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I giorni dopo il 26 novembre

Non voglio che finisca, anche la memoria tua, con gli altri miei ricordi di un’Italia che non esiste più. Forse è troppo tardi, per me, perdere un amico come te.
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Foto: Google image

       I giorni dopo  l'evento che,  in memoria  di Alessandro Leogrande a distanza di due anni dalla sua morte, aveva accolto l'uscita del libro "Dialogo sull'Albania" (Edizione Alphabeta), a cura di Giovanni Accardo, una raccolta di articoli e scritti di Alex Langer e Alessandro Leogrande dedicati all'Albania, l'Albania era ancora in preda di continue scosse di terremoto e contava le  sue vittime, 51, oltre alle  quasi mille strutture danneggiate e alle migliaia di abitanti privi delle loro abitazioni.
 Il paese di fronte, che secondo Leogrande aveva qualcosa di “italiano” da  rivelare  ai suoi italiani, di circa 2 milioni e ottocento mila abitanti, quasi quanti quelli  di Roma, aspira  da oltre vent'anni all'apertura dei negoziati per l'adesione all’ UE, apertura che viene sistematicamente fatta slittare. L'ultimo stop è datato 17 ottobre scorso quando l’UE ha chiuso i negoziati con l’Albania.
 “ L’interferenza della Russia, gli investimenti cinesi e il paternalismo turco nei confronti della regione pongono sfide importanti per gli interessi dell’UE nei Balcani” sottolineava preoccupato già prima  il ricercatore albanese Akri Cipa per Euraktiv.
Comprensibilmente dispiaciuta ,  i giorni dopo il 26 novembre, di volta in volta sfogliavo  il mio taccuino con tre o quattro appunti, un paio di  testimonianze ed una lettera che  per questioni di tempo non avevo potuto  far conoscere al  pubblico.  Leggevo a fatica un mio scarabocchio in quattro – cinque righe. Era un passo di un articolo di  Gezim Muçolli per Bota.Press, del 3 luglio del 2017. Rammentava la perdita di Langer :  “Pochi giorni prima della sua morte, Alexander Langer avrebbe dovuto recarsi in una sua prossima visita in Kosovo. Sfortunatamente, la sua partenza era stata ostacolata da uno sciopero imprevisto da parte degli operai dell'aviazione. Forse questa visita avrebbe cambiato il tragico corso degli eventi...”
Sarebbe stato interessante raccontare  la storia di Gresa Hasa, 23 anni, nata e cresciuta a Tirana, studentessa di Scienze politiche, una delle più note attiviste di una recente protesta studentesca che a partire  dal 4 dicembre dell'anno scorso aveva paralizzato  un bel po' di tempo l’Università Pubblica albanese. 
 Fu  il 1990, 29 anni prima, quando ai primi di dicembre ebbero inizio le proteste studentesche, giorni che coincisero per l’appunto con l'arrivo di Langer in Albania.  
Volendo mettere a confronto  i due movimenti mi interessava sapere se  quelli  di oggi  ne erano a conoscenza della figura di  Langer. 

Avevo anche contattato alcuni dei  giornalisti e degli  attivisti del tempo e, benché qualcuno ricordasse il nome, ne sapevano poco o niente . Tuttavia il nome di Alexander Langer non suonava estraneo a Gresa, generazione 1996,  membro  della Organizzazione Politica e del Movimento per l'Università, movimento che rivendicava i diritti degli studenti, degli operai  e  della parità di genere. 
A differenza del movimento studentesco del 1990, che, come lo stesso Langer sottolineava nei suoi appunti, resi noti nel “Dialogo sull'Albania”, in breve tempo consegnò senza resistenza la sua energia dirompente ad altri protagonisti in campo,  questi di oggi,  destreggiandosi in contesti pseudodemocratici, tra varie trappole temute ed evitate rifuggono come dal demonio  dalle lusinghe e dalle mene dei partiti di  destra e di sinistra.
Entro  un anno avevano costituito quattro nuovi sindacati gestiti dagli stessi operai dopo aver abbandonato i vecchi sindacati spettrali e corrotti. 
Recentemente, studenti, professori e attivisti chiedono l'abrogazione della Legge sull'Istruzione, legge che obbliga gli studenti a sborsare  tariffe annuali sempre più salate. Questi sono i figli di quelli che  29 anni prima avevano cambiato il corso  della storia a repentaglio della loro vita e, se Langer fosse stato ancora in  vita, avrebbe ammirato la loro risolutezza e il loro coraggio. 

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 A margine di uno foglio avevo sottolineato con  due righe scure il due Leogrande- Kadarè. Negli anni durante i quali  Alessandro  frequentava e raccontava l'Albania, sembra avesse dato fastidio ad una cerchia  di studiosi e storici albanesi e a numerosi ammiratori del celebre scrittore albanese  Ismail Kadarè.  Durante le sue visite Leogrande si era messo in contatto con  diversi giovani intellettuali di cui pare apprezzasse  il  filo conduttore del loro pensiero: rivalutazione del passato in un'ottica  critica, professionale,  senza  rimpianti e nazionalismi esaltati, con una particolare attenzione alle opere e all'operato degli artisti durante l'epoca  del realismo socialista. Di un libro di A.Vehbiu, che di recente sta per  per uscire anche in Italia, “Sende që nxirrte deti"  (Le cose portate dal mare),   Leogrande aveva scritto: "un libro come " Le cose portate dal mare " di Ardian Vehbiu,  andrebbe tradotto anche in italiano. É un acuto ritratto di come gli albanesi guardavano o immaginavano l'altra sponda negli anni del totalitarismo. Rivela molto dell'Albania di allora, e qualcosa di noi.”

Alcuni come Vehbiu, Ardian Klosi, Fatos Lubonja e via dicendo, vengono tuttora  chiamati   da una parte dei media  “Demistificatori”
Più volte nei suoi articoli, presenti anche sul “ Dialogo sull'Albania”,  Leogrande aveva  messo in dubbio lo status “dissidente” dell'opera e il vissuto dello stesso Kadarè.  Si possono rintracciare   diversi  articoli in cui la coppia Leogrande-Vehbiu viene definita   calunniatrice  e razzista  . Questo perché, a detta di un autore e medico di nome M.Aleksi, avrebbero  osato “infangare”  figure illustri   tra cui, considerata quasi una divinità, quella di Ismail Kadare. “Lo avrebbe fatto questo Alessandro Leogrande, si chiede Aleksi, “se Kadare non fosse stato albanese?”.  Ecco perché razzista. Forse sono dovute a questi e alla sua solidarietà con i “ Demistificatori” le sue rare comparse mediatiche.

In merito alla preoccupazione di Leogrande riguardo all'oblio da parte dei giovani del passato dittatoriale dell'Albania, trovo indispensabile segnalare il recente caso di A.Tufa . Agron Tufa, scrittore, pubblicista e traduttore albanese, è stato gli ultimi due anni direttore esecutivo dell'Istituto Albanese per le Ricerche sui Crimini nel Periodo Comunista e le sue Conseguenze nella vita dei cittadini. Ogni anno l'Istituto pubblica le sue ricerche in un rapporto sostanzioso, munito di documenti incontestabili, da consegnare alla Commissione della Sicurezza Statale del Parlamento. Per il 2019, la Commissione aveva contestato ferocemente una sezione del rapporto che denunciava l'allarmante sovraccarico delle istituzioni amministrative, politiche, dipendenti e indipendenti, con ex protagonisti della ex  direzione della sicurezza dello stato   che fu la polizia albanese segreta durante la dittatura. Le persone, oggi, in posti di rilievo, secondo il rapporto, erano state implicate direttamente o indirettamente in crimini contro l'umanità. In seguito a numerose minacce di morte ricevute in aprile, nove mesi dopo, ai primi di dicembre scorso, Agron Tufa è stato costretto a chiedere asilo politico in Svizzera, con sua moglie e i suoi cinque figli.  Ad un'intervista lasciata per News24,  Tufa esprime il suo dispiacere per la solidarietà mancata da parte delle istituzioni statali, della societa civile e dell’opposizione.   

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 Tempo fa, Vehbiu , che era in partenza per Chicago, nella sua ultima e-mail mi aveva inviato una lettera per il suo amico Leogrande . Ad un amico che si era spento due anni fa, Vehbiu ricordava quando erano incontrati per prima volta a Tirana, seduti ad un tavolo, nel foyer del suo albergo. Leogrande voleva sapere cos'era che faceva gli albanesi come Vehbiu innamorarsi dell'Italia; Vehbiu era curioso dei motivi che spingevano un intellettuale metropolitano come lui, di occuparsi dei dannati della terra, come quelli della Kater i Radës. 

   “L’ultima volta che ci siamo sentiti era a Roma – io mi trovavo in città per pochi giorni, e ci dovevamo vedere una domenica mattina, per visitare il MAXXI insieme; poi un furto di documenti, che ho subito a Piazza Bologna, ha fatto saltare tutto – visto che mi son dovuto recare a fare la denuncia e perdere l’intera giornata tra un ufficio ed un altro. Menziono questo incidente soltanto per il suo significato simbolico: quelli che mi avevano alleggerito del portafoglio erano dei cosiddetti “romeni” che operavano nelle stazioni della metro. Ho pensato a te come un uomo che si batteva anche per loro; ho provato sollievo. Ci siamo parlati al telefono, con te ogni conversazione era come una premessa – sempre rivolta al futuro. Sarà per un’altra volta, ci siamo detti. Poi, dopo qualche mese, mi è arrivata la notizia della tua morte; impossibile da credere, anche per la distanza. Visto che mi trovavo a New York, ho pensato che la tua morte aveva bisogno di un paio di anni, per attraversare l’oceano; e finchè stavo lì, potevo sempre contare su un Leogrande vivo. Tanto che il gmail tutt’ora mi suggerisce di scrivere direttamente a te, quando batto le lettere AL sul campo dell’email. Alle Fiere del Libro a Tirana, anno dopo anno, i tuoi libri li vedo sempre esposti, a volte anche vicino ai miei; e sempre mi sforzo di spiegare la tua mancanza come dovuta a contrattempi vari. Mi dico: “quando vado la prossima volta a Roma…”. Non voglio che finisca, anche la memoria tua, con gli altri miei ricordi di un’Italia che non esiste più. Forse è troppo tardi, per me, perdere un amico come te.”                                                                       

Cos'è che avrebbe fatto Leogrande, il ragazzo di Taranto, se da Tirana avesse ricevuto la lettera di Vehbiu? Probbabilmente quello che in un bellissimo articolo sul Linkiesta , il 26 novembre scorso, Nadia Terranova scrisse : “È lì, su quel ponte ideale tra due città accomunate anch'esse dalle iniziali, e unite da un mare così pieno di storia da essere una terra , illuminando appena il dolore ancora persistente della sua perdita, che in questo momento Alessandro Leogrande sorride. ”