C'eravamo tanto votati
All'interno della sala Josef del Kolpinghaus, alla base degli affreschi che la impreziosiscono, si legge una frase scritta in gotico che i convenuti avrebbero potuto contemplare in mesto silenzio: “Beim frohem Mut und Einigkeit, das Handwerk allzeit gedeiht”. Ma oggi Claudio Calabrese, il braccio destro dell'editrice Pinuccia Di Gesaro, ha troppa voglia di far risplendere il suo Hochdeutsch per continuare nell'umile e grigio servizio di traduttore. Intanto, gli altri sono indaffarati nel tocchicchiarsi e sorridere al passato. Mentre lui, l'ospite d'onore, il Presidente Romano Prodi, è quasi sempre chino a scribacchiare – quando smette sta con le mani giunte sul viso – per accorgersene e chiedere “cosa vuol dire?”. C'era una volta una macchina da guerra che, se non proprio gioiosamente, i voti li prendeva e governava. Qui se ne celebra un pezzo di storia tra chi non vorrebbe sentirsi solo un reduce.
Il libro
Con Romano Prodi per un'autonomia vincente è il libro (Praxis Edizioni Verlag) che il giornalista siciliano ed ex addetto stampa del Pd Carmelo Salvo ha composto in onore dell'ex Presidente del Consiglio e della Commissione Europea. Una buona dozzina di prominenti appartenenti alla galassia Svp-Pd e pianeti limitrofi fanno da corifei. In particolare, sono i senatori Oskar Peterlini e Helga Thaler Ausserhofer a porgere i metaforici fiori del benvenuto, ricordando le vicende del “Gruppo parlamentare per le autonomie” in un tempo – si parla essenzialmente della breve legislatura, la XVesima, del 2006-2008 – caratterizzato da risicate maggioranze e abbondanti progressi per l'idea del “dinamismo” (cose evidentemente legate). Molta nostalgia e un bel po' di autocelebrazione che si stagliano contro il panorama politico attuale, del quale in effetti nessuno ha voglia di parlare, al massimo di sbieco.
12 anni, un'era geologica fa
Prima (e dopo) foto vecchia maniera (selfiecrazia senza esagerare, insomma) per entrare nella cornice da parte di alcuni candidati alle prossime elezioni provinciali. Quindi sono in molti a parlare, mentre Prodi attende con pazienza di essere chiamato ad illustrare la sua autorevole versione del “c'eravamo tanto votati”. C'è Thomas Widmann che commenta il “lungo applauso che dice già tutto”. Oscar Peterlini che ricorda come i numeri risicati impedissero ai parlamentari persino di potersi assentare senza preoccupazione al fine di recarsi al bagno. Carmelo Salvo che racconta come siano passati solo dodici anni, ma si tratti ormai di un'era geologica. E una fresca Helga Thaler Ausserhofer che risale alla nascita (nel 2001) del “Gruppo per le autonomie”, grazie alla provvidenziale intercessione del Senatore Giulio Andreotti. Lo spirito più squisitamente autonomistico di Prodi è evocato da Peterlini con una citazione: “Ciò che può essere fatto a Bolzano sia fatto a Bolzano”. E il Senatore sottolinea in particolare il risultato più importante di quella stagione così proficua per le sorti dell'autonomia, ossia l'anticipazione della data per il rinnovo delle concessioni sulla gestione locale dell'energia, al termine di una durissima battaglia combattuta in aula sul filo dell'ultimissimo voto (del resto, è ancora Peterlini a citare Prodi, “meglio un voto in più che nessun voto in più”).
La lezione di Aldo Moro
Per Carmelo Salvo la questione è anche di stile. “Oggi è importante pubblicare un post, allora si facevano delle riunioni. È cambiato tutto: i linguaggi, i luoghi della politica. Il governo Prodi è stato l'ultimo a potersi costituire grazie ad un'ampia rappresentanza del Centrosinistra. Quelli erano anche gli anni in cui nacque il Partito Democratico: un adolescente, ma che pare aver già preso la strada dell'aceto. Erano anche gli anni del federalismo, e basta vedere che fine ha fatto il tema anche nell'agenda politica di quelle forze che ne facevano una bandiera”. Altro punto fondamentale, sul quale tornerà anche Prodi, la pratica e lo spirito del compromesso, la capacità di saper mediare. Qui Salvo dice una cosa importante e non scontata: l'autonomia è stata resa possibile anche grazie all'impegno di alcuni politici italiani che non si sono arresi alle spinte conflittuali, che hanno sempre saputo ritrovare il bandolo della matassa e ricucire gli strappi. Cita un discorso di Aldo Moro tenuto alla Camera dei Deputati il 27 luglio 1967, dopo un attentato, in cui si parla di dare “una prospettiva” alla politica della fermezza, perché “questa fermezza è stata e continuerà ad essere integrata verso tutti i cittadini, a qualsiasi gruppo linguistico appartengano, da spirito liberale, da schietta aderenza alle esigenze proprie della democrazia”.
Un ponte attivo
Ed eccolo Prodi, finalmente. “Non avete un'idea di quanto mi faccia piacere essere qui tra voi”. Parla di qualità dei rapporti personali, l'anziano Presidente, di “quel modo di fare politica che andrebbe recuperato”. E poi focalizza i punti per lui rilevanti. “Qui a Bolzano, in questa provincia, avreste l'opportunità di costituire un ponte attivo tra il mondo di lingua e cultura tedesca e quello di lingua e cultura italiana. Penso per esempio all'esperienza straordinaria delle vostre scuole di formazione tecnica, che potrebbero essere prese ad esempio in Italia, un Paese in cui ancora oggi si crede che l'unica formazione di livello venga assicurata dai licei”. Un “ponte attivo”, rimarca, capace di riattivare anche la fiducia per le istituzioni europee così danneggiate dalla perdita di peso della Commissione in favore del Consiglio, perciò soffocate dal diritto di veto, dalla rinascita dei nazionalismi che rappresentano una minaccia per la pace. “Anche il più forte degli stati europei, persino la Germania, da sola, cosa potrebbe fare al cospetto di giganti come la Cina e gli Stati Uniti?”, incalza. E chiude con un appello all'unità che vaga al di sopra della sala in forma di fantasma, perché la forza di sognare quell'unità è evaporata chissà come, e nessuno fa neppure più finta di crederci, salvo in occasione di Amarcord come questo.
GdL resoconta con la consueta
GdL resoconta con la consueta sottile malizia che gli è propria l'incontro con Prodi alla Kolping (e non in Consiglio Provinciale come inizialmente previsto e come da Salto riportato: da lettore mi chiedo come mai nemmeno un cenno sullo spostamento, probabilmente conseguente alla polemica politica che aveva sollevato il volerlo fare colà). Come astante invece non condivido né la malizia né soprattutto la chiusa del pezzo: che la forza di sognare l'unità dell'Europa sia "evaporata" è opinione personalissima dell'autore, così come che "nessuno" faccia "neppure più finta di crederci". Io e altri che eravamo lì ci crediamo eccome, ad un'Europa forte e unita, e per questo eravamo lì, non certo per piangerci addosso ricordando i presunti bei tempi di quando esercitavano funzioni elettive: che personalmente non rimpiango affatto, perché si sta molto meglio lontani dai riflettori che sotto, ma è un luogo comune il contrario e i luoghi comuni sono difficili da estirpare. Caro GdL, già è spiacevole leggere sempre solo di cronache politiche fondate su strilli e slogan: se nelle relativamente rare occasioni in cui si esprimono contenuti di spessore questi vengono affossati da chi si è assunto il compito di fornire la pubblica informazione, come sperare di risalire dal baratro?
In reply to GdL resoconta con la consueta by luigi spagnolli
Parto dall'inizio: nessuno ha
Parto dall'inizio: nessuno ha raccontato il motivo del cambio di sede, quindi si presume che non ci fosse l'interesse a ricordare quella polemica. Meglio così, perché non mi sembrava una grande polemica (come dicono quelli astuti: avrebbe dato visibilità a chi non la merita). Sorvolo sulla "sottile malizia", se uno la vede vuol dire che c'è, anche se io la definirei in altro modo (non è importante come, non faccio l'esegeta di me stesso). La fine del pezzo, invece, è senz'altro opinabile. Non sono state concesse domande al pubblico, io a Prodi gli avrei fatto quella sul doppio passaporto, se cioè anche lui è dell'opinione - qui assai condivisa tra "autonomisti dinamici" e "indipendentisti statici" - che rappresenta l'occasione per dirci più europei, oppure un cedimento alla imperante logica etno-sovranista. Se si è parlato più di passato che di futuro, a mio avviso, non dipendeva tanto dalle fattezze del libro (un libro di storia, dopo tutto), ma dal fatto che il futuro è talmente torbido e nebbioso da suscitare più ansia che speranza. Ma lei, sindaco, è un tipo ottimista. Io meno.