavoro a chiamata, copertura assicurativa minima, prospettiva di una pensione da fame e cose simili.
Se qui rimarchiamo la tregua sindacale sul versante salariale, dall’altra parte dobbiamo renderci conto tuttavia, che le confederazioni nel contempo sono riuscite ad ampliare vigorosamente la loro rete di servizi.
Quando parliamo solo di salari bassi e posti di lavoro precari, siamo tentati a credere che queste difficoltà riguardino solo il segmento più basso del mercato del lavoro. Ma non è così. La tregua sindacale riguarda l'intero mercato del lavoro. A causa della lentezza delle trattative e della mancanza di strumenti legislativi, anche le categorie professionali oggi ancora ben retribuite, rischiano di essere spinte verso la povertá. Mentre in Austria e in Germania in pochi mesi sono stati stipulati degli accordi, che riescono a far recuperare grosso modo le perdite inflazionistiche, in Italia non succede nulla e il divario sociale tra l'Italia e gli altri Paesi UE continua a crescere.
Se qui rimarchiamo la tregua sindacale sul versante salariale, dall’altra parte dobbiamo renderci conto tuttavia, che le confederazioni nel contempo sono riuscite ad ampliare vigorosamente la loro rete di servizi. Chi ha bisogno di un servizio tecnico/legale accessibile e conveniente lo ottiene presso i patronati dei sindacati. Sono una sorta di patrocinio gratuito quando il cittadino deve confrontarsi con il labirinto delle prestazioni sociali o quando fa domanda per la pensione. Anche nelle controversie di lavoro e per le questioni fiscali i servizi sindacali, cioè i CAAF offrono un’assistenza professionale. La maggior parte dei numerosi iscritti al sindacato per decenni è stata acquisita attraverso questi canali. Tutto ciò è positivo e utile, ma serve unicamente a difendere i diritti già acquisiti. La politica salariale è invece un’altra cosa.
Nella coscienza comune i sindacati sono dei bravi fornitori di servizi, quando andiamo in pensione, quando chiudono le aziende e abbiamo bisogno della cassa integrazione, o quando capita un fallimento e bisogna chiedere il recupero salariale, ma non sono più percepiti come quelli, che si battono per il “salario giusto” e che hanno voce in capitolo nelle questioni di politica sociale. Si è creata l’immagine di un sindacato debole e assistenzialista.
Partendo da questa panoramica è senza altro positivo, che le quattro organizzazioni sindacali altoatesine sono riuscite nelle ultime settimane a chiedere un aumento salariale di 150 euro al mese, una specie di perequazione delle perdite inflazionistiche provinciali, dato che l’inflazione in Alto Adige è continuamente superiore a quella nazionale. Si tratta di una rivendicazione che probabilmente richiede un’elaborazione migliore e un modo comunicativo più incisivo, se vuol essere firmata, ma resta una rivendicazione valida.
Il fatto molto più importante era invece la manifestazione in Piazza Magnago davanti alla Giunta Provinciale dello scorso 6 giugno, non tanto per il numero impressionante dei partecipanti, quanto per la sua composizione e la sua forza simbolica. C'erano donne e uomini provenienti da tutto l'Alto Adige e di tutte le professioni. C'erano persone che lavorano in fabbrica e altre che siedono dietro una scrivania o che si dedicano ad una ricerca. Erano persone giovani, in gran parte donne, e parlavano non solo il tedesco o l’italiano, ma anche altre lingue che si sentono sempre più spesso in Alto Adige. Per cambiare qualcosa anche sul versante della politica salariale, occorre l'impegno compatto proprio di questa compagine sociale.
Den Marionetten-Kreuze
Den Marionetten-Kreuze bewegenden NEO-LIBERALEN-GROß-FÜRSTEN ist es gelungen, die Politker der Parlamente, der Landesregierungen + der Gemeinden für IHR-IMMER-MEHR + ALLES-NOCH-SCHNELLER zu M I S S-brauchen.
Das ist "W I R T S C H A F T es deshalb gelungen," da sich die Politker hinunter bis zur Gemeinde-Ebene, von den fast ausschließlich bei den Arbeit-Nehmern EINGETRIEBENEN-STEUERN, sich ebenfalls GROß-FÜRSTLICHE-AMTS-ENT(BE)SCHÄDIGUNGEN + LUXUS-RENTEN zu-kommen lassen," + das "den ARBEIT-NEHMERN-vom-Teller-gesparte-Geld," lieber für UNSINNIGE-KLIMA-schädliche-BABILONISCHE-Monster-Bauten verprassen, die den NEO-LIBERALEN-die ganze WELT-PLÜNDERNDEN-CEOs, noch mehr Geld in die BILANZEN spült!
Quattro confederazioni
Quattro confederazioni sindacali in provincia di Bolzano sono la testimonianza della mancata UNITA' SINDACALE. Questa è una concausa di relazioni sindacabili deboli e di conseguenza di stipendi inferiori per i lavoratori.
Endlich einmal ein
Endlich einmal ein brauchbarer Artikel zum Thema.