“Traditori della patria”? Parliamone
“Il portafoglio è pieno e mia moglie è bellissima”.
Jürgen Wirth Anderlan – comandante provinciale degli Schützen, poi dimessosi – in un video ironizza a ritmo di rap sulla società altoatesina.
“Stanno diventando sempre di più questi traditori della patria (Heimatverräter) / Nemmeno il rispetto per i propri padri / Non conoscono Ander [Hofer], ma conoscono Greta [Thunberg] / E nel parco davanti a casa mia c’è Dieter che ama Peter”. E ancora: “Ma dove sono quelli che difendono i nostri valori? / Migranti, studenti e molti profeti / Dimenticano le loro radici e invece salvano il pianeta”. Per concludere: “100 anni di lotta per la nostra cultura / 100 anni a difendere la nostra struttura tedesca / 100 anni trattati come una puttana da quattro soldi”.
Una petizione avviata su change.org dal Comitato per le pari opportunità richiede un approfondito dibattito sul sessismo che emerge dall’iniziativa, e ha raccolto quasi 7.000 firme. Le iniziatrici criticano le tradizionali gerarchie di genere espresse dal video, che trasuderebbe maschilismo e sessismo. Un altrettanto serio dibattito è richiesto pure su ulteriori elementi. Attraverso una ben studiata combinazione di parole e immagini, il video – intitolato “Mamma Tirol” – rinforza in generale l’ostilità verso chi non corrisponde all’immagine che i suoi autori hanno del “buon patriota”. Persone impegnate per l’ambiente, due omosessuali? “Traditori della patria”. Migranti e studenti? “Dimenticano le loro radici”. Il tutto sottolineando che “siamo tirolesi, democratici e cristiani”, rivelando una concezione del tutto particolare dei tre elementi.
Sia chiaro: il rap di Anderlan, molto criticabile, rientra giuridicamente pur sempre nella sua libertà di espressione (che, in ogni caso, non è infinita, trovando un limite invalicabile nel rispetto dei valori fondamentali di una società democratica). E non sono mancati tentativi di spiegare, giustificare, chiarire che l’intento era ironico. Da chi ricopre ruoli di rilievo, però, ci si deve poter attendere una forte attenzione per le ripercussioni delle proprie parole: perché è dove c’è un humus culturale favorevole che atti di prevaricazione e discriminazione possono prendere piede.
Non è infatti un caso che i reati generati dall’odio continuino ad aumentare: secondo quanto rilevato dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), in cinque anni in Italia essi hanno raddoppiato il loro numero. Pure recenti indagini dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali sull’antisemitismo, sulle discriminazioni contro le persone LGBTI (lesbiche-gay-bisessuali-trans-intersessuali) e sulle minoranze etniche e il razzismo hanno tratteggiato un quadro piuttosto fosco per l’Italia (e non solo). Anche per questo, il Parlamento italiano sta valutando un ampliamento dei delitti contro l’uguaglianza per meglio tutelare donne, persone con disabilità e omosessuali. Recentemente approvata dalla Camera, la riforma sta venendo ora esaminata al Senato.
Cosa lega il video di Anderlan ai reati generati dall’odio? Chi ricopre ruoli di riferimento per la società ha una particolare responsabilità. Il proprio comportamento è infatti capace di favorire comportamenti positivi nella popolazione, oppure, al contrario, consolidare pregiudizi e fomentare disprezzo. Un video come “Mamma Tirol” rafforza un ambiente culturale che tollera, se non giustifica, certi preconcetti verso chi è “diverso”. E nel momento in cui una parte della società accetta certi fenomeni discriminatori, è provato che tale “normalizzazione dell’odio” assecondi a sua volta il diffondersi dei crimini motivati da intolleranza. Basta poco per ciò. Ad esempio – lo ricorda l'Osservatorio anti-discriminazione del Ministero degli interni – non contrastare comportamenti discriminatori a bassa soglia, perché magari considerati “battute”, “scherzi” o “bagatelle”.
Allo stesso tempo, bisognerebbe chiedersi come sia stato possibile che persone intelligenti e profonde conoscitrici della realtà locale, come sono gli autori del video, abbiano pensato di poter realizzare una simile iniziativa. Davvero non ritengono che le loro espressioni siano offensive? O non vi danno importanza? Erano forse dell’opinione che avrebbero trovato approvazione nella popolazione, o perlomeno in una parte di essa? Fa poi pensare il fatto che autori dell’iniziativa siano persone appartenenti loro stesse a una minoranza, che dovrebbero pertanto conoscere – perlomeno astrattamente e da un punto di vista storico – cosa significa essere “diversi” e, apertamente o implicitamente, venire discriminati per questo.
Spetta alla società locale avversare attivamente la mentalità che si cela dietro il video, fermandone il processo di legittimazione culturale, sociale e politica. La storia di questa terra è legata a doppio filo con l’accettazione del “diverso”, e la scoperta che in esso si cela una ricchezza altrimenti non disponibile. Sarebbe ora che anche in Alto Adige si smettesse di usare la diversità per separare, per marginalizzare, e per imporsi sul prossimo.