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La morte corre sul fiume

Torna nelle sale l’opera prima (e unica) di Charles Laughton, restaurata dalla Cineteca di Bologna. L’imperdibile capolavoro verrà proiettato al Filmclub il 23 novembre.
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Foto: Pinterest

Quando uscì, nel 1955, The Night of the Hunter (La morte corre sul fiume) fu pressoché snobbato dal pubblico e dalla critica, tanto che il regista Charles Laughton, il memorabile Sempronio Gracco di Spartacus (diretto da Stanley Kubrick) e il poetico Quasimodo di Notre Dame (del regista William Dieterle), ne fu talmente deluso che giurò che non avrebbe mai più girato altri film. Come talvolta accade, tuttavia, lo scorrere beffardo del tempo ha restituito giustizia alla pellicola che ora torna restaurata nelle sale italiane, presentata dalla Cineteca di Bologna nell'ambito del progetto Il Cinema Ritrovato. L’appuntamento, a Bolzano, è al Filmclub per un’unica proiezione, in lingua originale con sottotitoli italiani, alle ore 20 di mercoledì 23 novembre.

Il film, una favola dal tratteggio gotico, un noir (ma anche più di questo) espressionista e onirico, crudele - come nella migliore tradizione fiabesca - e allegorico, restituisce una visione tetra del profondo e ruvido sud degli Stati Uniti ai tempi della grande depressione. Protagonista della pellicola un Robert Mitchum in stato di grazia che interpreta Harry Powell, un falso predicatore di radici puritane, in verità uno psicopatico e un sadico assassino, in cerca di un tesoro nascosto, il bottino dell’ultima rapina del suo ex compagno di cella. Gli elementi estetici fanno di Powell un personaggio da manuale di storia del cinema: lo sguardo sinistro, il cappello a falda larga calcato sulla testa e soprattutto le dita della mano destra tatuate con la parola “love”, e la sinistra con “hate”. Il reverendo sposa la vedova dell’uomo e cerca di scoprire dove sono i soldi, ma il segreto è custodito dai due figli della donnai. È il film dell’infanzia perduta e riconquistata (la scena finale attorno a Lillian Gish, iconica attrice del cinema muto griffithiano, Giglio infranto su tutti), dei segreti inconfessabili, ma anche di una sessualità repressa, angosciata, mortificata, isterica.

 


Laughton è un temerario, combina con una certa ostentata sicurezza horror e humour, scegliendo un anticonvenzionale bianco e nero (era l’epoca del boom del colore) attraverso una messa in scena di rara bellezza (estatica la profondità di campo di alcune inquadrature, specie quella della fuga nel fiume). Molto si deve alla fotografia di Stanley Cortez, che lavorò anche al film L’orgoglio degli Amberson di Orson Welles, e che a fine carriera sottolineò che solo due registi con cui aveva collaborato avevano intuito l’importanza della luce, “quella cosa incredibile che non può essere descritta”: Laughton e Welles.

Le parole migliori per descrivere l’opera del novello filmmaker le trovò - nessuna sorpresa - François Truffaut: “Una tale sceneggiatura non è di quelle con le quali si può inaugurare una carriera di regista hollywoodiano e si può ben scommettere che questo film, realizzato nel disprezzo delle elementari norme commerciali, sarà l’unica esperienza di Charles Laughton, ed è un vero peccato. Un peccato, sì, perché malgrado i contrasti di stile, La morte corre sul fiume è un film di grande ricchezza di invenzioni che somiglia a un fatto di cronaca orrendo raccontato da dei bambini piccoli. Malgrado la bellezza della fotografia di Stanley Cortez, l’uomo che illuminò in modo tanto straordinario The Magnificent Ambersons (L'orgoglio degli Amberson, ndr), la regia oscilla tra il sentiero nordico e il sentiero tedesco, si attacca al volo al lampione espressionista dimenticandosi di passare per i chiodi piantati da Griffith”.

Postilla: se vi viene voglia di vedere questo film e mentre scorre sentite che gli angoli della bocca vi si afflosciano all’ingiù in segno di soddisfazione, è normale, mettetevi comodi e lasciate fare.
 

Una battuta: "Chillll . . . dren?"
 
 
La morte corre sul fiume - Trailer (Il Cinema Ritrovato al cinema)