Culture | SALTO WEEKEND

Scalfire l'ordine delle cose

Cosa sappiamo della situazione libica? Il nuovo film di Andrea Segre mette il dito nella piaga, che è anche di tipo morale.
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Foto: Filmclub/Youtube

Di Africa, e in particolare della Libia, il regista Andrea Segre si era già occupato quasi dieci anni fa, con un film/documentario molto intenso e utilissimo a farci capire (già allora) quanto accadeva al di là della nostra frontiera d'acqua. Diretto assieme a Dagmawi Yimer e Riccardo Biadene, Come un uomo sulla terra (2008) mostrò a un pubblico fino allora completamente ignaro sulla natura degli accordi la risposta a domande piuttosto scomode: dal 2003 l'Italia e l'Europa hanno chiesto alla Libia di fermare i migranti africani, ma cosa fa realmente la polizia libica? A quale tipo di sofferenza vanno incontro migliaia di donne e uomini africani? Nel frattempo sono cambiate molte cose. C'è stata una guerra civile, l'operazione Unified Protector da parte di alcuni stati (chiamata “la coalizione dei volenterosi”), Gheddafi è stato ucciso, e la situazione politica è adesso in larga parte determinata dall'esistenza di milizie che, per restare al tema dell'immigrazione, operano anche come “valvola” - allo stesso tempo di apertura e chiusura – dell'emigrazione dal continente africano verso il nostro paese. Ma adesso ne sappiamo veramente di più? A quelle domande fatte in precedenza risponderemmo con più disinvoltura?

“L'ordine delle cose” (attualmente in programmazione al Filmclub di Bolzano) è un'opera bellissima sia per ragioni formali, sia perché ci porta proprio là dove in teoria si decide il controllo della “valvola” (del "rubinetto", come si dice nel film) alla quale ho appena accennato. Chi la apre, chi cerca di chiuderla, cosa accade nel frattempo: dopo aver visto la pellicola se ne ha una contezza maggiore, e si può dunque capire la proporzione della complessità del problema. Segre non affronta però la questione cercando di sovrapporre la teoria (o meglio: una teoria) alla storia che ha deciso di raccontare. Piuttosto, ha voluto farci vivere il conflitto morale del protagonista, un alto funzionario di polizia (Corrado Rinaldi) mentre il piano ordinato e generale delle cose, come tendiamo per comodità a immaginarcele, viene rovesciato da un evento, da un incontro, dall'irruzione di un particolare irriducibilmente individuale. Un'esperienza che potrebbe in realtà capitare ad ognuno di noi e magari sta già capitando: basta che due occhi, improvvisamente sollevati sul mucchio delle molte teste chinate, si accendano nel nostro sguardo e ci interroghino sulla radice della nostra umanità, che diamo fin troppo per scontata.

Proprio il dare tutto per scontato (che poi, all'essenza, rappresenta la banalità del nostro male quotidiano) è esemplificato da un dialogo tra Rinaldi (interpretato da un bravissimo Paolo Pierobon) e uno dei suoi aiutanti di stanza in Libia (ruolo magistralmente assunto da Giuseppe Battiston). Mentre i due stanno attendendo che sul monitor del computer appaia la segnalazione di un'azione della guardia costiera “convinta” dal governo italiano a intervenire per fermare un'imbarcazione di profughi diretta verso l'Italia, l'aiutante guarda fuori dalla finestra e paragona l'Italia (o meglio: il suo ricordo dell'Italia, e dunque ciò che “gli manca” dell'Italia) al paesaggio che vede fuori. “Qui è tutto beige, tutto irrimediabilmente beige, l'unico colore che c'è il beige”, dice. Il beige è il colore della sabbia del deserto (sabbia che Rinaldi-Pierobon raccoglie in piccole ampolle), un colore che fa affondare ogni tipo di differenza, ancor prima che affondino le barche nel mare. Simbolo dell'indistinto - tutto uguale, tutti uguali, granelli indiscernibili - e della condanna a morte che ci scrolliamo facilmente di dosso attribuendola a chi non vogliamo riconoscere. Ci vuole una grande violenza, bisogna esercitare una grande violenza su noi stessi, sulle nostre abitudini percettive, per riuscire a scorgere, nel beige di quel mondo, frammenti di colore. Ma anche dopo esserci riusciti, occorre decidere cosa fare, come comportarsi. Come salvarli. Ed è qui che l'ordine delle cose esercita la pressione maggiore, la resistenza più forte a non farsi scalfire.

"Per cambiare l'ordine delle cose" è inoltre il titolo di un breve Booklet sui temi del film che gli spettatori potranno prendere all'uscita. Vi troveranno dentro interventi di Igiaba Scego, Luigi Manconi, Ilvo Diamanti, Andrea Baranes, Pietro Massarotto. Dopo aver letto gli scritti qui pubblicati, gli interessati sono invitati quindi a inviare commenti, riflessioni e proposte sulla pagina del film: https://lordinedellecose.it

L'ordine delle cose (TRAILER UFFICIALE)