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„Lavorare su un’intera montagna“

L’ensemble milanese mdi e il Monte San Vigilio non sono nuovi al festival Transart. Quest’anno si incontrano per una nuova sfida: Una montagna inaudita.
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Foto: Mario Tedeschi
Già ospiti dell'edizione attuale con il concerto NEG: suonare le pause, in cui i musicisti di mdi hanno dialogato con l'arte concettuale dell'artista Vincenzo Agnetti, in mostra alla Fondazione Antonio Dalle Nogare, nel prossimo appuntamento di Transart Frische/Otium in programma domenica 18 settembre a Monte San Vigilio, nella colonia di villeggiatura montana sorta all'inizio del secolo scorso, l'ensemble mdi farà suonare "un'intera montagna". Giorgio Casati, violoncellista di mdi ha curato il progetto insieme al compositore e docente al Conservatorio Monteverdi di Bolzano Hannes Kerschbaumer.
 
 
Signore Casati, come è strutturato l'evento, dal punto di vista musicale. Ovvero quali brani suonerete in che formazione?
 
Giorgio Casati: mdi ensemble sarà presente questa volta con undici musicisti (una soprano, strumenti ad arco e a fiato, un pianista e un fisarmonicista), un ingegnere del suono e tre persone che svolgeranno il ruolo di performer e narratori, tra i quali anche uno storico che ci racconterà la storia del Vigiljoch.
 
Cosa deve aspettarsi il pubblico?
 
Il pubblico non deve aspettarsi una sala da concerto, né tantomeno un programma musicale tradizionale! Può invece aspettarsi un bosco, popolato da tante piccole case di legno. In ciascuna casa “abitano” alcuni importanti compositori del XX e del XXI secolo, e a volte il bosco si anima di presenze musicali in movimento. Ci saranno tre ore a disposizione per venirci a trovare, dalle 14:30 alle 17:30 di domenica 18 settembre, il resto bisogna scoprirlo.
 
Come è nata la scelta della location di Monte San Vigilio, con la tipica colonia di villeggiatura montana?
 
Bisognerebbe ribaltare il ragionamento: tutto è nato dal Monte San Vigilio, sapevamo di avere a disposizione 8 bellissime case-baita, e ci siamo immaginati come poterle abitare con un “concerto”, ovviamente un concerto molto particolare.
 
Con Hannes siamo ormai un team collaudato: ci divertiamo moltissimo a immaginare con lui forme di concerto non convenzionali...
 
Avete collaborato con qualche soggetto specifico per questo progetto?
 
Sì, abbiamo costruito il programma e la complessa organizzazione che comporta un pomeriggio di questo genere in collaborazione con Hannes Kerschbaumer e con lo staff di Transart, a cui vorremmo destinare un ringraziamento speciale per aver reso possibile un programma molto complesso e ambizioso in un luogo dove non è certamente semplice organizzare le condizioni di ascolto e i flussi del pubblico. Con Hannes siamo ormai un team collaudato: ci divertiamo moltissimo a immaginare con lui forme di concerto non convenzionali e abbiamo già sperimentato due volte nelle passate edizioni di Transart la formula dei concerti simultanei con i progetti Inaudito/Unerhört del 2018 e del 2020, ma in quei casi ci trovavamo in stanze diverse di un solo edificio, il Museo Civico e la Fondazione Antonio Dalle Nogare. Per questo terzo esperimento, Peter Kainrath ci ha sfidati a lavorare, per così dire…su un’intera montagna!.
 
Come dialoga la musica con l’architettura particolare del luogo?
 
Questa è in un certo senso la domanda al cuore del nostro progetto. Nella fase di ideazione del programma abbiamo innanzitutto riflettuto sul fatto che ci troviamo in luoghi davvero privati, case nate nel fitto del bosco per ritirarsi dal flusso della vita quotidiana. Attraverso il nostro lavoro, abbiamo avuto la fortuna di conoscere gli autori della musica del nostro tempo, e molti tra loro cercano luoghi di questo genere per poter lavorare “nascosti” e trovare il giusto spazio per la propria creatività.
C’è però un secondo senso, simbolico, in cui la metafora della propria “casa”, del proprio “giardino creativo” incontra la composizione musicale: il XX secolo ci ha messo di fronte a un’esplosione di diversità nei linguaggi artistici; questo a volte ha disorientato il pubblico, ma da un altro punto di vista ha consentito a ciascuno di “coltivare un proprio giardino sonoro”, una lingua musicale fatta di oggetti peculiari e di leggi che ne governano i comportamenti, una vera e propria “grammatica”.
Penso in particolare a Helmut Lachenmann, che lavora nelle alpi occidentali, in una casa nel bosco molto simile a queste; Helmut ci ha raccontato spesso di quando, da giovane, ha trovato il proprio “giardino di suoni”; un piccolo orticello che poi, così ci ha confessato, si è trasformato anche in una prigione, perché un compositore sta bene nel proprio giardino ma lotta anche sempre per poterne uscire, per riuscire a scrivere qualcosa di veramente nuovo.
 
 
Come avete tradotto tutto questo in un concerto?
 
In un modo semplice e anche scherzoso: passeggiando per il bosco di San Vigilio, gli ascoltatori avranno l’illusione di entrare nella casa di Morton Feldman, di Helmut Lachenmann, Luciano Berio, Salvatore Sciarrino etc. In ciascuna baita sentiranno la musica del “padrone di casa” ma anche, come è normale, quella dei suoi amici e dei compositori che più ama.
 
Si entrerà negli spazi privati delle singole case tipiche?
 
Sì, e cercheremo di utilizzare tutti gli ambienti delle case: i salotti, ma anche i balconi, i giardini d’inverno etc. Con un un po’ di fortuna, qualcuna delle persone che generosamente ci ospitano - i proprietari veri, non i compositori - ha promesso di preparare una torta!
 
La musica vive attraverso due “dimensioni”: lo spazio e il silenzio: se un luogo non è adatto ad ascoltare musica, è solo perché noi lo stiamo inquinando.
 
L'ensemble mdi si confronta spesso con luoghi non direttamente deputati alla musica.
 
Sì, perché in fondo non esistono luoghi non adatti alla musica. La musica vive attraverso due “dimensioni”: lo spazio e il silenzio: se un luogo non è adatto ad ascoltare musica, è solo perché noi lo stiamo inquinando. Si tratta di riflettere, in ogni possibile luogo, sulle condizioni di ascolto in cui ci troviamo, rispondendo allo spazio con la musica “giusta”.
 
Qual è la posizione del vostro ensemble nella scena musicale? Repertorio prevalentemente o esclusivamente contemporaneo, rigore nelle esecuzioni anche sperimentali, collaborazioni con artisti non musicisti?
 
Siamo tutti musicisti classici per formazione, e suoniamo o insegniamo la musica del passato per almeno metà del nostro tempo di lavoro. Con l’ensemble lavoriamo soprattutto sul XX e XXI secolo, ma vorremmo che tutti i musicisti frequentassero sia la musica del presente sia quella del passato. La partitura, lo spartito che tante volte trattiamo come un feticcio, è innanzitutto un mezzo di comunicazione attraverso il quale tentare un complesso scambio di informazioni e immaginazioni attraverso il tempo. Attraverso la partitura, il compositore si affida a qualcuno che la suonerà, e che trasporterà la sua immaginazione in un tempo e in un luogo lontano e indefinito. Capire questo lavorando fianco a fianco con chi scrive musica per noi, è un’esperienza preziosissima che ogni musicista dovrebbe conoscere.
 
Gillo Dorfles lo chiamava horror pleni.
 
Come è stata la vostra esperienza di suonare con lo strumento NEG di Agnetti e di confrontarvi con il concetto e la materializzazione di rendere sonore le pause di questo artista?
 
La definirei soprattutto un’operazione di ecologia della mente. Avere a che fare con uno strumento che appiattisce, azzerandola, la distinzione tra suono e silenzio, ci getta in un inarrestabile continuo, Gillo Dorfles lo chiamava horror pleni. Spegnere il NEG - e speriamo che Agnetti non si arrabbi - diventa un atto liberatorio, la riscoperta di una tridimensionalità e ritmicità che è possibile solo nel dialogo tra suono e “silenzio”.
 
 
Quali partecipazioni di mdi a edizioni precedenti di transart o altri concerti tenuti in regione ritengono un posto speciale nella memoria del ensemble?
 
Come detto prima, la collaborazione con Transart si ripete ogni due anni ormai da tempo ed è sempre un’occasione felice per noi. Spesso è il primo grande progetto dopo la pausa estiva e ricominciamo a lavorare qui con grande entusiasmo e rinnovate energie. Vorrei ricordare, tra le tante forme di spettacolo e incontri con altre arti che abbiamo sperimentato qui, l’esperienza del 2020, l’anno dei lockdown, quando, costretti dalle circostanze, siamo riusciti a inventarci un modo per fare musica a distanza con artisti norvegesi e russi.
 
Signore Kerschbaumer, lei ha collaborato al progetto Frische/Otium, vuole dare qualche altra indicazione per il pubblico che seguirà l'evento?
 
Hannes Kerschbaumer: Ha detto già tutto Giorgio, io posso solo aggiungere qualche indizio. Per esempio abbiamo dato dei nomi poetici alle singole case che ci ospiteranno, ci sarà Il giardino di Salvo, in quella dedicata alle composizioni di Salvatore Sciarrino oppure Le stanze di Luciano, dove si ascolteranno brani di Luciano Berio, oppure The mad piano, in una delle casette dotate di pianoforte, e così via. Insomma posso solo invitare a venire a un'evento unico e imperdibile in un luogo magico.