Politics | Il ritratto

"Basta lamenti"

Per Claudio Corrarati il declino italiano può essere contrastato rilanciando il ceto medio di fondo valle e con una politica in grado di superare i vecchi steccati.
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Foto: salto

Tiramisù futuribile

Claudio Corrarati, bolzanino, cinquant'anni ancora da compiere, è una delle figure emergenti dell'imprenditoria e della politica locale afferenti al gruppo linguistico italiano (diciamo una delle figure emergenti nello spazio brumoso in cui l'imprenditoria si congiunge alla politica). Il suo nome cade puntualmente in prossimità degli appuntamenti elettorali, quando nelle redazioni si fa la lista dei papabili (è successo anche di recente per le amministrative, poi vinte da Renzo Caramaschi) e viene tirato in ballo allorché c'è da rilasciare qualche commento strategico, di quelli che servono almeno per capire dove soffia il vento (a proposito dell'annosa questione relativa alla toponomastica, il quotidiano “Alto Adige” gli ha dedicato una pagina). Lui non si sottrae, anzi. Dietro ai suoi occhiali curiosi, che potrebbero rischiare di fare tendenza, lo sguardo guizza in cerca della formulazione più appropriata. La domanda viene per così dire scavata col cucchiaino, alla ricerca di una sostanza più densa. Come se stesse mangiando un tiramisù futuribile. E visto che nel nostro colloquio uno dei temi toccati è anche quello del cosiddetto “disagio” degli italiani (o come si usa dire da qualche tempo, del loro “declino”), il riferimento al tiramisù è meno casuale di quel che potrebbe apparire. Intanto valgano alcuni titoli: Corrarati è a capo di Rete Economia (quindi Confcoop, Legacoop e Confesercenti) e CNA (Confederazione Nazionale dell'Artigianato e della Piccola e Media impresa); è presente all'interno della Convenzione dei 33; è vicepresidente della Virtus Don Bosco, membro del senato Upad e presidente o consulente di altre associazioni attive nel settore edile. Ha tutte le frequentazioni che contano e, dulcis in fundo, è anche fautore del “Sì” al referendum costituzionale in un club politicamente trasversale (ci sono dentro anche i fratelli Janes, gente posizionata tradizionalmente nel Centrodestra).

Le origini e il “declino”

Per capire un uomo non è inutile buttare l'occhio nel paesaggio in cui è nato. Corrarati proviene dal quartiere delle Semirurali e i suoi ricordi lasciano affiorare un contesto che riecheggia la celebre via Gluck cantata da Adriano Celentano. “Mio padre lavorava alla ex Lancia, poi Iveco. Mia madre faceva la casalinga. Noi giocavamo nel cortile, sempre tenuti d'occhio dai vicini. Appena uno si allontanava, scattava una specie di controllo a distanza che ci riportava velocemente nel cerchio protetto. Oggi è tutto diverso, c'è molta più indifferenza, ognuno pensa per sé. Colpa anche della tecnologia. Rimpiango quei tempi, e penso che ripristinare quel tipo di tessuto sociale non sarebbe affatto una cosa sbagliata”. Solidarietà, economia familiare e controllo sociale. O come dice lui stesso con uno slogan appena abbozzato (e magari da limare ancora un po'): “Mano tesa e pugno fisso”. I punti salienti di una visione politica in nuce sono già tutti qui. Ma prima di affrontare questo discorso nel dettaglio, occorre fare un giro più largo. È necessario cioè mettere a fuoco il soggetto che dovrebbe costituire la base per dare l'abbrivio a un coinvolgimento non velleitario ed estemporaneo, giacché a metterci la faccia per farsela subito cancellare sono buoni tutti. Tocchiamo così il tema del “declino”, la percezione della fatica di affermarsi che grava in particolare sul gruppo linguistico italiano, e l'orizzonte politico dal quale si potrebbe ripartire.

Bisogna far ripartire il ceto medio

Per ripartire si taglino le estremità. Dunque barra al centro dello schieramento politico che, solo, potrebbe rilanciare il ceto attualmente in sofferenza. Driblare l'imbarazzo causato da una stagione caratterizzata – nei fatti e non solo nelle interpretazioni – dalla marginalizzazione del gruppo linguistico più debole a livello provinciale vuol dire essenzialmente scegliere il meglio, tornare ad operare la selezione di quella classe dirigente della quale Corrarati aspira a rappresentare l'avanguardia ancora priva di massa critica, e trovare il mezzo di stabilire nuovi collegamenti. “Noi dobbiamo guardare di nuovo al ceto medio, che è quello più bistrattato, dimenticato sia dalle associazioni sindacali che dalla politica. L'impoverimento lo troviamo qui, tra gente che magari in seguito a disavventure improvvise (talvolta bastano spese sanitarie particolarmente onerose) precipita in una condizione di grave difficoltà, ma non può usufruire di aiuti perché sulla carta ha fonti di reddito che non danno diritto ad alcuna assistenza”. Che siano in modo particolare gli italiani a trovarsi in una condizione del genere non è una deduzione difficile da fare. “Gli italiani sono maggiormente colpiti perché sono quelli più radicati nel fondovalle. Se da una parte la politica di valle ha permesso di raggiungere livelli di eccellenza (il Sudtirolo ha aziende assai prospere anche a 2000 metri), dall'altra invece abbiamo un fondovalle penalizzato”. Le cause sono essenzialmente storiche. “Gli altoatesini non hanno patrimoni e terreni che possano riconvertire ricchezze di famiglia. Abbiamo poi avuto un'imprenditoria che negli anni Ottanta non ha saputo porre le basi per creare continuità. I genitori volevano far fruttare i propri sacrifici e hanno fatto studiare i figli, in modo da dare loro la possibilità di scalare posizioni in ambito amministrativo o farli entrare nel Palazzo. Questo però ha bruciato anche la possibilità di far crescere o radicare le aziende. Lo zoccolo imprenditoriale quindi non si è esteso e, al contrario, ha cominciato a perdere posizioni. Francamente non saprei rispondere alla domanda se sia morta prima l'imprenditoria o sia fallita la politica che avrebbe dovuto sostenerla. Ma il disequilibrio tra governance e imprenditoria, soprattutto per quanto riguarda il mondo di lingua italiana, è il vero, grande nodo da sciogliere”.

Non c'è bisogno del “partito degli italiani”

Ma come si fa a sciogliere un nodo del genere? Occorre forse tornare al vecchio progetto di un partito di raccolta italiano, qualcosa insomma in grado di riequilibrare la percezione territoriale della crisi di un gruppo che, dal punto di vista politico, ha perso sempre più peso, rappresentanza, e nei confronti del quale l'incomprensione della classe dirigente “di valle” (cioè la Svp, persino nelle sue massime espressioni) sembra assestata in modo inscalfibile? Qui la posizione di Corrarati è molto cauta, anzi scettica. “Pensare di spezzare il cordone ombelicale con il sistema paese significherebbe dare ragione ai fautori della Selbstbestimmung. Una soluzione sbagliata. Non è possibile però neppure conservare semplicemente le radici che ci legano a Roma ignorando i tratti specifici che ci contraddistinguono. Io penso che quelle radici possano prolungarsi ancora fino a noi, ma oltrepassato Salorno debbano cambiare per così dire natura, diventare simili al territorio in cui entrano. Questo ci permetterebbe ad esempio di non essere invidiati, ma di fornire un esempio positivo. Abbiamo bisogno di assumerci maggiori responsabilità, anche mediante un'appropriata riformulazione del contesto politico”. Ancora una volta la ricetta passa dunque per la selezione di una classe dirigente trasversale, autenticamente plurilingue, in grado di superare i vecchi steccati, pur non bruciando le forme nelle quali si potrebbe manifestare. “Anche il partito di raccolta tedesco e ladino, da questo punto di vista, si trova davanti allo stesso bivio: da un lato la continua riproposizione del modello difensivo, etnico, dall'altro la scelta dell'apertura. Non è ammissibile che per paura di perdere consenso a destra si corra dietro alle vecchie chimere, tradendo le ambizioni di un ceto medio che invece vuole guardare avanti e vivere con serenità questo territorio”.

Stare coperti, in attesa del salto

Inutile sollecitare Corrarati a fare adesso il passo più lungo della gamba, proponendolo già adesso come il connettore di un progetto politico di nuovo conio. Ogni suo riferimento pende piuttosto prudentemente dalla parte del consolidamento delle istanze di governo (ecco spiegato il sostegno al “Sì”, il prossimo 4 dicembre) e a lenire i malumori che affiorano sul piano locale, in modo che vengano sempre governati dalla “testa”: “Senza testa non ci sarebbe neppure la pancia, e viceversa”. Il suo desiderio più grande, intanto, è quello di lavorare per sconfiggere la narrazione del disagio e far cessare le lamentele a partire dalla rimozione delle cause che l'hanno generato. Per questo anche una mossa come l'acquisizione del quotidiano “Alto Adige” da parte di Athesia è giudicata positivamente, ponendo l'accento sulla prospettiva di successo economico che essa all'apparenza adombra. Anche Michl Ebner, del resto, è amico di Corrarati. Prima di scendere in campo, di fare il grande salto nell'agone politico, c'è bisogno di tornare a parlare di politica. Arare il terreno, rafforzare certe alleanze (inevitabilmente sgretolandone altre), stare coperti fino all'ultimo. Il nuovo, da qualche parte, sta forse già nascendo, e non ci sarà bisogno di mutare troppo la pelle.

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luigi spagnolli Thu, 11/17/2016 - 09:30

Bravo Claudio, con concretezza e serenità.
I problemi di fondo, i più difficili da risolvere, sono comunque due:
1. Il fatto che alle elezioni è molto più facile prendere voti facendo battaglie etniche che predicando convivenza;
2. Il fatto che il mondo della comunicazione, partendo dai socialnetwork e proseguendo con i media che, volenti o nolenti, corrono dietro ai social, guadagna audience e quindi clientela con i luoghi comuni, come per esempio dare la colpa di quasiasi misfatto alla supremazia o al disagio etnico, e non con gli ideali di convivenza.
Trattasi di fatti, sui quali è legittimo avere ed esprimere opinioni, che però fatti restano e resteranno fino a che non ci sarà una svolta culturale complessiva: quella che porterà alla presa d'atto che gli "italiani" e i "tedeschi" sono diventati qualcos'altro (quelli di oggi sono per esempio diversissimi da quelli di 40 anni fa, ma a leggere le fonti d'informazione locale non ci se ne accorge, per le ragioni suddette), e magari che si potrebbe anche smetterla di chiamarli "italiani" e "tedeschi" per trovare definizioni onnicomprensive che non dividano (altoatesini o sudtirolesi o altro...).
Bisogna avere pazienza, essere e parlare positivo, confrontarsi senza acrimonia e senza presunzioni, perseguendo obiettivi condivisi. Evitando di cadere nei trappoloni mediatici, le cui avvisaglie sono presenti anche nell'articolo ("proponendolo adesso come il connettore..." - i media sono sempre alla disperata ricerca di protagonisti - oppure "Anche Michl Ebner è amico di Corrarati" - nel momento in cui si parla di amici automaticamente si sottintendono nemici: è forse da ricordare che il grande scontro politico di questo tempo nell'Alto Adige di lingua tedesca è tra gli Ebner ed il Landeshauptmann? -, eccetera...).
Forza Claudio, chissà che l'esempio della fusione tra la Virtus Don Bosco e il Bolzano, e il successivo accordo col Südtirol, non riescano a fare scuola...

Thu, 11/17/2016 - 09:30 Permalink
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Max Carbone Thu, 11/17/2016 - 09:58

Condivido appieno le posizioni espresse da Corrarati. A volte sono vittima di mal di pancia improvvisi, ma la via è quella. Forse servirebbe un luogo dove possano convergere le intelligenze, le volontà e le passioni della nostra terra e farne un laboratorio a cielo aperto, magari spiccatamente politico. Posti così non ne vedo. Avrebbero potuto essere i Verdi, pezzi della sinistra, gli ambienti cattolici più avveduti. Niente, tutti nella loro stanzetta. Bravo Gabriele, sempre brillante.

Thu, 11/17/2016 - 09:58 Permalink